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SBK: come la tragedia Vinales solleva il grido al cambiamento

La tragica scompare di Dean Berta Vinales nel sabato del round di Jerez ha scosso non solo il paddock della Superbike ma l'intero motociclismo. Insieme al dolore, sorgono però tanti interrogativi e il grido che si leva è quello dei piloti, che chiedono un cambiamento per una classe diventata troppo pericolosa.

Dean Berta Vinales, Isaac Vinales, Orelac Racing Verdnatura, Maverick Vinales

Foto di: Gold and Goose / Motorsport Images

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Il motociclismo è uno sport meraviglioso, che vive di grandi emozioni e si nutre di adrenalina. Il prezzo da pagare però a volte è alto e viene chiesto il conto quando meno ce lo aspettiamo. È successo di nuovo questo fine settimana a Jerez, teatro del decimo round del mondiale Superbike e di una nuova tragedia che ha colpito il mondo delle due ruote.

A farne le spese è stato Dean Berta Vinales, cugino minore del più noto Maverick. A soli 15 anni, si spezza il sogno di una vita per le corse, riportando la Superbike e l’intero motociclismo alla cruda realtà con cui si interfaccia ogni giorno. Uno sguardo all’interno del box, un saluto passeggiando per il paddock, un sorriso o un gesto qualsiasi fanno parte della quotidianità di chi il paddock lo vive e di chi è a contatto con questi uomini che spesso vengono definiti “folli”.

La morte è sempre lì, aleggia anche nel sorriso, nel gesto e nello sguardo. Lo sappiamo tutti, ma ne ignoriamo la presenza, o almeno cerchiamo di farlo. Un sospiro di sollievo nel vedere il pilota che si rialza quando rotola nella ghiaia ci ricorda, per un attimo, che lei è sempre in agguato, ma quando colpisce è sempre tutto così inaspettato. Strappa via da noi un ragazzino e lacera questo sport, ancora una volta ferito nel profondo. “È successo, succede e succederà ancora”, ha affermato Scott Redding, domenica, in una frase che appare cruda, ma che racchiude il dolore e l’umanità di chi conosce questo sport e sa a cosa va incontro ogni giorno.

Dean Berta Vinales, Vinales Racing Team

Dean Berta Vinales, Vinales Racing Team

Photo by: Gold and Goose / Motorsport Images

Tuttavia, nel silenzio e nel profondo vuoto che questi eventi lasciano, ci si pongono tanti interrogativi. Ci si chiede sempre se questa tragedia fosse evitabile, cosa si può fare perché in futuro non accada più, nella speranza che queste giovani vite non siano finite tragicamente invano. Quest’anno il motociclismo ha già pianto Jason Dupasquier e Hugo Millan, ora è il turno di Dean Berta Vinales. 19, 14 e 15 anni rispettivamente. Ragazzini, quasi bambini che sono andati via troppo presto lasciando tutti nello sconforto e con la testa piena di domande.

Si poteva evitare? Cosa si sta facendo in termini di sicurezza? Le dinamiche sono state più o meno le stesse nei tre incidenti, le vittime sono state investite da altri piloti che, pur provandoci, non hanno potuto fare nulla per evitarli. Franco Uncini, responsabile FIM, ha riconosciuto l’impotenza di fronte a queste fatalità: “Si tratta sempre dello stesso incidente, ma attualmente non siamo in grado di evitarlo. Per me è solo sfortuna, non c’entrano né l’età né l’esperienza”. Il sabato di Jerez tutte le attività sono state cancellate in segno di rispetto.

Il silenzio ha dato modo di pensare, riflettere e anche arrabbiarsi per un motociclismo che fa della sicurezza un cardine ma piange fin troppo spesso. “È strano come l’aumentare della sicurezza abbia aumentato anche le fatalità”, ha affermato Scott Redding domenica, al termine del weekend più duro degli ultimi anni. Il pilota Ducati ha mostrato il lato più umano di questo motociclismo, ricordando quanto lui, in tempi non sospetti, si era battuto per la sicurezza, andando contro tutti e prendendosi le aspre critiche di molti. Redding si era scagliato contro la scarsa sicurezza dell’impianto di Most, contro le caratteristiche di Barcellona che poi avevano portato tanti incidenti. Non alza la voce, riconosce il lato crudo del suo, del nostro sport.

