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Intervista

Guintoli: “Le nuove regole non aiutavano la Honda”

Sylvain, reduce dal primo podio 2015 a Magny-Cours dopo il titolo iridato con l'Aprilia, fa un bilancio del presente

Intervista a Sylvain Guintoli

Foto di: Gabriele Testi

Sylvain Guintoli all'esterno del megastore Oram
Sylvain Guintoli all'esterno del megastore Oram
Sylvain Guintoli all'interno del megastore Oram
Sylvain Guintoli all'interno del megastore Oram
Sylvain Guintoli all'interno del megastore Oram
Sylvain Guintoli all'interno del megastore Oram
Sylvain Guintoli all'interno del megastore Oram
Sylvain Guintoli firma un autografo a un  giovane tifoso
Sylvain Guintoli firma un autografo
Sylvain Guintoli autografa un casco Shark
Sylvain Guintoli autografa un casco Shark
Caschi Shark autografati da Sylvain Guintoli
Sylvain Guintoli firma autografi ai giovani tifosi
Sylvain Guintoli
Sylvain Guintoli firma autografi ai giovani tifosi
Sylvain Guintoli all'interno del megastore Oram
Sylvain Guintoli all'interno del megastore Oram
Sylvain Guintoli
Sylvain Guintoli firma un autografo
Sylvain Guintoli, Pata Honda
Sylvain Guintoli, Pata Honda
Sylvain Guintoli, Pata Honda
Sylvain Guintoli, Pata Honda
Sylvain Guintoli, Pata Honda
Sylvain Guintoli, Pata Honda
Sylvain Guintoli, Pata Honda World Superbike Team
Sylvain Guintoli

Tre stagioni e altrettante moto differenti, il tutto condito in pista da alterne fortune. Nell'arco di tempo compreso fra il campionato 2014 e il prossimo anno, la carriera di Sylvain Guintoli ha assunto, assume e assumerà verosimilmente le caratteristiche cangianti di un'altalena prestazionale che ha pochi precedenti nel motorsport e nella storia della Superbike.

Dal titolo iridato piloti (e costruttori) con l'Aprilia di appena dodici mesi or sono alle attuali difficoltà in sella alla Honda CBR 1000 RR del Team Pata/Ten Kate, sino agli auspici di un'inversione di tendenza grazie alla nuova Yamaha R1 della scuderia Crescent a partire dal 2016. Un po' come il tricolore francese, bandiera del centauro d'Oltralpe, che nell'età della rivoluzione unì a mo' di ossimoro logico e politico il candido vessillo del re ai colori della città di Parigi, blu e rosso.

Pur non potendo ancora contrattualmente sbilanciarsi sulla stagione che verrà, il campione uscente della World SBK ha chiacchierato con la redazione di Omnicorse.it e Motorsport.com Italia a Modena nel corso di un evento sulla sicurezza all'interno del megastore Oram, organizzato dall'azienda di caschi Shark.

Che cosa è “rimasto” del campione del mondo Superbike 2014 o chi è oggi Sylvain Guintoli?
“Di quella stagione, sono rimasti dei gran bei ricordi. Conservo la memoria di un bellissimo campionato, soprattutto nella fase finale, che mi ha portato a un titolo mondiale, e per uno sportivo professionista non è poco. In particolare, rammento le gare in Qatar, dove ho potuto recuperare quei 12 punti in classifica che mi hanno permesso di scavalcare Tom Sykes, regalando all'Aprilia anche il titolo riservato alle case costruttrici. Per il resto, il pilota, 'l'atleta', è sempre lo stesso, ovviamente con più esperienza”.

Dopo il titolo dello scorso anno, meritavi una chiamata in MotoGP o ritieni che sia meglio restare nel contesto in cui si è vincenti?
“Il Motomondiale è la categoria leader nelle due ruote, è ovvio a tutti, ma io non mi aspettavo certo di ritornarvi. Ormai ho trentatré anni e ci sono moltissimi giovani talenti che meritano di corrervi, forse più di me. Eppoi, voglio essere sincero. A me piace la Superbike, non vedo il motivo per cui avrei dovuto o potuto cambiare”.

Che cosa non ha funzionato quest'anno con il Team Pata?
“Non c'è niente che non abbia funzionato, in sé e per sé. Noi abbiamo fatto tutto il possibile per sviluppare il materiale che avevamo a disposizione e, non a caso, la nostra Honda ha migliorato di pari passo con il progredire della stagione, parallelamente al lavoro che facevamo sul mezzo”.

Che cosa sarebbe servito per invertire la situazione tua e del team, oltre a intervenire sulla CBR 1000 RR della Honda?
“Abbiamo lavorato molto duramente come una squadra che si rispetti per migliorare le prestazioni, ma purtroppo sembra che le nuove regole adottate dal 2015 in poi non abbiamo giocato a nostro favore…”.

Quali sono stati rispettivamente il momento migliore e quello peggiore della SBK 2015, dal tuo punto di vista?
“Il momento migliore sono stati i due quarti posti di Sepang, perché hanno dimostrato non soltanto che io e la CBR 1000 RR eravamo sempre più in palla, ma che lo eravamo in maniera costante. Poi, c'è stato il podio della Francia, dove ero anche impegnato nel mio Paese natale. La pioggia mi ha aiutato, perché mi trovo bene a guidare sul bagnato: mi sono detto che dovevo spingere più che potevo e sono riuscito nel mio intento, arrivando terzo in Gara 1. Il giorno peggiore è stato quello dell'incidente nei test di Jerez de la Frontera, in cui mi sono fatto anche abbastanza male. Lì ho fatto un volo di tre metri, ricadendo soltanto sulla testa: il casco si è distrutto pressoché completamente, ma ha assolto alla sua funzione di proteggere il cranio del pilota”.

