Le mitiche Ferrari di F.1: la 310 B con il muso alto esalta Schumacher
Il tedesco è rimasto in lizza per il titolo fino al 47esimo giro dell'ultimo GP a Jerez: la Ferrari ha vinto cinque gare dimostrando, con l'arrivo di Rory Byrne al fianco Ross Brawn, che il team del Cavallino era una squadra completa.
La sigla B alla F310 doveva testimoniare che la Rossa del 1997 non sarebbe stata molto diversa dalla monoposto dell’anno prima. Jean Todt era stato perentorio: basta salti nel vuoto con soluzioni rivoluzionarie, serviva una monoposto affidabile che permettesse a un campione come Michael Schumacher di esprimere tutto il suo talento.
E così l’ultima creatura di John Barnard aveva sicuramente perso alcuni elementi caratterizzanti come il muso basso e le bocche dei radiatori con forma ogivale, ma somigliava tanto di più alle concorrenti, in particolare alla Williams.
La 310B era stata presentata a inizio gennaio, molto presto e in piena antitesi con la filosofia del “Mago” inglese che voleva ritardare al massimo le prime uscite. Questo per due motivi: da troppo tempo le Ferrari non riuscivano a iniziare un campionato in modo competitivo, per cui erano sempre costrette a iniziare rimonte improbabili. Facendo cadere i veli a inizio anno, c’era la possibilità di effettuare una gran mole di test prima del via ufficiale della stagione previsto in Australia.
Il secondo motivo era che a Maranello era approdato Ross Brawn, nel ruolo di direttore tecnico, figura che Barnard non voleva coprire preferendo lavorare dalla Gran Bretagna. Una scelta anacronistica per una squadra come la Ferrari che voleva invece accentrare nuovamente tutta la produzione al Reparto Corse, per cui avere lontano il referente tecnico alterava gli equilibri interni.
Era ormai chiaro che il tempo di Barnard a Maranello era compiuto: e, infatti, subito dopo Brawn alla Gestione Sportiva era giunto Rory Byrne, vale a dire si era riformato con Schumi quel terzetto che aveva vinto due mondiali con la Benetton.
Fin dai primi collaudi era parso chiaro che la F310B era una monoposto onesta, ma non velocissima. Il retrotreno era rimasto lo stesso della vettura ’96, mentre era stata rivista la parte anteriore con l’adozione di un muso alto.
E non erano cambiati i comportamenti in pista che portavano a un rapido degrado delle gomme per una distribuzione dei pesi non ideale e un’eccessiva resistenza all’avanzamento. Un dato, però, faceva ben sperare: evitando stravolgimenti del progetto era stata raggiunta un’affidabilità eccellente che permetteva a Brawn e Byrne di mettere in cantiere delle modifiche a ogni Gp.
La squadra aveva mostrato una coesione come non si era mai vista in passato: il duro lavoro nei test aveva dato i suoi risultati. La F310B, che era nata come un “brutto anatroccolo”, si stava trasformando in un cigno. Nella prestigiosa cornice del Principato di Monaco, Schumacher aveva colto la prima di cinque vittorie che lo hanno portato a lottare fino alla fine per il titolo.
La conferma che la Ferrari era a tutti gli effetti un top team completo veniva dal terzo posto di Eddie Irvine. L’irlandese, nella prima parte della stagione era stato messo in discussione dalla squadra perché non riusciva ad assicurare al compagno tedesco il necessario aiuto nel contenere la Williams di Jacques Villeneuve, come, invece, riusciva a fare Frentzen nei confronti di Michael.
A Montecarlo Schumi era passato in testa alla classifica del mondiale piloti e il Cavallino era andato in testa al Costruttori, un’eventualità che non si verificava dai tempi di Alain Prost nel 1990. La costanza delle prestazioni era diventata, quindi, una delle caratteristiche della Rossa che in mano al campione tedesco sapeva offrire grandi emozioni ai tifosi.
Alla base di alcuni successi c’era l’estrema facilità d’intervento da parte dei meccanici nel modificare l’assetto della vettura, che consentiva al muretto del Cavallino di decidere le strategie di gara sulla linea di partenza, contando sull’esperienza di un pilota come Michael che era capace di affrontare alcuni tratti di gara come se disputasse un giro da qualifica!
La stagione 1997 era diventata in fretta un affare ristretto a due piloti: Michael Schumacher e Jacques Villeneuve. Il figlio del grande Gilles, indimenticato ferrarista, era il giovane arrembante alle prese con il più grande di tutti.
