F1 | Jenson Button, nel nome del padre
Il 19 gennaio del 1980 nasce Jenson Button, il campione del mondo di Formula 1 che nel 2009, grazie alla meteora iridata di nome Brawn GP, riesce a coronare un sogno importantissimo. E non solo per se stesso...
Gennaio è un mese... da campioni. Lo dicono le date facilmente riconducibili a piloti indimenticabili quanto indimenticati: ne sono un esempio Jacky Ickx, Michael Schumacher, Lewis Hamilton, Gilles Villeneuve. E ne è un esempio anche Jenson Button, che il 19 gennaio del 1980, dalla contea di Somerset, nel sud ovest dell’Inghilterra, inizia il suo cammino nella strada della vita. Con una grande e unica certezza di cui assume consapevolezza sin da bambino. Una certezza che, col tempo, si sarebbe trasformata in obiettivo: l’amore per le corse.
Un amore forte, tramandato da papà John. Papà John. Il sole di Jenson, un uomo già noto nel mondo dei motori, che col figlio nutre e alimenta un rapporto unico quanto indissolubile.
John era un pilota di rally. Per questo, il figlio, il più piccolo con tre sorelle più grandi, inizia a frequentare molto presto il mondo dei motori.
Jenson ha solo sette anni quando i suoi genitori si separano e John, per Natale, decide di regalargli un kart. Un semplice regalo che per il piccolo si trasforma in uno sfogo, un modo per allontanare il suo essere nervoso, per testare i suoi limiti e ampliarli. Un semplice regalo che, man mano, trascende a volontà di diventare un pilota di Formula 1.
Questa volontà, però, Jenson per un po’ se la vuole tenere per sé. La renderà “pubblica” solo da dodicenne: ha troppa paura di essere preso in giro.
Ma correre ha un costo e papà John lo sapeva bene. Per questo, per trovare denaro sufficiente per riuscire ad esaudire il desiderio del figlio, vende tutto ciò che possiede, persino il suo concessionario d’auto. Vuole aprire un’attività dove costruiva motori per il kart di Jenson e di altri ragazzi, tra cui anche un certo Lewis Hamilton.
Erano tempi duri. Ma per amore paterno, stringeva la cinghia. E rispettava con amore quanto con puntualità il suo ruolo: essere il mentore di Jenson, urlargli istruzioni appostato lungo i circuiti, allenarlo ad essere regolare, preciso, corretto. Il tutto, senza mai essere invadente, senza mai creargli pressioni. Una presenza positiva, una guida affettuosa e competente. E Jenson, con l’aiuto della sua guida, con i suoi preziosi consigli, in Formula 1 ci arriva davvero.
Jenson Button, Williams BMW FW22
Photo by: Sutton Images
Facciamo un lungo salto temporale per arrivare all’anno 2009. La Brawn GP è pronta ad affrontare la stagione con Button e Rubens Barrichello. Jenson ormai è maturo, tatticamente valido, e vince sei delle prime sette gare in calendario. La mancanza di fondi, però, blocca lo sviluppo della monoposto e l’inglese deve correre in difesa. Inizialmente questa scelta funziona, la sua guida è fluida, pulita, ma ad ottobre dopo una tappa nipponica chiusa solamente in ottava posizione, si scoraggia. Barrichello lo segue in classifica distaccato di 14 punti, ma qualcuno potrebbe seriamente insidiare la sua scalata al titolo mondiale: quel qualcuno ha il nome di Sebastian Vettel, che ha vinto in Giappone con la Red Bull.
La gara successiva è prevista ad Interlagos. Penultimo appuntamento stagionale. Una terra di imprevisti oltre che di esiti iridati a volte inaspettati. Jenson è teso. Alla vigilia della corsa si unisce a suo padre in un drink al bar dell’hotel. “Papà - gli dice - devo vincerlo questo fine settimana”. “Jense - gli risponde John, sorridendo - andrà tutto bene”.
Quella notte, il pilota della Brawn GP sogna di sollevare la coppa del campione del mondo. Al risveglio, razionalizza, si rende conto che l’importante è portare a termine una domenica senza strafare, facendo attenzione, l’importante è portare a casa punti. In qualifica chiude 14esimo, davanti al 16esimo Vettel, mentre Barrichello, il padrone di casa, conquista la partenza dal palo. Il tifo, ovviamente è tutto per Rubens, per Jenson solo tanti fischi.
E la gara parte. Viene superato da Vettel, poi l’altro pilota Red Bull Webber scavalca il brasiliano e Kubica prende la seconda posizione. La McLaren di Lewis Hamilton recupera. Barrichello ha un problema e perde piazzamenti. Gli ultimi giri non riservano sorprese: vince Webber, seguito da Kubica e Hamilton. Quarto Vettel che precede Button. Ma... Jenson è Campione del Mondo! Dal muretto la sua squadra lo applaude. Lui, emozionato, canta a squarciagola il ritornello di una delle canzoni più famose dei Queen: “We are the champions, my friends!”.
Poi, scende dalla macchina. Emozionato, si gode il momento e le voci di chi urla il suo nome.
Poi, vede suo papà, lì, con la sua camicia rosa. Lo raggiunge di corsa. Si stringono in un forte abbraccio. Come in tante altre occasioni. Ma stavolta, la gioia, è la più grande di tutte: il loro viaggio, li aveva portati lì, al titolo iridato. Insieme.
Quando, nel Gennaio del 2014, Jenson perderà suo padre, inizierà a perdere la voglia e le motivazioni per continuare a correre. “Le corse non sono state più le stesse”, scriverà. Suo padre sembrava sempre che si divertisse, ed era contagioso. Senza di lui, per Jenson, non sarà mai più la stessa cosa.
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