Le mitiche Ferrari di F.1: Schumi si frattura, ma la F399 vince il Costruttori!
Era dal 1983 che a Maranello non vincevano un titolo a squadre: Michael si è fratturao tibia e perone a Silverstone e ha saltato sei GP. Irvine ha lottato con Hakkinen per il mondiale piloti fino all'ultimo GP, rivelando che la F399 era competitiva.
Foto di: Sutton Motorsport Images
Era la fine di un incubo. Un’attesa che durava dal 1983: il nome della Ferrari tornava finalmente a essere inciso nell’Albo d’oro del mondiale Costruttori.
“Per un team questo titolo vale moltissimo – disse a fine stagione Luca di Montezemolo – è l’ultimo del millennio e il mio primo da Presidente. E credo che non sarà nemmeno l’ultimo”.
Aveva ragione: in quel 1999 il Cavallino Rampante aveva aperto un ciclo di successi straordinario in Formula 1 che solo la Mercedes sembra in grado di rinverdire oggi. È vero era mancato il titolo piloti, ma la stagione era stata segnata dall’incidente di Michael Schumacher che aveva tenuto lontano dai GP il tedesco per ben sei appuntamenti, altrimenti Mika Hakkinen sulla McLaren MP4/14 Mercedes non avrebbe potuto cogliere il secondo mondiale consecutivo.
Alla presentazione della F399 i 450 dipendenti
La F399 aveva vinto sei Gran Premi (quattro con Irvine e due con Schumacher) collezionando 128 punti nel mondiale Costruttori: aveva dato prova di grande consistenza della macchina e della squadra. Già nel giorno della presentazione della monoposto avvenuta il 30 gennaio 1999 nel tendone allestito all’interno della pista di Fiorano si era capito che la Ferrari voleva rimarcare la forza del suo gruppo: al battesimo erano stati invitati per la prima volta tutti i 450 dipendenti della Gestione Sportiva.
Una presenza che portava alla ribalta molte facce sconosciute, ma orgogliose di essere parte del Cavallino Rampante. Quello era un segno di grande coesione del gruppo, plasmato con sapiente cura da Jean Todt.
Ormai c’era l’uomo giusto al posto giusto in ogni settore e la Ferrari poteva essere considerata a ragione la squadra da battere. La F399 disegnata da Rory Byrne manteneva un’indiscutibile somiglianza con la F300 dell’anno prima: nessuna soluzione rivoluzionaria su un pacchetto tecnico che aveva già dimostrato nel 1998 di poter lottare per il titolo.
L’obiettivo era di offrire a Michael Schumacher, il pilota universalmente riconosciuto come il migliore del Circus, una monoposto affidabile, permettendo al tedesco di lottare sempre per le prime posizioni.
La F399 aveva risposto alla grande alle aspettative coprendo il 93% dei giri nei 16 GP che componevano il calendario iridato, registrando solo una rottura per un guaio tecnico. La monoposto aveva mantenuto l’impostazione di base del progetto ’98, ma ogni bullone era stato rivisto per cui ogni particolare di fatto era inedito.
Gomme Bridgestone con quattro scanalature
Il passaggio alle gomme Bridgestone aveva richiesto una diversa ripartizione dei pesi che permettesse il migliore sfruttamento degli pneumatici giapponesi. La FIA, fra l’altro, nei cambiamenti regolamentari (oltre a crash test più severi) aveva imposto l’aggiunta di una quarta scanalatura nelle coperture anteriori.
Era stata spostata, quindi, la posizione del corpo macchina rispetto ai due assi delle ruote: l’abitacolo e le pance laterali erano stati leggermente arretrati rispetto al muso perché era possibile nell’anteriore muovere una zavorra di oltre 50 kg con cui era possibile cercare il miglior bilanciamento.
Molto curata la ricerca aerodinamica che aveva permesso una notevole rastremazione alla base dell’airbox del motore, favorendo un più pulito passaggio dei flussi d’aria verso l’alettone posteriore.
Tombazis capo dell'aerodinamica
Del resto il lavoro nella galleria del vento in scala 1:2 era stato potenziato con l’arrivo dell’ingegnere greco, Nicholas Tombazis, a capo del dipartimento composto da una trentina di persone che si alternavano per sedici ore al giorno.
