Le Ferrari F.1 mitiche: 312 T, la "Furia" Rossa del primo mondale di Lauda
Oltre al motore più potente, il 12 cilindri piatto da 495 cv, la Ferrari disponeva anche di una macchina col cambio trasversale che era bilanciatissima: con Lauda e Regazzoni diretti da Luca di Montezemolo dominò il mondiale 1975.
Foto di: LAT Images
Ci sono voluti undici anni di lunga attesa per vedere la Ferrari tornare a vincere un mondiale piloti: la stagione 1975 è stata contrassegnata dal dominio della 312 T, una monoposto che aveva fatto scuola aprendo un lungo periodo di supremazia tecnica del Cavallino rampante.
Il Commendatore poteva contare su uno squadrone: il giovane Luca di Montezemolo, nel ruolo di direttore sportivo, rappresentava al meglio il carisma del Grande Vecchio sui campi di gara. Temuto dagli avversari, era molto rispettato all’interno della squadra che pendeva dalle sue labbra. Finalmente a Maranello avevano tutto quello che era necessario per dominare un campionato del mondo. Il progettista Mauro Forghieri con l’introduzione della serie T aveva dato fondo alle sue grandi qualità di tecnico, trovando un filone d’oro nell’adozione del cambio trasversale.
La Ferrari da alcuni anni disponeva del motore più potente nel Circus: il 12 cilindri piatto nel 1975 era arrivato a una potenza di 495 cv a 12.200 giri, ma il peso era nettamente più elevato degli 8 cilindri Ford Cosworth e, soprattutto, i maggiori consumi in corsa avevano condizionato il rendimento delle monoposto precedenti.
“Furia” con la 312 T aveva trovato la “quadratura” del cerchio: aveva realizzato una vettura molto compatta con una singolare concentrazione delle masse fra i due assi delle ruote che permetteva ridotti momenti polari d’inerzia.
Con l’adozione del cambio trasversale, infatti, erano spariti i pesi a sbalzo nel treno posteriore, a tutto vantaggio della guidabilità della monoposto che aveva il pregio di preservare le gomme dall’usura.
“Si guidava come una bicicletta – ricorda Niki Lauda – era una vettura molto sensibile alle regolazioni e per questo avevo dedicato molto del mio tempo invernale allo sviluppo della 312 T perché sapevo che avremmo vinto molto”.
Quella trasmissione trasversale per l’epoca rappresentava un capolavoro di alta tecnologia che si sposava con altre caratteristiche vincenti della Rossa: il passo corto (era solo 18 mm più lunga della B3-74) ma la lunghezza totale era nettamente inferiore.
Eccellente anche il lavoro sulle sospensioni, in particolare l’anteriore caratterizzata dal lungo bilanciere che faceva muovere l’ammortizzatore e la molla montati entrobordo. I radiatori dell’acqua era posti dietro alle ruote anteriori, mentre quelli olio erano disposti davanti a quelle posteriori.
“L’equilibrio delle masse – ammette Forghieri – ci aveva permesso di avere una vettura neutra che era facile da guidare e quindi con un potenziale di crescita molto alto”. Il tecnico modenese in effetti aveva sviluppato la 312 T nel corso della stagione, curando con particolare attenzione l’aerodinamica. L’andamento dei flussi sia per il raffreddamento del motore che per l’alimentazione del V12 “boxer” era stato studiato con cura anche in galleria del vento.
“E’ vero – prosegue Forghieri – andavamo in Germania dove c’era un wind tunnel aeronautico utilizzabile anche per le auto. Lavoravamo di notte altrimenti lasciavamo al buio un intero quartiere tanto era forte l’assorbimento di corrente per far funzionare la struttura”.
La 312 T era caratterizzata da un’ala anteriore a tutta larghezza con un profilo che veniva modificato gara per gara. Anche nel posteriore apparvero soluzioni a freccia che furono poi scopiazzate dalle altre squadre. L’impegno di Niki Lauda nei collaudi invernali aveva stretto la squadra intorno al pilota austriaco che era diventato il “cocco” del reparto corse.
“Mi chiedo sempre cosa serva per vincere” diceva Lauda all’epoca, facendosi la fama del pilota computer, tutto dedito solo alle corse. Era un personaggio in netto contrasto con l’esuberante simpatia di Clay Regazzoni. La stagione 1975 era iniziata con la vecchia B3-74 nella trasferta Sud Americana: in Argentina e Brasile lo svizzero aveva fatto meglio di Lauda, ma dal Sudafrica, GP dove apparve la T per la prima volta, la musica cambiò radicalmente.
Niki non ebbe mai un momento di cedimento e la monoposto si rivelò indiscutibilmente la migliore del lotto: arrivarono cinque vittorie e ben nove pole position dell’austriaco a testimoniare anche nei numeri una supremazia che invece il Circus non voleva accettare. Frank Williams era stato lapidario: “La Ferrari è una squadra perfetta, ma Lauda non è un grande campione”.
Ancora più duro Ken Tyrrell: “La Ferrari? Superba. Lauda? La storia della F.1 è ancora fatta da Fangio, Moss, Clark e Stewart”. Pareri impietosi che il tempo poi fece cambiare radicalmente. Lauda, comunque, aveva mostrato una forza interiore granitica: a chi gli faceva notare che c’erano altri cinque o sei piloti del suo valore, alzava le spalle dicendo: “Pazienza”.
