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Intervista

Aldo Costa: "Quando lasciai l'Abarth per andare alla Minardi"

Il chief designer della Mercedes racconta come è iniziata la sua avventura professionale in Formula 1. Dopo l'Università di ingegneria a Bologna era entrato nel Reparto Corse del Gruppo FIat, ma ci rimase solo sei mesi. Perché Minardi...

Aldo Costa

Foto di: Franco Nugnes

Nell’arco della sua carriera professionale l’ingegner Aldo Costa ha collezionato molti riconoscimenti, frequentando con successo anche i podi del Mondiale di Formula 1 in più occasioni. Per quanto abituato ai palcoscenici, l’attuale responsabile progetto e sviluppo della Mercedes ha accolto con grande soddisfazione il premio Leonardo Da Vinci come miglior progettista italiano che gli è stato consegnato alla vigilia della trasferta di Melbourne.

Ne è nata un’occasione per raccontare una storia di passione, iniziata da adolescente con l’ammirazione per Niki Lauda, con cui adesso condivide le vittorie della Mercedes.
“Il primo vero contatto con aspetti riguardanti la Formula 1 lo ricordo molto bene. Un professore dell’Università di Bologna offriva delle tesi in collaborazione con la Gestione Sportiva della Ferrari, e non mi feci sfuggire l’occasione. E dopo la laurea grazie alla segnalazione dell’ingegner Giampaolo Dallara mi ritrovai in Abarth".

Sono gli anni della gloriosa Lancia Delta Integrale, e dei titoli a raffica nel Mondiale Rally. Ma dopo sei mesi…
"Ecco che finalmente arriva la chance che avevo sempre sognato: la Formula 1. La Minardi, che aveva esordito nel Mondiale da appena due anni, aveva chiesto all’Università di Bologna di segnalargli dei nominativi di giovani ingegneri, e fui contattato. Non esitai un attimo".

All’Abarth però non capirono come un giovane ingegnere potesse lasciare la costola sportiva del Gruppo Fiat, realtà vista come un punto d’arrivo di una carriera professionale, per passare ad una squadra a quei tempi quasi sconosciuta costituita da una trentina di persone.
“Mi fecero fare una chiacchierata con una psicologa – ricorda sorridendo oggi Costa - per sapere se qualcuno in azienda mi avesse creato dei problemi. Io ribadii che mi trovavo bene, ma avevo deciso di dimettermi perché ero un appassionato di Formula 1… Non credo capirono, ma pochi giorni dopo ero in Minardi”.

Seguirono sette anni intenti ed entusiasmanti. Poi la Ferrari. I suoi superiori erano Ross Brawn e Rory Byrne, nomi storici della Formula 1, professionisti da cui l’Ingegner Costa ha assorbito tutto il possibile.

L’ascesa nell’organigramma della Ferrari è stata costante: da responsabile dell’ufficio tecnico-telaio, alla progettazione autotelaio e ricerca e sviluppo. Poi il passaggio a chief designer ed infine il ruolo di direttore tecnico.

"Arrivarono soddisfazioni professionali, ed ovviamente grandi risultati sportivi. Un periodo fantastico con Michael (Schumacher), Jean Todt ed un gruppo di lavoro incredibile".

Poi, durante una stagione 2011 marchiata Red Bull, un epilogo amaro, dopo ben sedici anni di permanenza a Maranello.
“Quando le cose non vanno come previste – spiega oggi Costa – i vertici di un’azienda spesso decidono di cambiare delle persone, ed in quel momento venni rimosso dalla direzione tecnica e destinato ad altri incarichi. Una scelta che non condivisi, e rassegnai le dimissioni".

"Non fu un momento facile, ma ricordo molto bene una frase che mi disse mia moglie: ‘Aldo, la tua storia in Formula 1 non può finire così. Poche parole che mi diedero il coraggio per affrontare un nuova avventura".

"Ma confesso che quando si presentò l’opportunità di entrare a far parte del programma Mercedes, beh… mi sembrò un’avventura tutt’altro che semplice. Pensare di trasferirmi all’estero, a cinquant’anni, iniziare daccapo in un nuovo ambiente: era una sfida. Ma furono Ross Brawn e Michael a volermi li, ed ovviamente accettai”.

L’approdo in Mercedes ha avuto un seguito trionfale, con il dominio pressoché assoluto nel ciclo tecnico “ibrido”. Arrivano ancora vittorie a raffica ma per Aldo Costa le soddisfazioni non si sono fermate ai trionfi in pista:
"Ho trovato un ambiente dove si lavora con determinazione, obiettivi chiari e condivisi, e questo aiuta a remare tutti nella stessa direzione. Senza troppe ansie".

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