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Intervista

Allison: dagli esordi in Benetton ai successi con Renault

James Allison è senza dubbio uno dei tecnici di maggior successo in Formula 1. In questa prima parte l'aerodinamico inglese racconta in modo molto intimo come ha esordito nel circus iridato.

James Allison, Mercedes

Foto di: Mercedes AMG

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Il controllo dell'aria è un concetto che ha pervaso la vita di James Allison fin dall'inizio. Suo padre, Sir John Allison, è stato un pilota di caccia e poi comandante in capo del RAF Strike Command, nonché un appassionato restauratore e pilota di auto d'epoca. Forse allora non è sorprendente che essendo cresciuto in questo contesto Allison abbia iniziato il suo percorso in Formula 1 come aerodinamico. Ma c’è dell’altro in questa storia: il senso del dovere che abita in coloro che sono cresciuti nelle forze armate e intorno ad esse.

La carriera di Allison ha vissuto alti e bassi sconvolgenti ed l’ingegnere della Mercedes ha raccontato tutto a GP Racing...

GP Racing: Nel tuo profilo aziendale Mercedes dici - scherzando - che hai voluto lavorare in Formula 1 perché era una grande alternativa per crescere e ottenere un lavoro vero e proprio. Ma dato il tuo background familiare sembra quasi un passaggio naturale che tu sia stato coinvolto nel mondo delle auto ed dell’aerodinamica.

James Allison: “Nella mia testa, allora come oggi, 'un vero lavoro' è quello in cui le cose si muovono lentamente, in cui le priorità non sono sempre chiare. E quello che facciamo è profondamente eccitante e stimolante e sai esattamente per cosa sei lì. È difficile, ma non sembra mai un lavoro faticoso”.

“Ho studiato ingegneria all'università, ma la maggior parte dei miei colleghi non sono diventati ingegneri, sono andati a vivere nella City ed hanno guadagnato un sacco di soldi. Questo non mi piaceva, mi lasciava un po' freddo”.

“Mi piaceva davvero l'ingegneria, mi piaceva quello che studiavo, e mi piaceva il lavoro che facevo fuori dall'università cercando di migliorare alcuni oggetti. Sapevo che gli aerei mi piacevano molto per via della mia educazione”.

“Ero anche un appassionato di Formula 1 e mi piaceva l'idea di un campionato in cui un team di ingegneri poteva mettere il proprio ingegno contro quello di un altro team con un ciclo piuttosto intenso di miglioramenti. Nella mia scuola c’erano due ragazzi il cui padre era Robin Herd [co-fondatore della March], e chiesi loro se potevo fare una chiacchierata con lui. Mi diede un sacco di consigli e mi spinse a tentare la fortuna e scrivere alle squadre. L'ho fatto e ho detto: 'Mi piacerebbe lavorare, non ho bisogno di soldi, vorrei solo lavorare in qualsiasi veste', e ho avuto fortuna”.

GPR: I team di F1 ora impiegano centinaia di persone. Quando sei entrato alla Benetton nel 1991 come ingegnere aerodinamico junior, presumibilmente avevi una visione più ampia dell'intera vettura rispetto a quella che avrebbe oggi una persona in quella posizione?

JA: In quel periodo la Benetton aveva trasferito i suoi uffici tecnici da Witney a Godalming, vicino alla casa del direttore tecnico John Barnard. Sono stato molto fortunato a ricevere l'opportunità dalla Benetton. Non era un team dominante, ma aveva ambizioni di titolo”.

“Sapevo che stavo entrando in una squadra di vertice con una struttura e un certo ordine che le squadre più piccole non potevano permettersi. Ero un membro junior del dipartimento di aerodinamica, ed ai tempi non c’era l'esercito di 150 persone che si potrebbe trovare in una grande squadra di oggi. Ero il settimo membro di una squadra di aerodinamici, ma il mio lavoro non andava oltre le mura del reparto aerodinamico. Non avevo la possibilità di controllare l'intera macchina”.

