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Dakar | Audi alza la sfida, nel contrasto del nulla nel deserto

Ecco il racconto del nostro inviato che ieri si è aggregato alla comitiva del raid al seguito del team Audi: la sfida tecnologica portata dalla Casa dei quattro anelli in Arabia Saudita è in stridente contrasto con la realtà della gara che si richiama alle origini di Thierry Sabine: la partenza della tappa è vicina all'autodtrada, poi c'è il deserto. La solitudine, la navigazione e si entra in un altro mondo dove si imparara a saper aspettare.

#200 Team Audi Sport Audi: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger

Dakar 2022 | Audi

Esordio per la nuova Audi alla Dakar 2022: seguite tutti gli aggiornamenti su Motorsport.com

E’ ancora buio quando l’autostrada che attraversa Riyahd inizia a lasciar spazio a lunghe distese desertiche, sempre più assolate. I grandi palazzi svaniscono dietro lo specchietto, mentre il Suv che ci accompagna prosegue lungo la corsia centrale. Silenzio, dettato dalla stanchezza di appena 2 ore di sonno, ma soprattutto dal suono di chi ci supera sulla nostra sinistra. Prima l’Hunter T1 di Loeb, poi una Toyota Hilux. Le distingui fin dal suono, più corposo il primo, più squillante il secondo, seppur al minimo. Pochi minuti e veniamo sopravanzati anche dalla Audi RS Q e-tron.

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La percepisci subito, al di là delle dimensioni e della sua silouhette. Il sibilìo è imponente, degno di un mezzo che rimane sempre in tiro quando si parla di trazione. Un’ora buona, e ci si accosta sul dorso destro di una enorme distesa polverosa con il sole che oramai ha fatto capolino. Si passa per un cancello, sgangherato invero, e tra un misto di fango e sabbia, la buggy elettrica di Ingolstad si ferma.

Lo sportello si apre, e Carlos Sainz scende insieme a Lucas Cruz. Quattro parole – soprattutto con i colleghi spagnoli – prima di iniziare quel cerimoniale laico necessario prima della partenza.

“Peccato per quel road book della seconda tappa. Pero siamo veloci”. La RS Q e-tron è tanto imponente nelle sue proporzioni, quanto rastremata nel suo abitacolo dove dentro si notano facilmente i due monitor con le indicazioni di navigazione. Sì insomma, il roadbook è telematico. Niente di meglio considerando le difficoltà che, fin dalla sua presentazione, L’ASO aveva predetto: questa Dakar 2022 punta forte sull’orientamento.

#200 Team Audi Sport Audi: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger

#200 Team Audi Sport Audi: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger

Photo by: Flavio Atzori

L’ambiente è spartano, rude, pionieristico quasi. Ogni protagonista, ogni auto, si trova autonomamente uno spiazzo, con attorno, in maniera reverenziale, un manipolo di tifosi. E poco importa se si tratta di due ragazzi che, piegati con chiavi e strumenti, cercano una riparazione di fortuna, o uno Stephane Peterhansel che, a pochi metri da De Villiers e dal suo Hilux, respira semplicemente aria di casa.

Difficile da spiegare, ma epidermicamente facile da percepire. D’altronde, Thierry Sabine lo diceva: "La Dakar non si può raccontare a parole, serve viverla per capirla".

C'è una contraddizione di fondo che affascina: la corsa del deserto più selvaggia del mondo, banco di prova per quella che da Ingolstadt definiscono come “il mezzo più complesso mai creato”. Come per la Pikes Peak, si respira un’atmosfera pionieristica, degna di un libro di Asimov. Eppure, la santità di una corsa così, immersa in un mondo desolato che, a ben vedere, parte ad appena 500 metri in linea d’aria (se non di meno) rispetto all’autostrada che porta a Riyahd.

Il silenzio viene spezzato dall’avviamento del motore turbo benzina TFSI. Tiene alti i giri, costanti, verosimilmente intorno a 6.000 giri/min: serve rigenerare quanto più possibile la batteria sfruttata – evidentemente – nel trasferimento, prima di scattare al via, sfruttando la trazione elettrica.

