Audi: sprecata una grande occasione
Il team di Ingolstadt ha ormai raggiunto la Porsche nelle prestazioni. Ma per vincere manca quella pefezione nei dettagli e nella gestione della corsa che sta permettendo alla rivale tedesca di involarsi verso il secondo titolo iridato
Foto di: XPB Images
Avrebbe potuto essere una nottata trionfale, capace di dare pepe alla parte conclusiva del WEC e rimesso, seppure a livello teorico, l'Audi in piena lizza per la conquista del campionato. Invece ad Austin, sede di una corsa che probabilmente non sarà più in calendario dal 2017, non è andata così. Dei 46 punti che le R18 stavano andando a prendere nelle prime 2 ore di gara, frutto della pole position del venerdi e dei primi due posti che occupavano, ne sono stati raccolti 26. La Porsche che per forze di cose era costretta ad accontentarsi di un terzo e di un quinto posto, quindi 25, alla fine è tornata da Austin con 37, nella giornata peggiore mai vissuta da due anni a questa parte.
Porsche: non è solo fortuna
C'entra la fortuna ma non solo. Quando si comprende che si è in difficoltà bisogna essere elastici ed umili, prepararsi alla sofferenza e a una tattica di corsa intelligente. Stando con gli occhi ben aperti per sfruttare le poche occasioni che si possono presentare per ribaltare una situazione non facile. La forza della squadra di Weissach risiede anche in questo, nel non farsi travolgere dalla frenesia. Tutti in Porsche avevano compreso che Austin sarebbe stata la corsa più difficile dell'anno.
C'erano state le avvisaglie fin dal prime prove libere di giovedi, quando a turno gli equipaggi delle 919 Hybrid, si erano ritrovati a guidare vetture nervose, che scivolavano, che consumavano più delle avversarie i pneumatici, che spesso si ritrovavano con sottosterzo in ingresso di curva e sovrasterzo in uscita, costringendo i piloti a non potere accelerare a tempo debito. La situazione sembrava essere migliorata nel secondo turno, quando con il fresco della sera, le temperature all'asfalto erano scese mentre nel terzo, quello del mattino di venerdi, le risultanze avevano avuto un valore relativo, visto che la sessione era stata programmata in orari che c'entravano come cavoli a merenda con le condizioni della corsa di sabato.
"Per noi sarà una gara molto difficile" ci aveva detto il team principal di Porsche Andreas Seidl poco prima delle qualifiche. E Timo Bernhard e Marc Lieb confermavano la difficoltà nello scegliere quale gomma utilizzare in corsa. Se le Michelin morbide da caldo o quelle da caldo plus. Gomme della stessa mescola ma con valori di utilizzo differenti. Con le prime si guadagnava qualcosa in termini di prestazione, perdendo però sul fronte del degrado. Con le seconde si poteva rischiare di allungare gli stint. La scelta, comune all'Audi, è ricaduta su quelle da caldo plus. In più la Porsche si è presa il rischio di partire con gomme già usate, sacrificando la prima frazione di corsa, in attesa di sparare le proprie cartucce nelle fasi centrali e conclusive della 6 Ore.
La mossa ha dato i propri frutti sulla 919 Hybrid vincente di Webber-Hartley-Bernhard mentre non è servita granché sulla numero 2 di Dumas-Jani-Lieb che mai è stata in grado di offrire un acuto e con la quale ci sono stati problemi di guidabilità dall'inizio alla fine, perché il trio in testa al mondiale piloti aveva scelto un assetto diverso da quello dei compagni. L'essere stati conservativi al momento giusto si è rivelata la mossa vincente ma ha ragione Mark Webber nell'individuare nei meccanici e nella squadra i veri artefici del trionfo statunitense.
Decisiva la quarta sosta dei vincitori
Le sue non erano parole di circostanza: la Porsche non ha sbagliato nulla ai box. Tutte le soste, anche a costo di perdere qualcosa rispetto all'Audi nelle prime due ore, sono andate come previsto. Al primo momento di crisi dei rivali, si è lasciato libero Hartley di allungare fino all'estremo il proprio stint. È accaduto alla quarta sosta, quando il neozelandese, sempre più uomo di punta del team, ha ricevuto la vettura da Webber alle 19.59'59"002 per riportarla ai box e darla nelle mani di Bernhard quasi un'ora dopo, alle 20.51'22"507. Quello è stato lo stint che ha ribaltato il senso stesso della corsa, che ha riportato il terzetto campione del mondo in piena lizza per la vittoria.
