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20 anni fa: Lunetta ricorda la prima vittoria di Schumacher sulla Ferrari

Ignazio Lunetta, ingegnere di pista di Michael Schumacher, rivive la prima vittoria del campione tedesco con la Ferrari nel GP di Spagna 1996 corso sotto il diluvio esattamente venti anni fa. Dando il via a un'epopea irripetibile.

Michael Schumacher, Ferrari, sorpassa Jacques Villeneuve, Williams

Foto di: XPB Images

Era il due volte campione del mondo, ma alla Ferrari non aveva ancora lasciato il segno. Almeno fino a quel giorno: 2 giugno 1996. La F310 di John Barnard doveva essere l’arma del riscatto della Reparto Corse. Big John aveva imposto un passaggio traumatico per i tecnici di Maranello: la rinuncia alla tradizione del motore 12 cilindri per una conversione al più compatto V10.

In quell’anno entravano in vigore i propulsori aspirati da tre litri e lo 046 a V di 75 gradi rappresentava l’ideale per una buona ripartizione dei pesi e una macchina più compatta e aerodinamica (le fiancate erano staccate dalla scocca).

Ma le attese erano deluse dai fatti: tre ritiri e tre podi (due secondi posti e un terzo), ma nessuna vittoria. La F310 era una buona macchina, ma non tale da puntare al titolo. Troppo imprevedibile al variare delle piste (proprio come la SF16-H) e con problemi di affidabilità che avevano mortificato un po’ le aspettative del tedesco. Almeno fino a Barcellona. Per ricordare quel giorno abbiamo sentito Ignazio Lunetta, che all’epoca era l’ingegnere di pista di Michael.

“Arrivammo a Barcellona con il morale sotto i tacchi – racconta l’ingegnere siciliano che oggi è in Magneti Marelli Motorsport – perché Michael aveva colto la pole nel GP precedente a Montecarlo. Era partito bene ma aveva sbattuto prima della curva del Portier, per cui avevamo buttato al vento l’opportunità di tornare a vincere una gara dopo il Canada di Alesi nell’anno prima”.

Michael, invece, era molto carico e consapevole che doveva arrivare il suo momento. In qualifica era terzo a quasi un secondo dalle due Williams di Damon Hill e Jacques Villeneuve che avevano monopolizzato la prima fila. Nel warm up di domenica mattina pioveva a dirotto: aveva cominciato nella notte e non aveva mai smesso: “Allora abbiamo preparato la F310 per il bagnato estremo, aumentando il carico aerodinamico nel posteriore, ammorbidendo le sospensioni e lavorando in modo attento sulle pressioni delle gomme, facendo diverse prove per vedere come reagiva la vettura”.

Lunetta non vuole che si dica, ma secondo il motorista Pino D’Agostino, Ignazio aveva una particolare sensibilità nel preparare le macchine per il bagnato. Mentre Heinz Harald Frentzen sbatteva violentemente con la Sauber, Michael Schumacher se la rideva dentro al casco:
“Rientrato ai box – spiega Lunetta – alzò la visiera e mi disse: Ignazio oggi vinciamo noi, sento la macchina sul bagnato come se fosse sull’asciutto! Ma dopo quanto era accaduto nel Principato, mi ero tenuto per me quelle considerazioni…”.

Sotto al diluvio l’avvio della gara era stato un disastro: Michael al primo giro era finito al settimo posto per un problema al via alla frizione. In testa Villeneuve era seguito da Alesi, Hill, Berger, Barrichello e Irvine. Eddie era finito in testacoda ed era stato costretto al ritiro, mentre Schumi infilava Barrichello. Al 4. giro è stato Damon Hill a finire fuori pista e al quinto passaggio il tedesco superava Berger, recuperando su Alesi quattro secondi al giro. Gli altri sembrava che andassero al ralenty: Schumacher aveva arpionato il francese al nono giro e dopo tre passaggi si era portato al comando su Villeneuve:

“Aveva un passo insostenibile– racconta Lunetta – avrebbe potuto doppiare tutti se non avesse avuto dei misfire di motore che gli facevano perdere potenza. Michael non si era perso d’animo perché aveva deciso di gestire i cavalli in meno come se avesse un traction control. Eravamo impietriti al muretto nell’ammirare il suo passo indiavolato sotto l’acqua”.

La bandiera a scacchi fu una liberazione:
“Non l’avrei più visto così euforico se non dopo la conquista del primo mondiale – ricorda Ignazio – Michael era entusiasta. Sapeva di aver dato una svolta alla squadra con un’impresa memorabile. Una volta sceso dal podio mi era venuto incontro e mi aveva sollevato per abbracciarmi”. La Ferrari non disponeva della monoposto migliore, ma del pilota più forte: “Da quella domenica sapevamo che avremmo potuto vincere ancora: la vittoria di Barcellona, per quanto inaspettata su una pista difficile per la F310, era stata fondamentale a ridare una grande motivazione a tutta la squadra. Tant’è che poi vennero anche i successi di Spa e Monza”.

Lunetta non potrà mai dimenticare cosa accadde la settimana dopo:
“Ci siamo rivisti ai test e Michael mi era venuto incontro. Era strano, un po’ imbarazzato: si era avvicinato per regalarmi un orologio. Davvero non me lo aspettavo: era un Omega Speedmaster Luna che porto ancora al polso. In tanti anni da ingegnere di pista non mi era mai successo di notare un gesto di riconoscenza così spontaneo da parte di un pilota. Eppure ne ho visti tanti in carriera…”.

Poi il silenzio e un clic al cellulare. Perché restano solo quelle sensazioni profonde che non hanno bisogno di altre parole.

Sono trascorsi venti anni da qual giorno, ma sappiamo che Michael continua a lottare…

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