Michael Schumacher, Benetton B192 Ford

Michael Schumacher, Benetton B192 Ford

Photo by: Motorsport Images

“L'azienda aveva firmato un contratto per utilizzare una delle gallerie del vento a Farnborough, un affare molto più grande del tunnel che avevano usato a Shrivenham. Questo tunnel era stato progettato per gli aeroplani e doveva essere convertito in modo che ci potessero entrare le automobili e aveva bisogno di tutta una serie di sistemi di montaggio delle ruote”.

“Il mio primo lavoro è stato quello di capire come far entrare nel tunnel il tappeto mobile e fare in modo che il sistema di montaggio del modello fosse funzionante e dimensionato correttamente. Era un progetto di design piuttosto interessante per qualcuno appena uscito dall'università”.

GPR: Subito dopo sei andato a lavorare con Robin Herd alla Larrousse come responsabile dell'aerodinamica. Volevi puntare sempre più in alto?

JA: In realtà è stato solo un totale errore di valutazione. L'era di John Barnard ha subito una battuta d'arresto quando è stato licenziato e Gordon Kimball è subentrato al suo posto. Poi Flavio [Briatore] ha raggiunto un accordo con Tom Walkinshaw, che aveva un team di progettazione guidato da Ross Brawn, Pat Symonds e Rory Byrne”.

“Ross arrivò insieme ad alcuni dei suoi colleghi della Jaguar. Sembra un sogno ora, ma per un po' ci sono stati due progetti in parallelo, una realizzato da Gordon Kimball e uno dal team di Ross. Un progetto avrebbe usato il V8 Ford e l'altro il V10. Poi avremmo tirato le somme e capito quale fosse il migliore”.

“Questa situazione non è durata a lungo e sensatamente tutto si è concentrato su Ross. Mentre tutto questo si stava mettendo a fuoco, Willem Toet e un paio di modellisti che erano stati alla Reynard sono arrivati come rinforzi e così quel team di sette persone è diventato un team di 10 sotto una guida diversa, e io ho completamente frainteso la situazione”.

“Ho pensato che per quanto grande fosse quel team non poteva assolutamente permettersi quella espansione nel reparto aerodinamico, che qualche taglio sarebbe stato inevitabile e io sarei stato cacciato a favore dei nuovi arrivati. Così ho iniziato a guardarmi intorno e Robin Herd, che aveva questa piccola impresa a Bicester che fungeva da team di progettazione per la Larousse, mi chiese se volevo unirmi a loro”.

“Ho dato le mie dimissioni il giorno di Capodanno. A quel punto avevo passato diversi mesi a lavorare sotto  Willem, disegnando molti componenti aerodinamici. Gli consegnai la mia lettera di preavviso dicendogli: "Guarda, ti risparmio la fatica, ho accettato un lavoro altrove". Si mise la testa tra le mani e disse: "Nooooo...". Aveva in mano un contratto che prevedeva un aumento di stipendio davvero sostanzioso per me”.

“Ma a quel punto avevo già dato la mia parola a Robin. Poteva sembrare una follia lasciare una squadra dove avevo creato un'impressione favorevole e andare in una squadra più piccola per meno soldi, ma mi sembrava importante rispettare la mia parola. E in realtà, per come è andata, è stato un bene, perché è stata una grande esperienza lavorare proprio all'altra estremità della griglia”.

Toshio Suzuki, Larousse LH93 Lamborghini

Toshio Suzuki, Larousse LH93 Lamborghini

Photo by: Motorsport Images

“Il dipartimento di aerodinamica era composto da me e due modellisti. Era super impegnato e naturalmente destinato a fallire. Ma lungo il percorso verso quel fallimento ci siamo divertiti molto, abbiamo segnato qualche punto occasionale, e ho imparato di più sulla macchina nel suo complesso in virtù del fatto di lavorare in un piccolo team”.

