Wet race? Perché non liberalizzare le altezze delle monoposto nel parco chiuso
Per evitare di partire con la safety car in caso di pista bagnata basterebbe cambiare una norma del regolamento per fare in modo che lo splitter non vada in aquaplaning sollevando le ruote direzionali. E' troppo difficile?
Foto di: XPB Images
Nemmeno la pioggia riesce a ribaltare quelli che sono gli attuali valori della Formula 1. La sequenza è chiara, chiarissima: Mercedes, Red Bull Racing e Ferrari nell'ordine. Con tutti gli altri lontani anni luce. E chi non vuole vedere questa situazione ormai ben definita dovrebbe mettersi un bel paio di occhiali. Ma non è di questo che vogliamo parlare, quanto piuttosto di quale dovrebbe essere l'atteggiamento del Circus rispetto alla pista bagnata.
La tendenza del grande pubblico è di considerare gli attuali piloti dei conigli e quelli del passato dei "cavalieri del rischio". Perché? E' molto semplice: perché i Gran Premi partono in regime di safety car quando piove come a Monaco e Silverstone e perché si ritardano le qualifiche per un temporale estivo come in Ungheria.
E' logico oppure no? Qualcuno sostiene che Charlie Whiting, direttore di prova della Formula 1, abbia irrigidito la sua posizione dopo l'incidente di Jules Bianchi nel GP del Giappone del 2014, quando il giovane pilota transalpino era finito contro un mezzo di soccorso perdendo il controllo della sua Marussia durante la gara bagnata finendo in un coma profondo da cui non si è mai ripreso, fino alla morte.
Ma non ci sono solo questioni morali legate alla sicurezza. Ci sono aspetti tecnici che forse vale la pena di spiegare una volta per tutte. Le monoposto dal 2003, anno in cui è stato introdotto il parco chiuso, devono affrontare le qualifiche e la gara nelle stesse condizioni di assetto. Il provvedimento era scattato per evitare che qualche team continuasse a preparare una macchina da qualifica con l'intenzione di limitare i costi. Idea sacrosante.
Adesso, però, siano arrivati al parossismo. In caso di pioggia non si possono modificare le altezze delle monoposto creando delle oggettive situazioni di pericolo. Perché? E' molto semplice: con l'asciutto le monoposto adottano un assetto Rake (picchiato). Il retrotreno è rialzato, mentre lo splitter anteriore (il becco in carbonio sotto al telaio che gli inglesi chiamano T-tray) striscia sull'asfalto garantendo un maggiore carico aerodinamico. Se sull'asciutto può essere un mezzo per trovare delle prestazioni, con il bagnato il fondo può diventare un'arma letale.
Bastano pochi millimetri di pioggia sul manto asfaltato perché lo splitter vada a "galleggiare", sollevando di quel poco le gomme anteriori perché non abbiano più grip sulla pista. L'aquaplaning, insomma, sarebbe determinato dal T-tray e non dalle gomme. Non c'è pilota che sia in grado di controllare una monoposto sul bagnato senza direzionalità. Non ci sarebbero riusciti nemmeno Tazio Nuvolari, Jim Clark e Niki Lauda.
Come se ne può uscire? Cambiando il regolamento con una frase semplice: in caso di wet race è possibile cambiare l'altezza da terra delle monoposto. Non servirebbe più la safety car e si potrebbe tornare a partire normalmente. Troppo difficile?
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