Le gare di Magny-Cours ti hanno riportato sul podio: l'effetto “corsa di casa” funziona anche negli sport meccanici?
“Certamente, è così. Soprattutto per un pilota francese. Il terreno amico si è rivelato tale non soltanto per un fatto di nazionalità, ma anche perché c'era la pioggia, con la quale ho un certo feeling. Anche nel motorsport le emozioni, i sentimenti hanno una loro giusta importanza e si manifestano nei risultati”.

Il rapporto con la squadra si è compromesso nel corso dell'anno o vi lasciate senza rimpianti né polemiche?
“No, assolutamente. Fra di noi, non c'è stato alcuno screzio o polemica. Eravamo così focalizzati su ciò che dovevamo fare, come si conviene a dei professionisti, che non c'era ragione per dei qui pro quo. Il nostro obiettivo era quello di migliorare la moto, e basta: questo tipo di conflitti non appartiene né a me, né alla cultura del team olandese per cui corro”.

A proposito di Paesi Bassi, com'è stato il feeling con Michael Van der Mark: avete proficuamente collaborato oppure ognuno è andato per la propria strada?
“È vero che il compagno di squadra è il primo avversario, ma con lui ho interagito nel migliore dei modi. È giovane e aveva tanto da imparare, pur essendo giustamente desideroso di mettersi in evidenza. Molto spesso si è messo nella direzione che avevo tracciato io, da un punto di vista del set-up e delle strategie di gara, ma va bene così...”.

Quale è stato l'avversario più competitivo con il quale ti sei confrontato nel corso del 2015, in pista e anche fuori?
“Quest'anno a mio avviso Johnny Rea è stato il pilota più costante e più veloce del Mondiale Superbike, ma io non l'ho visto spesso durante le gare (risponde sorridendo, ndr)”.

Un ex campione del mondo è sempre e necessariamente in obbligo di vincere? Ce la farai anche in futuro?
“È l'auspicio di tutti i soggetti coinvolti in ogni avventura, nuova o vecchia che sia, oltre che il dovere di ogni pilota. Quando hai già vinto un titolo SBK, puoi e vuoi fare tuo anche il secondo...”.

Quali ritieni che siano i segreti per far funzionare un'efficace iniziativa agonistica nelle derivate dalla serie?
“Chi può dirlo e, soprattutto, come dirlo? Oggi il mio primo obiettivo è quello di portare a termine la stagione nel migliore dei modi con il Team Pata Honda. Alla fine della SBK 2015 mancano ancora le due gare di Doha e l'esperienza mi insegna che posso fare molto bene, come mi è accaduto un anno fa con la conquista della corona iridata. Inoltre, dalla Malesia in poi, non va dimenticato, siamo in crescita di risultati...”.

Quando sono iniziati i contatti con la Crescent per il 2016 e come si è sviluppata la trattativa? Quali sono i punti di forza del progetto e quali gli elementi di incertezza o debolezza? Hai già provato la nuova R1 o la proverai presto?
“No comment. Non posso né desidero rispondere a queste domande sul futuro. Oggi sono e rimango un rider sotto contratto con la scuderia Ten Kate e la Honda, concentrato sulle prossime gare in Qatar...”.

Non ti chiederemo di proiettarti anzitempo nell'avvenire, ma qual è stato finora il tuo rapporto con Alex Lowes?
“Lo conosco bene, non benissimo, più di fama che altro. Non ho mai avuto problemi con lui. Soltanto, ricordo di una nostra caduta insieme a Laguna Seca: non fu una bella esperienza, benché non ci fosse una responsabilità specifica. Devo dire che ciò è avvenuto fortunatamente senza che ci facessimo male né io né lui...”.

Sylvain Guintoli è un pilota molto attento alla sicurezza: qual è la prossima sfida da vincere nelle competizioni?
“La sicurezza è una cosa seria. Noi piloti siamo consapevoli del fatto che il motorsport sia intrinsecamente pericoloso, però ciò non significa che si debba lasciar correre. Insieme con la Commissione Sicurezza, ai cui meeting partecipo regolarmente, ci riuniamo alla vigilia di ogni gara per valutare attentamente in anticipo i potenziali rischi del week end. Questi incontri arrivano a durare anche due ore, ma non è affatto tempo sprecato. Non lo sono nemmeno per il pubblico, perché ciò che noi sperimentiamo sui circuiti - dalle modifiche ai guard-rail a bordo pista a sistemi di sicurezza attivi come sono i freni più recenti - nel giro di sei mesi-un anno diventano disponibili sul mercato...”.

Qual è il consiglio che rivolgi sul tema sicurezza ai motociclisti di tutti i giorni?
“Io ho disputato diversi campionati e corso in svariate categorie, compreso un po' di Motocross in età giovanile. Mi ricordo quand'ero ragazzino e avevo il primo scooter, e le parole di mio padre: se mi avesse visto girare per il paese a Montélimar senza guanti né casco, la moto sarebbe sparita: punto. È un imprinting che ebbe il suo effetto e che non ho più dimenticato: allora presi l'abitudine di proteggermi ed è una forma mentis che non ho mai lasciato, nemmeno oggi quando vado in moto per le strade di tutti i giorni. Il consiglio base è quello di usare l'equipaggiamento necessario e di non guidare mai, e ripeto mai, con pantaloni corti o scarpe aperte, ad esempio. Una caduta senza guanti, anche a bassissima velocità, può diventare un problema molto serio: se si evita una visita all'ospedale, è sempre meglio, soprattutto per un motociclista. In fondo, si va su due ruote per divertirsi e, se lo si fa in tutta tranquillità rimanendo incolumi, è molto meglio da molteplici punti di vista, anche da quello dello spirito”.

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