“Quando Larousse fallì, mi rimisi in contatto con Willem. Si ricordò di me e mi offrì un lavoro di nuovo con la squadra che ormai si era trasferita a Enstone. Questo accadeva nel 1994, poco prima di tutto il casino di Spa e la rottura con Max Mosley” (quando Michael Schumacher fu squalificato per eccessiva usura del fondo ndr).

GPR: Come si fa a reintegrarsi in un team più grande quando hai avuto una posizione teoricamente più alta in uno più piccolo?

JA: “I dipartimenti di aerodinamica sono divisi in unità operative. C’è la l’unità che produce i pezzi che vengono testati nella galleria del vento, e quella dedicata agli aspetti concettuali che propone le forme e le idee. Durante quel periodo ho lavorato a fianco di Nikolas Tombazis, che ora è alla FIA. Nikolas era il cervello aerodinamico concettuale e io ero la persona che faceva tutto, quindi mi occupavo di tutto il design e di una buona parte dei test. Abbiamo formato una squadra ragionevolmente buona fino al 1997 circa, quando Nikolas è passato alla Ferrari insieme a Ross e Rory”.

GPR: È stato così che sei passato alla Ferrari? La Benetton è andata a picco, competitivamente parlando, negli anni successivi.

JA: È così. Abbiamo perso Michael quando è andato alla Ferrari, e abbiamo acquisito al suo posto Gerhard Berger e Jean Alesi. Questo non è stato un upgrade”.

“Inoltre la squadra ha perso Flavio, e la famiglia Benetton ha iniziato a gestire la squadra. Abbiamo perso un sacco di sponsor, oltre a perdere Ross, che è un leader ingegneristico molto capace. Rispetto agli anni vincenti del campionato del '94 e '95 il declino è stato orribile e mi sono sentito personalmente molto responsabile per questo perché, dopo l’addio di Nikolas, sono stato lasciato a gestire il reparto aerodinamico da solo”.

“Stavamo cercando di mantenere il programma della galleria del vento a Farnborough mentre costruivamo un nuovo tunnel a Enstone. Questo è stato un lavoro piuttosto importante perché era il periodo in cui i modelli della galleria del vento stavano passando dall'essere solo in grado di regolare l'altezza di marcia e l'angolo di beccheggio, all'essere in grado di simulare anche il rollio e la sterzata”.

“Il sistema di attuazione del modello per questo è difficile da configurare correttamente. A quel punto ero molto teso e, come molte altre persone, facevo degli orari folli. Era difficile perché dopo tutto lo sforzo non si vedeva nemmeno un guizzo di ricompensa in pista. Al contrario la macchina peggiorava ad ogni stagione che passava, i soldi erano sempre più difficili da ottenere in termini di sponsorizzazione e la direzione si agitava”.

“Quando sei in una squadra in un ciclo discendente ti senti insicuro, ma questo periodo è culminato in quella che forse è la cosa migliore che mi sia capitata nella mia carriera, un licenziamento costruttivo”.

Giancarlo Fisichella, Benetton Playlife B198

Giancarlo Fisichella, Benetton Playlife B198

Photo by: Sutton Images

“Stavo svolgendo un test aerodinamico in Francia e mi è stato chiesto di tornare di corsa per effettuare un colloquio ad una potenziale nuova recluta aerodinamica. Si trattava di Ben Agathangelou, uno splendido ragazzo che aveva gestito il materiale aerodinamico per il programma Honda che non si era mai concretizzato. Così l'ho intervistato e gli ho detto che si sarebbe inserito facilmente. Poi ho ricevuto una chiamata da Nikolas che mi ha detto: "James, devi guardarti le spalle perché la tua squadra ha assunto Ben al posto tuo". Intervistare il tuo stesso sostituto è stato un po' difficile da sopportare!”.