Il Grande Vecchio gongolava: era la Ferrari a vincere, non solo Niki. L’austriaco era stato abilissimo: aveva costruito il suo mondiale con un trittico impressionante di vittorie iniziato nel Principato di Monaco, dove la Rossa era a bocca asciutta da venti anni, e proseguito in Belgio e Svezia. Poi aveva saputo difendersi, accontentandosi dei punti, laddove come a Zandvoort e Silverstone la Ferrari non voleva correre rischi inutili per cercare di vincere a tutti i costi.
Lauda da Autosprint fu dipinto come un “coniglio” e questa presa di posizione del direttore Marcello Sabbatini infiammò gli appassionati e i tifosi che si divisero sull’austriaco. La stagione 1975 regalò una fiammata anche a Clay Ragazzoni che a Monza conquistò un successo, bellissimo proprio nel giorno in cui Lauda si laureava campione del mondo.
Il pilota di Lugano, molto meno regolare nei piazzamenti in zona podio (lo svizzero ha subito una serie di rotture che hanno graziato Niki), si era dovuto accontentare solo di un quinto posto nel mondiale, che certo non rispecchiava il potenziale dell’elvetico protagonista di sorpassi spettacolari e applauditissimi. “Io corro per vincere e non per fare dello show”: così lo aveva… bollato Lauda.
E in effetti nove pole position su dodici Gran Premi disputati con la Ferrari 312 T sono veramente il termometro di quanto la supremazia di Niki Lauda si stata netta nella stagione 1975. Eppure nei giri più veloci in gara, quell’anno Clay Ragazzoni aveva saputo fare meglio dell’austriaco collezionandone quattro, contro due dell’austriaco.
Il livello di competitività era stato elevatissimo: oltre alle Rosse avevano vinto un Gp altre cinque vetture (McLaren, Brabham, Tyrrell, Hesketh e March) e ben otto piloti avevano collezionato almeno un giro veloce in gara oltre ai due conduttori del Cavallino: Hunt, Jarier, Pace, Andretti, Depailler, Mass, Brambilla e Fittipaldi.
La battaglia, quindi, era sempre apertissima, ma Lauda specie nel giro da qualifica sapeva tirare fuori qualcosa più degli altri che faceva poi la differenza.
“Non avete idea di quante volte mi sia arrovellato il cervello per capire cosa avesse Niki in più di me in prova – aveva ammesso molto dopo Clay Ragazzoni – perché poi il nostro passo in corsa si equivaleva, quando anzi non era io a recuperare su Lauda. Una risposta al mio quesito l’ho avuta solo qualche anno dopo, parlando con dei tecnici della Goodyear. Nel 1975 le gomme erano tutte prodotte a mano: mi ricordo che il comportamento della monoposto cambiava molto da un set all’altro e non riuscivo a capire perché”.
E cosa succedeva?
“Beh, adesso è facile da spiegare – proseguì lo svizzero – essendo fatte a mano le coperture non erano mai uguali una all’altra, avevano circonferenze diverse di alcuni centimetri. Niki l’aveva capito e si era informato ad Akron chi fosse l’operaio specializzato più capace nella produzione delle coperture di F.1. Ogni operaio marchiava le gomme con una sua sigla, per cui erano “riconoscibili”. Lauda aveva avuto l’intuizione che per partire in pole era necessario mettere insieme il miglior treno di pneumatici possibile e se lo faceva mettere da parte. Geniale! Io mi limitavo a cercare di andare più forte possibile in pista, lui invece, aveva una visione molto più ampia di cosa volesse dire vincere un Gran Premio…”.
LA SCHEDA TECNICA
Telaio: monoscocca autoportante con pannelli di alluminio rivettati su una struttura in tubi in acciaio a sezione rettangolare
Sospensioni: anteriori a ruote indipendenti con quadrilateri deformabili, doppi triangoli, con bilanciere che comanda il gruppo molla e ammortizzatore entrobordo; posteriori con quadrilateri deformabili, braccio superiore, trapezio inferiore e un puntone di reazione ancorato alla scocca
Sterzo: a cremagliera
Cambio: Ferrari trasversale a 5 rapporti più Rm con differenziale autobloccante Zf a lamelle
Frizione: dischi multipli in acciaio
Freni: doppio circuito sdoppiato, dischi e pinze Lockeed
Cerchi: Speedline in lega da 13”
Gomme: slick Goodyear anteriori 9.2-20.0/13” e posteriori 16.2-26.0/13”
Passo: 2.518 mm
Lunghezza: 4.143 mm
Larghezza: 2.030 mm
Altezza: 1.275 mm
Carreggiate: anteriore 1.510 mm; posteriore 1.530 mm
Peso: 575 kg
Motore: posteriore- centrale in funzione semi-portante
Architettura: 12 cilindri a V di 180 gradi con basamento e testata in lega leggera e cilindri con canne in alluminio
Cilindrata: 2.991,8 cc
Distribuzione: doppio albero a camme per ogni testata con comando a ingranaggi posteriore, 4 valvole per cilindro
Alimentazione: iniezione indiretta Lucas, accensione elettronica Aec 104 Magneti Marelli
Potenza stimata: 495 cv a 12.200 giri
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