Dunque Ferrari contro Williams. Solo la McLaren aveva mostrato dei segni di risveglio con Coulthard e Hakkinen, ma era ancora troppo incostante per sperare di inserirsi nella lotta fra i due titani. Il canadese poteva contare su una FW19 molto efficiente frutto di un’eccellente programmazione a medio-lungo termine di Patrick Head, ma si era fatta sorprendere dalla Ferrari nella gestione elettronica della ripartizione della frenata.
Questa soluzione aveva offerto un grande vantaggio in staccata ai piloti del Cavallino, che erano così riusciti a mettere in evidenza uno dei punti deboli della Williams. La F310B aveva cambiato faccia nel corso della stagione: dei nove telai prodotti nel 1997, gli ultimi tre erano stati realizzati con una nuova tecnica costruttiva che aveva permesso un evidente risparmio di peso, grazie al quale era possibile incrementare la zavorra che si poteva spostare per trovare l’ideale messa a punto.
Con l’arrivo del motore 046/2 più potente, ma anche leggermente più “assetato” di benzina, si era reso necessario un serbatoio con una maggiore capacità. Byrne aveva lavorato all’aerodinamica modificando la presa d’aria del motore: il tecnico sudafricano, infatti, montando al contario il roll-bar era riuscito a garantire la stessa portata d’aria al motore V10 di 75 gradi da 750 cv, riducendo nel contempo la resistenza aerodinamica.
Sulla 310 B è stato sviluppato il volante computer che per la prima volta Barnard aveva introdotto nel 1996 sulla 310: alcuni costruttori avevano provveduto a tagliare la parte superiore della corona del volante per consentire una migliore visione da parte del pilota del cruscotto con l’accresciuta strumentazione digitale.
Big John, invece, aveva deciso di andare controcorrente, introducendo già sulla F310 il volante che integrava dei display digitali che facilitavano la lettura delle informazioni. Nella parte superiore erano stati inseriti i led colorati che indicavano al pilota il momento di cambiare marcia, mentre nella parte centrale si erano moltiplicate le spie, i pulsanti e i manettini multifunzionali che permettevano di variare alcuni comportamenti della vettura con movimenti rapidi e semplici.
Inizialmente la novità del Cavallino fu bollata come una trovata inutile che faceva solo innalzare i costi, ma in breve il volante-computer si affermò su tutte le monoposto, diventando sempre più uno strumento complicato e sofisticato.
Con cinque successi (Monaco, Canada, Francia, Belgio e Giappone) Schumacher ha lottato con Villeneuve fino al GP d’Europa che chiudeva la stagione a Jerez. Un contatto cercato da Michael Schumacher al 47. giro ha regalato la corona iridata al pilota Williams.
La Ferrari, però, aveva dimostrato di non temere più alcun complesso di inferiorità con nessuno. La squadra plasmata da Jean Todt con un lavoro lungo, oscuro ma tremendamente efficace, non disponeva solo del pilota migliore del mondo, ma poteva sfidare qualsiasi avversario nella certezza di avere ormai il meglio in ogni reparto. Stava iniziando un’era memorabile per il Cavallino…
LA SCHEDA TECNICA
Telaio: monoscocca in nido d’ape con fibra di carbonio e honeycomb
Sospensioni: anteriori a ruote indipendenti con doppi triangoli sovrapposti, puntone con schema push-rod in carbonio, ammortizzatori regolabili e barra di torsione; posteriori: a ruote indipendenti con schema push rod, puntone in fibra di carbonio e barra di torsione.
Sterzo: a cremagliera
Cambio: Ferrari trasversale sequenziale a 6 rapporti più Rm con scatola in titanio e inserti in carbonio; comando semi-automatico a controllo elettronico
Frizione: tri-disco in carbonio con comando manuale
Freni: doppio circuito sdoppiato, dischi in carbonio Brembo e pinze ant. a otto pistoncini; post. a quattro pistoncini
Cerchi: Bbs in magnesio forgiato da 13”
Gomme: slick Goodeyear
Passo: 2.900 mm
Lunghezza: 4.355 mm
Larghezza: 1.995 mm
Altezza: 970 mm
Carreggiate: anteriore 1.690 mm; posteriore 1.605 mm
Peso: 600 kg con acqua, olio e pilota a bordo
Motore: Type 046/2
Architettura: 10 cilindri a V di 75 gradi con basamento in alluminio Alsi
Cilindrata: 2998,1 cc
Distribuzione: doppio albero a camme per ogni testata, 4 valvole per cilindro con richiamo pneumatico
Alimentazione: iniezione elettronica digitale Magneti Marelli step 7 con accensione statica
Potenza stimata: 750 cv a 17.100 giri.
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