Perché nel frattempo Duval, al quale erano già stati recuperati oltre 30" per via del guasto elettrico subìto, si era fermato nuovamente per dare la vettura a Jarvis perché non funzionava il sistema che permette ai piloti di dissetarsi in abitacolo, e l'altra Audi di Faessler-Treluyer-Lotterer era precipitata al secondo posto per via dei giochi delle soste dovute al regime di full course yellow. Il resto lo ha fatto il caso: l'incidente di Treluyer, impegnato in un'affannosa rimonta, e la costanza di Webber, un altro che poi ha allungato lo stint, hanno di fatto chiuso la partita. Che vale tantissimo, vale un titolo. Difficilmente la Porsche si troverà in difficoltà nelle prossime tre corse: Fuji e Shanghai sono piste che si adattano bene alle 919 Hybrid, il Bahrain potrebbe ripresentare qualche problema di temperature ma a quell'epoca i giochi iridati dovrebbero essere chiusi.
All'Audi manca solo la perfezione dei rivali
Bellissime, interessanti, sempre più veloci, ad Austin semplicemente perfette nelle prestazioni: ora le Audi R18 fanno davvero paura a chiunque. Però dopo il Messico anche negli Usa gli uomini di Ingolstadt contano le ferite. Hanno dominato dal primo giorno di prove libere alla terza ora di gara. Hanno inflitto distacchi pesanti, dell'ordine di 9 decimi e 1" al giro in corsa, alla Porsche ma hanno perduto. Inutile girarci attorno: ha ragione Lucas Di Grassi che sarà anche polemico ma è molto lucido nelle proprie analisi. L'Audi a Austin ha dimostrato di essere inferiore alla Porsche come squadra e non come tecnologia. Nelle gare 2016 del team di Ingolstadt infatti c'è sempre qualcosa che non funziona.
A volte l'affidabilità, a volte gli errori dei piloti-che sono stati rari nel 2016- a volte quelli dei box, che spesso si sono ripetuti nell'arco del campionato. Negli Stati Uniti i particolari, quelli che fanno della Porsche il team di riferimento del WEC, hanno tradito l'Audi. Perdite di tempo ai pit stop perché entrambe le vetture avevano portiere che si chiudevano male; l'ennesimo e misterioso guasto elettrico, di risibile entità ma che ha pesato sulla corsa di Duval-Jarvis-Di Grassi, incidenti con doppiati che hanno defenestrato Treluyer-Faessler-Lotterer dalla lotta per la vittoria. Si può parlare, per quest'ultimo caso, di sfortuna- capitò ad Hartley a Silverstone e da allora i piloti Porsche, se si esclude il caso Lieb-Al Qubaisi al Nurburgring, non prendono mai rischi eccessivi nei doppiaggi- ma sommando i fattori ne esce un quadro incompleto. Interessante che ancora ha bisogno delle ultime rifiniture per poter essere esposto dal gallerista. Perché ciò che sta mancando all'Audi è la sua proverbiale perfezione. Nel WEC il livello qualitativo odierno è talmente elevato che anche la minina leggerezza si paga.
Ingolstadt che ha il merito di avere quasi completato la rimonta tecnologica, nonostante l'utilizzo forzato di una motorizzazione che sente il peso dei regolamenti, deve compiere l'ultimo scalino. Il più difficile. La vettura, però, c'è e sa esprimersi. Continuiamo a ripeterlo: nel 2017 la sfida tra i due parenti terribili di Weissach e Ingolstadt sarà entusiasmante. Il terzo incomodo, la Toyota, ha invece da recuperare. La vettura è onesta; difficile domandare ai suoi equipaggi più di quanto stanno facendo. Possono arrivare dalle parti di Porsche e Audi in gara; più di quello no. Non hanno mai la concreta opportunità di vincere o di sfruttare le giornate negative altrui. Bisognerebbe chiedere di più alla Casa madre, soprattutto nel bilanciamento del budget. Sapere che il campionato non inizia e non finisce a Le Mans.
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