#200 Team Audi Sport Audi: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger

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Photo by: Flavio Atzori

Sono le 7.30 locali, e dallo starting point, iniziano a partire a 3 minuti di distanza, per poi sparire sulla destra, lungo il deserto. Saliamo a bordo, riprendiamo l’autostrada per poi dirigerci, attraverso una bretella, lungo il deserto. L’appuntamento è con un checkpoint. Serve avventurarsi per una mezz'ora buona nel deserto. Strada battuta per chi riesce a percepire al meglio linee e punti di riferimento, un po’ meno per chi non è avvezzo ad un paesaggio così vasto da risultare stordente.

Il Checkpoint è definito dalla nostra tenda, dal nostro accampamento: un mucchio di auto, giornalisti vari, e dromedari. Ogni tanto passa qualche camion carovana del deserto, in grado di trainare perfino case (e non è un modo di dire), che rende bene l’idea della stordente vastità di un ambiente del genere.

E proprio sopra una duna compatta di sabbia e roccia, ti rendi conto che il tuo smartphone – collegamento fondamentale con la tua realtà - non ha campo né per quanto riguarda il traffico dati, né tantomeno GSM. Devastante: nessuna informazione, nessun live timing o qualche tweet per capire come sta procedendo la corsa.

“La Dakar ti insegna la pazienza” racconta un collega che di Dakar ne ha seguite parecchie, quando ancora si arrivava alle rive del Lago Rosa. Ecco, è in quel momento che percepisci la grandezza di una prova del genere, di un rally raid così: correre, senza sosta, navigando a vista. E non c’è tecnologia che tenga, ci si affida al roadbook, all’istinto, al talento. Eccola l’ennesima contraddizione, per questa sfida nel deserto.

#200 Team Audi Sport Audi: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger

#200 Team Audi Sport Audi: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger

Photo by: Flavio Atzori

Passa la Prodrive di Loeb, con incollato Nasser ed il suo Hilux. Scorrono le auto, e tu guardi il tuo orologio. Conti i minuti per capire e intuire che - sì - alla Audi RS Q e-tron qualcosa deve essere accaduto. Già ma cosa? Errore di navigazione? Ritiro? Si scoprirà dopo che Carlos Sainz ha avuto un problema all’ammortizzatore. E che Peterhansel si è fermato per smontare il proprio “bumper” per montarlo sull’unità del Matador.

Scorre l’orologio, con un’ora e tre minuti di ritardo al checkpoint, e probabilmente la lotta per la vittoria finale è definitivamente sfumata, dopo il problema della prima vera tappa. Dalle parti di Ingolstadt probabilmente si mastica amaro, e non potrebbe essere altrimenti visto che questo mezzo ha dimostrato di essere competitivo e affidabile nei suoi elementi chiave: motori elettrici e batteria finora si sono comportati egregiamente, così come la gestione elettronica – vero elemento di sviluppo fondamentale per un’auto del genere, visto che deve essere in grado di riuscire a gestire tre unità differenti MGU e un motore TFSI, come sottolineato più di una volta al bivacco da Julius Seebach.

“L’importante, in questi casi, è aver dimostrato lo spirito di coesione e cooperazione, fondamentale in gare del genere”. Rivendica la vittoria nella tappa più lunga svolta finora, e continua a sottolineare come questo sia un progetto di tre anni.

Vero, come è vero il copioso investimento da parte dei Quattro Anelli che ha portato quell’ambiente e quell’organizzazione più vicini alla 24 ore di Le Mans piuttosto che ad un Rally Raid, e che al momento, non sta portando ad una vittoria finale. E’ una delle regole della corsa ideata da Sabine che può essere riassunto semplicemente con un assunto ben chiaro per chi corre: “Un tempo si diceva, c'est l’Afrique, c'est la Dakar”. 

Cala il buio sul bivacco, così come il freddo, tanto che vicino al container che ospita la “mensa” si accende un falò. Dalle parti di KTM è festa grande per Danilo Petrucci. Ma questa, come tantissime altre, è una storia differente che questa corsa è capace di raccontare. A cominciare dalla prossima tappa.  

#200 Team Audi Sport Audi: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger
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