Muso molto alto e alettone anteriore a freccia erano gli elementi distinguenti di questa Rossa che aveva adottato profili molto diversi quasi a ogni gara, facendo scuola per lo sviluppo di paratie laterali sempre più strane e articolate, mentre il profilo estrattore posteriore era sicuramente quello che garantiva più carico di tutte le monoposto dell’epoca.
La "regolare" proiezione dello schermo
Ma l’aspetto che scatenò violentissime polemiche dopo il GP della Malesia furono gli schermi posti dietro alle ruote anteriori. Entrambe le Ferrari erano state tolte di classifica (avevano concluso prima e seconda: il rientrante Schumy aveva ceduto il passo a Irvine in lizza per il mondiale piloti) perché i commissari tecnici diretti da Jo Bauer avevano riscontrato che la nuova paratia di forma tridimensionale complessa mancava dell’obbligatoria proiezione a terra di 10 mm!
Con l’adozione del fondo piatto, infatti, ogni parte della monoposto compresa fra i due assi delle ruote doveva essere riprodotta in pianta. L’anomalia, va specificato subito, non aveva alcun effetto sulle prestazioni della vettura, ma dava ripercussioni solo… burocratiche: fino all’anno prima anche gli specchietti retrovisori dovevano avere un “ombra” a terra sul fondo piatto.
L’appello della Ferrari discusso a Parigi restituiva i punti alla squadra di Maranello: i tecnici e i legali di Todt furono bravi a spiegare ai giudici che in realtà i commissari FIA erano caduti in un errore di misurazione del pezzo.
La conformità dei deflettori, infatti, andava accertata con i pezzi montati sulla monoposto (siccome erano leggermente inclinati si riduceva a soli 5 mm la “luce” che doveva proiettata sul fondo piatto, una mancanza che rientrava nella norma che accetta una tolleranza nella costruzione dei pezzi. La Ferrari aveva dimostrato la sua forza evitando inutile polemiche e trovando una soluzione legale a un problema che a Sepang sembrava davvero irrisolvibile!
Una delle poche pecche evidenziate dalla F399 era stato il bloccaggio aerodinamico che si creava davanti alle ruote posteriori, nella zona dove la carrozzeria si stringeva con la tipica forma di una bottiglia di Coca Cola.
Per sminuire il problema erano state adottate una serie di pinne che erano poi state integrate con le prese d’aria di smaltimento del calore dei radiatori. Durante la stagione, infatti, era stato necessario migliorare il raffreddamento in funzione delle diverse evoluzioni di motore presentate.
Gilles Simon a capo dei motoristi
Il V10 di 80 gradi siglato 048 nell’ultima versione da qualifica aveva sfondato il muro degli 800 cavalli a 17.700 giri! Nel reparto diretto da Paolo Martinelli si era affidata al francese Gilles Simon a la responsabilità della progettazione dei propulsori, mentre Luca Marmorini lasciava il Cavallino per la Toyota.
Il transalpino aveva portato sullo 048/C un notevole compattamento delle testate, assicurando un baricentro più basso grazie a un nuovo schema della distribuzione. La F399 si era rivelata, quindi, una vettura semplice da mettere a punto e molto sincera nelle reazioni al punto che non solo lo sfortunato Michael Schumacher ha saputo vincere con questa Rossa, ma tutti i piloti che l’hanno guidata si sono trovati nella condizione di lottare per il primato.
Irvine ha combattuto per il mondiale piloti fino all’ultimo GP, mentre Mika Salo, chiamato a sostituire l’asso tedesco durante la convalescenza, è stato a lungo in testa al GP di Germania a Hockenheim. Il finlandese ha rinunciato a una vittoria ormai certa per rispettare l’ordine di scuderia che gli aveva imposto di cedere il passo a Eddie. Da apprezzare il comportamento ultra-professionale di un pilota come Mika che ha visto svanire la sua prima e… unica vittoria in F.1.
Condizionante il crash di Michael a Silverstone
Il mondiale 1999 è stato profondamento condizionato dal destino che si è compiuto al via del GP di Gran Bretagna. Due monoposto erano rimaste bloccate sulla griglia: la BAR 01 di Jacques Villeneuve e la Williams FW21 di Alessandro Zanardi e rappresentavano degli ostacoli fissi pericolosissimi, per cui la direzione di gara aveva deciso di fermare la corsa con la bandiera rossa.
