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Analisi

F1 | Il fondo e l'integrazione di tre parti con funzioni diverse

Le immagini pubblicate fra Monaco e Barcellona dei fondi di Red Bull, Mercedes e Ferrari hanno alimentato una serie di analisi sulle moderne monoposto a effetto suolo. Un aerodinamico che ha voluto rimanere anonimo ci ha svelato che la difficoltà di far lavorare l'elemento principale della vetture è trovare il giusto equilibrio nel disegno di tre porzioni che funzionano in modo molto diverso al variare delle velocità e dell'altezza da terra.

Mercedes W14, dettaglio del fondo

L’ingegnere Enrique Scalabroni è in Argentina ma segue con grande attenzione il mondo della F1 sebbene non ne sia più direttamente coinvolto da molti anni. Il progettista ex ferrarista ha espresso un concetto che è molto indicativo di una situazione: secondo Scalabroni, Adrian Newey è l’unico ingegnere che conosce tutti i segreti dell’effetto suolo. L’inglese 64enne di Stratford-upon-Avon ha costruito la sua tesi universitaria sul ground effect che aveva già analizzato all’inizio degli anni 80.

“Newey – ha detto Scalabroni – è come un gatto che gioca con i… figli dei topi. Dei tecnici che avevano la perfetta conoscenza dei segreti dell’effetto suolo è rimasto solo il genio della Red Bull. Tutti gli altri che sono in F1 sono di una generazione successiva che ancora non hanno compreso quali vantaggi si possono trarre dalle monoposto che sfruttano i canali Venturi. Gestire il pompaggio aerodinamico e sapere come estrarre il carico aerodinamico non è facile: Adrian riesce a gestire una vettura piatta che è meno sensibile alle variazioni di altezza. Il tema coinvolge l’aerodinamica ma anche le sospensioni”.

Fra il GP di Monaco e quello di Spagna abbiamo potuto osservare diverse monoposto viste dal sotto a causa di incidenti o uscite che hanno obbligato i commissari di percorso a sollevare le vetture sui carri attrezzi mostrando le diverse filosofie dei fondi. È bastato che si diffondessero delle immagini di Red Bull, Mercedes e Ferrari per fare in modo che molti sapessero giudicare per filo e per segno come funzionano queste F1 quasi che sia stato diffuso un “Bignami” dell’aerodinamica.

La Red Bull RB19 vista dal basso al GP di Monaco dopo il crash di Perez in qualifica

La Red Bull RB19 vista dal basso al GP di Monaco dopo il crash di Perez in qualifica

Photo by: Mark Sutton / Motorsport Images

Ogni squadra sviluppa concetti propri che sono il frutto di un lavoro di analisi profonda del regolamento: è vero che il fondo è unico e da solo genera il 60-65% del carico dell’intera vettura, ma è altrettanto vero che ci sono porzioni di pavimento che lavorano in modo molto diverso al variare della velocità e l’integrazione perfetta delle parti può favorire una produzione di carico enorme, oppure può generare dei comportamenti molto variabili della monoposto, tali da renderla difficile da guidare e instabile, tanto da togliere fiducia ai piloti.

Il primo caso sembra ascriversi alla perfetta descrizione della Red Bull, mentre il secondo si avvicina a Ferrari e a Mercedes. Volendo estremizzare il concetto, in modo molto sintetico e semplice, verrebbe da dire che tanto nella SF-23 che nella W14 i tecnici hanno cercato in galleria del vento il picco del carico, mentre sulla RB19 gli ingegneri di Pierre Waché hanno puntato a un valore assoluto di downforce forse minore rispetto agli avversari, trovando invece un valore medio decisamente superiore che si traduce in una macchina meno sensibile alle variazioni di altezza.

Ovviamente non abbiamo numeri di confronto che restano top secret nei remore garage dei team, ma abbiamo ricevuto la confidenza di un aerodinamico che ha preferito restare anonimo che ci ha messo sull’avviso di un fenomeno: il fondo, in quanto tale, per come è stato definito dal regolamento, può essere diviso in tre parti che non sono affatto separate (l’elemento è unico) che funzionano in condizioni molto diverse.

il nuovo fondo della Ferrari SF-23

il nuovo fondo della Ferrari SF-23

Photo by: Giorgio Piola

Trovare la perfetta integrazione è forse la cosa più difficile: al di là del canale Venturi radente la scocca che agisce su tutta la lunghezza, possiamo dividere il fondo in tre porzioni: la prima è quella anteriore con le bocche e i deviatori di flusso che creano l’effetto che fino al 2021 avevano le bargeboard. L’intenzione dei tecnici, infatti, è alimentare l’effetto out wash che cresce con l’aumentare della velocità: tanta più è l’aria che viene spinta verso l’esterno della ruota posteriore, tanto maggiore è la possibilità che le turbolenze nocive generate dalla ruota anteriore in movimento possano in filarsi sotto la zona centrale determinando delle perdite.

Questa seconda sezione del fondo lavora in una zona di bassa pressione: la parte centrale non è chiamata a spingere il flusso come nell’anteriore, ma funziona come un tubo Venturi che deve riuscire a mantenere il fondo carico senza perdite laterali che possono essere influenzate dalle repentine variazioni di altezza.

Il diffusore della Red Bull RB19

Il diffusore della Red Bull RB19

Photo by: Uncredited

Il terzo elemento è quello del diffusore che deve espandere l’aria con l’estrattore: questa parte finalizza il lavoro svolto in precedenza, ma per essere efficiente non deve essere condizionato da improvvise perdite nell’andamento del flusso. Il fondo non funziona allo stesso modo al variare delle velocità e dell’altezza da terra: il difficile è trovare un equilibrio nel passaggio da una fase high speed a quella low speed senza causare delle perdite che determinano instabilità improvvise. E se in questa delicata situazione lasciamo comparire il porpoising, diventa semplice capire che si distrugge tutto il certosino lavoro svolto. Chapeau, quindi, ad Adrian Newey e alla Red Bull che per primi sono arrivati al punto.

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