Michael Schumacher, cosa è cambiato in sette anni
La caduta sulle nevi di Meribel di quel maledetto 29 dicembre 2013 ha trasformato la vita del Kaiser della F1: nell'anno in cui Lewis Hamilton ha eguagliato i sette titoli mondiali e ha battuto il record di vittorie, il ricordo del campionissimo tedesco non si appanna nei tifosi che aspettano Mick come il continuatore di una storia che è ancora da scrivere. Il dramma di Michael ha dato la motivazione al figlio per dimostrare di essere degno di guidare una F1.
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Sette anni. Eppure il tempo sembra essersi fermato a quel maledetto 29 dicembre 2013. Sono le 11.07 quando Michael Schumacher cade sugli sci sulle nevi delle alpi francesi a Meribel.
Una banale caduta si trasforma in un dramma: il sette volte campione del mondo sbatte la testa contro una roccia e si procura un grave danno assonale. Il destino è crudele: colpisce duramente, lasciando poche speranze a una ripresa completa.
Corinna, la coraggiosa moglie di Schumi, ha attrezzato un’ala della villa di Gland in Svizzera come una vera clinica riabilitativa e non gli fa mancare nulla, le cure come l’affetto di chi non ha mai smesso di sperare in un miracolo.
Michael è forte. Lotta. Non si arrende: il suo fisico tonico da atleta lo ha certamente aiutato in questi anni di forzata clausura. Ma non è più quello che ci ricordiamo ed è forse un bene non vederlo. È meglio fermare le immagini ai ricordi dei suoi 91 successi nei GP proprio ora che Lewis Hamilton sta picconando i record del campione tedesco, disintegrandoli uno alla volta.
Gli amici che hanno il privilegio di vederlo non ne vogliono parlare: Jean Todt, presidente della FIA, e Luca Badoer, ex collaudatore della Ferrari nell’era Schumacher, scantonano le domande scomode e alimentano il mito del tedesco che sopravvive a se stesso.
#KeepFightingMichael è stato l’hastag di tendenza di questo 29 dicembre 2020: gli appassionati di F1 non hanno dimenticato il Kaiser e hanno fatto arrivare alla famiglia il calore e il supporto in una giornata difficile, ma non ci sono stati i soliti paginoni sui giornali o gli speciali in televisione.
All’improvviso sembra passato un secolo, non sette anni. Il tempo mitiga il dolore, ma per fortuna non cancella i ricordi.
Nel frattempo quel giovane adolescente che era Mick è cresciuto, si è temprato nel dolore e ha trovato la motivazione profonda per conquistare un posto in Formula 1. Vuole dimostrare di essere degno del nome che porta: dopo aver vinto il campionato di Formula 2 ed essersi fatto le ossa in quello di Formula 3 si è meritato il salto nella massima categoria dell’automobilismo.
Non è un fuoriclasse come il padre, ma nessuno gli ha regalato niente: l’abitacolo della Haas se lo è conquistato con le sue doti. E si è meritato il rispetto di un mondo cinico, duro che però crede alle favole. Quel ragazzo che ha il sorriso della madre ha un sogno che si sta realizzando: Mick non è Michael, e non è nemmeno l’unico figlio di un papà vincente in F1.
Non debutterà con una Williams competitiva com’era accaduto a Jacques Villeneuve, ma con una Haas che lotterà per evitare l’ultima fila. E, pur essendo un pilota della FDA, non ha alcuna promessa di guidare presto una Rossa.
Ma Mick promette di non essere una meteora del Circus: è stato proprio lui a consegnare a Hamilton una copia del casco del padre dopo il GP dell’Eifel al Nurburgring, quando l’inglese ha eguagliato il primato di vittorie di Michael.
C’è stata una sorta di passaggio del testimone. Un riconoscimento della grandezza di Lewis, ma in quel gesto c’era anche il segno di un altro Schumacher che arriva in F1. Il Kaiser può essere fiero del suo erede. Adesso tocca a Mick difendere l’onore di casa…
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