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Analisi

Ferrari: la SF70H ha stupito tutti, ma è mancata l'affidabilità del motore

Cinque vittorie di Vettel e venti podi non sono bastati per contrastare Hamilton e la Mercedes, nonostante un avvio di campionato condotto in testa al mondiale: i guai alla power unit e gli errori di Sebastian sono costati il titolo iridato.

Le monoposto di Sebastian Vettel, Ferrari SF70H e Kimi Raikkonen, Ferrari SF70H nel parco chiuso

Foto di: Sutton Motorsport Images

La squadra

 

Maurizio Arrivabene, Team Principal, Ferrari talks to an engineer
Maurizio Arrivabene, Team Principal Ferrari parla con Mattia Binotto, direttore tecnico del Cavallino

Photo by: Glenn Dunbar / LAT Images

Per stilare il bilancio di una stagione sportiva bisogna riavvolgere il nastro lungo un anno e riposizionarlo al punto di partenza. Dodici mesi fa, al termine della deludente stagione 2016, in casa Ferrari si lavorava a pieno ritmo per rispondere a tanti interrogativi a cui il campionato avrebbe dovuto dare risposte.

Si parlava della nuova direzione tecnica affidata a Mattia Binotto, dell’emorragia di tecnici di fama a cui non aveva fatto seguito un reclutamento di ingegneri di grido, e con il presidente Sergio Marchionne trincerato dietro a un no-comment al solo pronunciare la parola ‘pronostico’.

“La nostra metodologia di lavoro è cambiata dallo scorso agosto – spiegava Marchionne alla vigilia del natale 2016 - quando abbiamo promosso Binotto. Una decisione presa anche per darci la tranquillità e la consapevolezza di spendere soldi e risorse nella direzione giusta”.

A fine febbraio la parola è passata alla pista, e da subito si è intuito che il progetto SF70H era nato bene. I riscontri dei test pre-campionato disputati a Barcellona erano stati ottimi, ma sempre con il dubbio che la Mercedes si fosse un po’ nascosta.

C’è voluto il trionfo di Melbourne per mettere le cose in chiaro, una vittoria che ha confermato la Ferrari come miglior interprete del nuovo regolamento tecnico. Nelle prime sei gare Sebastian Vettel ha concretizzato uno bottino di tre vittore ed altrettante seconde posizioni, prendendo la leadership del Mondiale.

Dopo la doppietta monegasca è arrivata la consapevolezza che gli obiettivi della vigilia (tornare a essere protagonisti) sarebbero diventati altri, traguardi decisamente più impegnativi. Poi, improvvisamente, tutto è diventato più difficile.

La trasferta asiatica disputata tra settembre e ottobre (Singapore, Malesia, Giappone) si è conclusa con un parziale tra Hamilton e Vettel di 68 a 12. Addio titolo per Vettel e per la Ferrari, che concluderà la stagione con sei ritiri contro l’unico stop pagato dalla Mercedes.

Il sogno è sfumato insieme alla mancanza di affidabilità della power unit, e la delusione nel box Rosso si è toccata con mano. Ma nel bilancio di un campionato concluso con cinque successi e altrettante pole position (ed un numero complessivo di venti podi) è importante ricordare quanto grande sia stato il passo avanti fatto dai tecnici della Scuderia, riuscendo per la prima volta nell’era hybrid a mettere sotto pressione la Mercedes.

I PILOTI

Sebastian Vettel

 

Race winner Sebastian Vettel, Ferrari SF70H celebrates in parc ferme
Sebastian Vettel vittorioso nel GP del Brasile con la Ferrari SF70H

Photo by: Sutton Motorsport Images

Nel suo terzo anno da ferrarista Sebastian Vettel è tornato a combattere per il titolo Mondiale, e questo per il tedesco è stato il verdetto più importante del suo 2017. Nelle prime sei gare del Mondiale abbiamo visto un super-Vettel, veloce, aggressivo, senza timori reverenziali nei confronti di alcun avversario. Ma il ritorno al vertice è coinciso con lo stress legato ad un dualismo molto impegnativo con il tandem Hamilton-Mercedes, tensione sfociata clamorosamente a Baku. In certe occasioni non è un errore in se a fare notizia, ma chi lo commette. Il Gran Premio di Azerbaijan 2017 sarà sempre ricordato per la ruotata che Vettel ha rifilato a Hamilton, un episodio che rimarrà una macchia per il pilota tedesco. E’ più facile comprendere il processo che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs che ciò che è passato nella testa di Vettel in quel momento. Anche a Singapore e a Città del Messico si è visto un Vettel lontano dal ‘cecchino’ capace di leggere la gara da campione del Mondo, e proprio in Messico è arrivata la certezza della sconfitta aritmetica. Messe da parti le ambizioni mondiali, dopo due settimane (in Brasile) Vettel è tornato alla vittoria con una partenza da manuale che ha bruciato il poleman Bottas. Con cinque successi (e tredici podi complessivi) la stagione di Seb non manca di giornate da ricordare, ma in chiave futura è importante che faccia tesoro degli errori commessi, perché contro lo squadrone Mercedes per puntare al titolo serve il cento per cento.

Kimi Raikkonen

 

Kimi Raikkonen, Ferrari SF70H con una ventola di raffreddamento
Kimi Raikkonen sulla Ferrari SF70H

Photo by: Sutton Motorsport Images

Un anno da scudiero, il 2017 di ‘Iceman’. Il miglior Kimi è emerso nelle giornate in cui la SF70H si è confermata una spanna sopra la Mercedes (Monaco e Budapest), riuscendo in queste condizioni ad avvicinare la performance del compagno di squadra. Nel Principato il successo è sfuggito a causa di un ‘overcut’ magistrale di Vettel, in Ungheria, dove Seb ha lottato con un problema allo sterzo, è stato il muretto-box (per gioco di squadra) a relegare Raikkonen in seconda posizione. Ma ci sono stati anche weekend in ombra, decisamente lontani dalla performance garantita da Vettel, e il bilancio finale in qualifica (15 a 5 a favore di Vettel) radiografa bene quanto visto in pista. Il Raikkonen capace di fare la differenza, anno dopo anno ha lasciato il posto ad un pilota consistente ma privo dell’intensità indispensabile per puntare al titolo Mondiale. Nell’economia della Ferrari Kimi ha però un ruolo che si incastra bene con le esigenze della squadra: un ottimo rapporto con Vettel, uno scudiero pronto a sacrificarsi per la squadra, e (a corrente alternata) un pilota ancora in grado di puntare al podio. Ritrovarsi ogni anno a sottolineare che Raikkonen non è in più il top-driver di dieci anni fa è una valutazione scontata, e che poco aggiunge a quanto già detto nell’arco del suo secondo ciclo ferrarista

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