GPR: Dal punto di vista aziendale un sacrificio umano è spesso richiesto quando si ritiene che un progetto stia fallendo?

JA: “È stato un fantastico campanello d'allarme. Avevo dato tutto al lavoro. Ogni volta che dovevo scegliere se fare bene le cose del lavoro o prestare un po' di attenzione a mia moglie e ai miei figli piccoli, avevo sempre scelto la strada del lavoro. Mi illudevo in qualche modo di occuparmi del futuro della mia famiglia... che nei momenti difficili ci sarebbe stato una sorta di impegno reciproco da parte dell'azienda. Ma in realtà l'azienda non è una persona, non è tua amica, la sua lealtà è verso l'entità aziendale”.

“Questa è stata un'utile ricalibratura del mio atteggiamento. Ho potuto vedere che c'erano cose più importanti del lavoro, che avevo altre responsabilità più importanti - mia moglie e la mia famiglia. E di conseguenza sono diventato un dipendente molto più efficace perché ho lavorato ad un livello che era duro, ma sostenibile, e sono stato anche un marito migliore dopo. Quindi posso dire che essere licenziato, di tanto in tanto, fa bene”.

“Un'altra cosa buona che è derivata dal licenziamento è che sono finito in Italia a lavorare per Nikolas alla Ferrari ed ho potuto recitare una piccola parte in quel periodo glorioso. Inoltre l'esperienza di essere a Maranello con 'Becca - mia moglie - e i miei tre figli è stata semplicemente fantastica. Abbiamo trascorso quasi cinque anni in un luogo idilliaco con un sacco di nuovi amici e abbiamo fatto molte nuove esperienze”.

GPR: È stata la Ferrari dove hai imparato l'arte della "caccia al tartufo", per così dire? Ross Brawn aveva la reputazione di riunire tutti intorno a sé, di rompere i compartimenti stagni tra i reparti e di incoraggiare le idee che potevano portare individualmente a guadagni di decimi di secondo ma che sommate potevano far ottenere di più”.

JA: La Ferrari era una squadra ben organizzata e Ross un direttore tecnico di grande talento. Ma non era solo il lato tecnico. Una squadra che ha successo ha forza e organizzazione su tutta la linea. Jean Todt è stato un grande team principal. Ha assunto il miglior pilota, il miglior direttore tecnico, si è assicurato il miglior budget e ha lavorato molto duramente per mantenere le cose stabili in un ambiente notoriamente instabile”.

Michael Schumacher celebra la vittoria sia in gara che nel campionato del mondo con Ross Brawn, Direttore Tecnico, Ferrari, Jean Todt, Team Principal, Ferrari e il resto del team Ferrari

Michael Schumacher celebra la vittoria sia in gara che nel campionato del mondo con Ross Brawn, Direttore Tecnico, Ferrari, Jean Todt, Team Principal, Ferrari e il resto del team Ferrari

Photo by: Motorsport Images

“Era spietato nel tagliare le mele marce dalla squadra e, di conseguenza, era un buon ambiente dove le persone sapevano di spingere tutte nella stessa direzione. Potevano non essere decimi, ma centesimi, ma ogni persona stava aggiungendo centesimi. È stata anche la mia prima esperienza per trascorrere del tempo in pista, il che può sembrare insolito per le persone al di fuori della F1”.

“La Ferrari è stata la prima a individuare l'opportunità di assicurarsi che le persone in pista ottenessero il meglio dall'aerodinamica dell'auto. Prima di allora, non c'era stato un collegamento sistematico tra la squadra corse e la squadra aerodinamica, uno sforzo congiunto per scoprire se l'auto si stava effettivamente comportando come la galleria del vento suggeriva. E lo sforzo per rendere la strumentazione abbastanza buona da effettuare misure aerodinamiche sul circuito era appena iniziata”.