Erano attimi concitati, mentre il gruppo di testa si avventava verso la curva Stowe. Il muretto Ferrari non aveva fatto in tempo a segnalare via radio a Schumacher che la gara era stata interrotta, che sui monitor della tv appariva la F399 del tedesco mentre usciva di pista per la tangente e si schiantava frontalmente contro le protezioni di gomma poste davanti al guard-rail.
L’impatto era stato molto violento (la telemetria di bordo aveva registrato una velocità di 107 km/h al momento del crash e di circa 250 km/h prima dell’uscita di pista) tanto che il telaio si è spezzato, ma grazie all’elevato livello di sicurezza della F399 la cellula di sopravvivenza dell’abitacolo aveva retto perfettamente.
Per un attimo si era temuto di rivivere il dramma di Senna, ma la regia tv ci aveva subito mostrato Michael che provava a uscire dalla monoposto con i suoi mezzi. Non correva rischi, quindi, anche se poi si era accasciato aspettando i soccorsi.
Se l’era… cavata con tibia e perone della gamba destra fratturati. Niente di grave, ma per rimetterlo in forma era necessario operare, applicando una placca. L’intervento era stato affidato al professor Saillant, uno specialista amico personale di Jean Todt che era molto apprezzato dagli sportivi.
Il mondiale del tedesco era compromesso, ma Michael spingeva per rientrare il più presto possibile. Contava di essere in pista in Ungheria, ma il dolore alla gamba era ancora molto forte. Il 20 agosto al Mugello si era messo alla prova in un test e il fatto che avesse coperto 65 giri faceva sperare in un rientro a Spa. Era ancora troppo presto.
L’ok dei medici era arrivato per il GP di Malesia a Sepang. La F.1 voleva scoprire se il campione tedesco era integro dopo un botto che poteva lasciare un profondo segno nelle motivazioni del campione.
Michael si era messo a disposizione della squadra, sapendo che la sua presenza poteva essere determinante a tenere Irvine in lotta per il titolo piloti. Per cancellare ogni dubbio si era conquistato la pole e in gara aveva dominato agilmente, lasciandosi passare volutamente da Irvine e regalandogli una vittoria che valevano per l’irlandese i quattro punti di vantaggio su Hakkinen in vista dell’ultimo GP.
The King aveva rimesso in testa la corona, anche se la sfortuna gli aveva scippato lo… scettro. La Ferrari, però, aveva recuperato il suo bene più prezioso.
LA SCHEDA TECNICA
Telaio: monoscocca in materiali compositi a nido d’ape con fibra di carbonio
Sospensioni: anteriori a ruote indipendenti con doppi triangoli sovrapposti e puntone con schema push-rod in carbonio, ammortizzatori Sachs regolabili e barra di torsione; posteriori: a ruote indipendenti con doppi triangoli e schema push rod, puntone in fibra di carbonio e barra di torsione.
Sterzo: a cremagliera con idroguida a controllo elettronico
Cambio: Ferrari longitudinale a 7 rapporti più Rm di tipo sequenziale con comando semi-automatico a controllo elettronico. Scatola in titanio con spacer in carbonio
Frizione: multidisco in carbonio
Freni: doppio circuito sdoppiato, dischi in carbonio e pinze Brembo a sei pistoncini
Cerchi: Bbs in magnesio forgiato da 13”
Gomme: Bridgestone Potenza scanalate
Passo: 3.050 mm
Lunghezza: 4.387 mm
Larghezza: 1.795 mm
Altezza: 961 mm
Carreggiate: anteriore 1.490 mm; posteriore 1.405 mm
Peso: 600 kg con acqua, olio e pilota a bordo
Motore: Type 048
Architettura: 10 cilindri a V di 80 gradi
Cilindrata: 2.997 cc
Distribuzione: doppio albero a camme per ogni testata, 4 valvole per cilindro con richiamo pneumatico
Alimentazione: iniezione elettronica digitale Magneti Marelli con accensione statica
Potenza stimata: 805 cv a 17.700 giri in qualifica.
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