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Analisi Renault: l'ologramma nasconde quella che è la vera R.S.18?

Il team di Enstone ha mostrato una F.1 troppo acerba per essere vera: la R.S.18 che ambisce a un ruolo da protagonista subito dietro ai top team, ha soluzioni troppo basiche per puntare in alto. Miglorato il packaging fra telaio e motore.

Renault F1 Team RS18

Renault F1 Team RS18

Renault F1

Bob Bell, Chief Technical Officer Renault Sport F1 Team
Renault F1 Team RS18
Renault F1 Team RS18
Renault F1 Team RS18, dettaglio anteriore
Remi Taffin, Engine Technical Director Renault Sport F1
Renault F1 Team RS18, dttaglio dell'halo
Renault F1 Team RS18, dettaglio del bargeboard
Renault F1 Team RS18
Renault F1 Team RS18
Renault F1 Team RS18
Renault F1 Team RS18, dettaglio posteriore
Renault F1 Team RS18, dettaglio anteriore
Renault F1 Team RS18, dettaglio dell'halo
Renault F1 Team RS18
Nick Chester, Chassis Technical Director Renault Sport F1 Team

Il commento più maligno sulla Renault R.S.18 è stato lapidario: a Enstone hanno montato l’Halo sulla macchina dello scorso anno? In effetti, al di là della livrea sicuramente più aggressiva con quel giallo fluo che “buca” gli obiettivi, la nuova Renault non ha offerto grandi palpiti alla sua nascita.

La Renault R.S.18 non ha alcuna personalità, sembra una Formula 1 disegnata dal computer nel rispetto delle regole di quest’anno. Anche se non c’è un bullone che è uguale alla monoposto della scorsa stagione, non sembra proprio una macchina in grado di suscitare delle emozioni. Ma, attenzione a dare giudizi affrettati sulla combriccola diretta da Bob Bell: non ci dovremmo stupire affatto se già nella prima sessione di test invernali la “giallona” dovesse cambiare volto.

La R.S.18 che ci hanno fatto vedere non esprime quel salto di qualità che la factory di Enstone è riuscita a fare dotandosi di una galleria del vento rimodernata, di un nuovo reparto CFD. E Nick Chester non è proprio il tipo di quelli che si limita a fare il compitino quando inizia a disegnare una macchina nuova.

La Renault, quindi, è la… racchia del momento, ma non è detto che il brutto anatroccolo non diventi presto cigno. La parola d’ordine che ha animato il progetto è stata: affidabilità. L’ha cercata Remy Taffin, capo dei motoristi di Viry Chatillon che hanno festeggiato il raggiungimento di una durata di 7 GP durante un long run al banco prova della power unit 2018.

Il packaging della power unit francese è stato ristudiato secondo i dettami che la Red Bull ha fatto suoi da qualche anno: l’accoppiamento del motore con il telaio è stato razionalizzato e la monoposto ne ha guadagnato in peso (ci sono meno cavi, connettori e tubi che girano nel retrotreno della macchina) e in efficienza aerodinamica.

Se l’imboccatura delle pance è ancora piuttosto giunonica, non si può dire che i fianchi poi non si stringano con un retrotreno molto più filante dello scorso anno. Per il resto non si sono visti colpi di genio, ma non è da escludere che il meglio stia sotto alla carrozzeria.

Si dice un gran bene, per esempio, della sospensione anteriore: a vederla è molto classica, con il tradizionale schema push rod e il braccio dello sterzo perfettamente allineato al triangolo superiore, ma il dubbio è che il terzo elemento nascosto sotto al vanity panel sia gestito idraulicamente.

Gli esperimenti svolti lo scorso anno avevano permesso a Nico Hulkenberg e Carlos Sainz di arrivare con una certa costanza a ridosso dei top team (se non si rompeva il motore). Se lo sviluppo dell’inverno dovesse dare i risultati che a Enstone si aspettano la R.S.18 dovrebbe essere una macchina capace di sfruttare meglio le più morbide gomme Pirelli.

Il muso è piuttosto massiccio nella parte superiore, mentre è più scavato sotto, tanto che la presa dell’S-duct è più visibile di altre. I turning vanes e i bargeboard sono un’evoluzione di quelli che abbiamo visto nel 2017, proprio come i deviatori di flusso a Esse che si aggrappano alla pancia con una sorta di rampino.

Le bocche dei radiatori sono piuttosto generose: il cono antintrusione è stato mantenuto nel punto più alto, con una soluzione piuttosto antiquata, anche se la pancia si svasa in basso e permette un buon passaggio dei flussi verso la parte superiore del diffusore.

Il fondo è palesemente “finto”: non ha soffiaggi dietro al candelabro e non ha gli slot davanti alle ruote posteriori. Quello vero lo vedremo a Barcellona nei test. Un aspetto della vettura che dimostra una certa ricerca è l’area della presa d’aria del motore: tutti ormai hanno capito quanto l’Halo abbia un effetto negativo sui flussi destinati all’alimentazione della power unit e all’efficienza dell’ala posteriore.

I tecnici Renault l’airscope rettangolare lo hanno tenuto il più alto possibile proprio per evitare le turbolenze della protezione della testa, anche se la sezione del cofano sembra più grande del solito. La carrozzeria è scomposta in tante parti, segno che sono già previsti dei cambiamenti, mentre la Red Bull, per esempio, tende ad avere un pezzo unico.

Dietro al cofano non manca la deriva che hanno ormai tutte le macchine 2018 e non si vede la T-wing bassa che arriverà più tardi. In coda c’è il mono-pilone che regge l’alettone posteriore: quello della R.S.18 passa nello scarico principale come aveva inaugurato la Toro Rosso, potendo risparmiare l’adozione del cerchiello in metallo che ha adottato la RB14.

Nel retrotreno anche il diffusore sembra un elemento da… presentazione e, quindi, merita ben poca attenzione. La sospensione posteriore è come tutte le altre a schema pull rod: è caratterizzata dal triangolo inferiore che è molto ravvicinato a quello superiore, mentre il puntone è lunghissimo per arrivare allo spacer fra motore e cambio.

Ci domandiamo a cosa serva presentare manichini, rendering o vetture incomplete dopo un inverno di lunghi silenzi. Forse qualcuno sperava che ci si eccitasse guardando l’ologramma della R.S.18 che Renault ha genialmente pensato per alcuni fortunati. L’idea è stata bellissima: ma vale più quella della macchina…

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