“Quando Nikolas mi ha assunto mi ha offerto una serie di possibilità: lavorare nella galleria del vento o questo lavoro, e tutti sarebbero stati divertenti. Questo, però, era un terreno nuovo. È stata una grande esperienza, non solo perché mi è stata data fiducia per guidare qualcosa di nuovo, ma anche perché all'epoca le squadre da corsa trattavano la fabbrica con un certo disprezzo. Ho dovuto essere un po' abile dal punto di vista umano per rendere il rapporto abbastanza forte da indurre le persone a darmi ascolto. Una volta che ci sono riusciti e i risultati sono stati tangibili”.

GPR: Nel 2005 sei tornato a Enstone - in Renault - come vice direttore tecnico. A che punto durante gli anni della Ferrari hai iniziato ad aspirare ad assumere un ruolo di leadership più ampio?

JA: “La gente spesso non mi crede quando lo dico, ma in nessun momento ho pensato a questo e penso che sia stato un errore. L'esperienza del licenziamento mi ha fatto capire che l'ambizione personale è una cosa pericolosa. Quello che dovresti cercare di fare è goderti la vita che ti è stata data. Se come conseguenza del lavoro duro e dell'essere un buon compagno di squadra la gente ti offre altre cose, beh, è fantastico”.

“Ho vissuto un periodo favoloso con la Ferrari, sarei stato felice che continuasse, ma la mia figlia maggiore si stava avvicinando all'età della scuola secondaria. Io e mia moglie stavamo pensando: saremmo rimasti in Italia per altri 13 anni?. È davvero credibile? La F1 continuerà per altri 13 anni? In quel momento non c'era alcuna garanzia. Mi sembrava troppo incerto per i miei figli impegnarmi in un futuro in cui ero meno sicuro di essere in grado di guadagnare uno stipendio in un paese straniero rispetto alle tutele che avrei avuto se fossi caduto in disgrazia nel Regno Unito”.

“Così mi misi in contatto con Bob Bell, con cui avevo lavorato alla Benetton. Ci siamo piaciuti fin dall'inizio. Lui era andato in Jordan dopo la Benetton, poi è tornato a Enstone quando la squadra è diventata Renault e ora era direttore tecnico”.

“La Renault aveva un uomo  incredibile, Dino Toso, come capo dell'aerodinamica. Una persona carismatica, talentuosa e intelligente, e la sua visione era una gran parte del motivo per cui la Renault era passata da una macchina completamente non competitiva nel 2001 ad avere una vettura vincente nel 2003, e poi una in grado di vincere il campionato”.

“Ma a Dino era stato diagnosticato un cancro molto aggressivo ed era stata data una prognosi infausta. Nonostante la chemio e la radioterapia che stava sopportando, stava proseguendo il suo lavoro con grande abilità e coraggio ispiratore. Bob voleva permettere a Dino di farlo finché non avesse sentito di non poterlo più fare. Ma Bob sapeva anche che doveva cercare qualcuno che potesse prendere le redini nel caso in cui Dino si fosse ritirato dalla mischia”.

“Così Bob mi ha assunto dalla Ferrari su questa base, come vice direttore tecnico. Dino lo sapeva ed era favorevole al mio arrivo. E sfidando tutte le previsioni fatte dai suoi medici, continuò a fornire alla Renault un contributo straordinario per un lungo periodo, durante il quale si sposò e divenne padre, e la squadra vinse due campionati”.

Fernando Alonso

Fernando Alonso

Photo by: Motorsport Images

“Ho fatto del mio meglio nel mio compito di vice direttore tecnico e quando alla fine Dino ha ceduto alla sua malattia il mio ruolo era diventato utile. La generosità della squadra di permettermi di trovare un ruolo e ottenere un successo adeguato ha fatto sì che quando Bob è andato avanti, diventando team principal nel 2009, ho finito per essere nominato direttore tecnico. Niente di tutto ciò era programmato, le cose accadono e si spera che tu sia lì”.

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