Attività cancellate

Attività cancellate

Photo by: Gold and Goose / Motorsport Images

Sta di fatto però che le sue parole risuonano come un macigno: “Sono sorpreso che questa tragedia non sia successa prima. Ho guardato quella gara per quattro giri e non riesco proprio a guardarla. Sinceramente non la guardo mai perché mi spaventa. Sono troppo ravvicinati”. Redding mostra la paura verso una categoria nata con le migliori intenzioni, ma che in questo momento si sta rivelando pericolosa. A fargli eco è Loris Baz, che senza mezzi termini definisce la Supersport 300 come la classe più pericolosa di sempre. “Non mi piace, non la guardo e sono spaventato quando la guardo. Le moto sono troppo pesanti”, ha dichiarato il francese.

Tutti sono concordi nel ritenere la classe cadetta del mondiale delle derivate di serie come una delle più pericolose mai avute. C’entra l’età? I piloti sono troppo giovani? Secondo Franco Uncini è un fattore da escludere e Scott Redding è d’accordo. Il britannico argomenta questo pensiero affermando che tutti i piloti iniziano molto giovani, quando sono bambini. È proprio questa l’età in cui si formano e costruiscono le basi per la propria carriera. Se però Uncini parla di fatalità, Redding sostiene con fermezza che questa Supersport 300 sia decisamente troppo equilibrata: “Tutto è così livellato che non hai nemmeno il minimo margine di errore. A volte in Superbike si creano delle gare spettacolari, ma nelle altre classi, in cui sono ragazzini di 15 anni con moto uguali e tutti racchiusi in un secondo, può succedere qualsiasi cosa in qualunque momento. Sono troppo ravvicinati”.

 

“Dieci o quindici anni fa avevi due o tre piloti che andavano via, poi ce n’erano altri tre. In una buona giornata potevi avere un gruppo di cinque o sei piloti al massimo. Ora ne hai venti e quando hai un trenino di quindici piloti e succede qualcosa al terzo del gruppo, il quarto, il quinto o il sesto che arriva non può fare niente quando arriva. Sfortunatamente è successo a me nell’incidente di Tomizawa a Misano. È terrificante. Ma sei in una posizione in cui non puoi vedere, perché sei troppo vicino. Puoi fare il massimo, ma non riesci ad evitare. È ciò che feci io, ma non servì a nulla”, ricorda il portacolori Aruba.it Racing – Ducati, che porta come esempio la sua esperienza personale, quando nel 2010 rimase coinvolto nell’incidente della Moto2 a Misano in cui perse la vita Shoya Tomizawa.

Le moto che hanno uguali prestazioni sono sicuramente un fattore determinante per lo spettacolo e per mostrare quanto il pilota faccia la differenza su un altro. Indubbiamente, ciò che entusiasma gli appassionati in circuito e incolla i fan davanti al televisore a casa, sono le battaglie, gli scambi di posizione e i continui cambi al vertice, con una classifica che non si conosce fino a quando non si supera la bandiera a scacchi. Il rovescio della medaglia però è troppo spesso ciò per cui ora il motociclismo piange. Porta con sé conseguenze enormi, non sempre tutto fila liscio e l’uguaglianza delle prestazioni comporta fatalità che non si possono evitare.

Anche Loris Baz, rientrato nel mondiale proprio nell’infausto weekend di Jerez, ritiene questa categoria troppo pericolosa e richiama la Superstock 600: “ Credo che sia meno pericoloso guidare una 600 che una 300. Il problema è che le moto hanno prestazioni che si equivalgono e se non fai la differenza lotti con un gruppo enorme di piloti”. Il peso di una 300 è differente rispetto a quello di una 600, che secondo l’opinione comune era una classe fin troppo sottovalutata e che in realtà era meno pericolosa e più formativa dell’attuale categoria che ora si trova nell’occhio del ciclone. Dalla Superstock 600 si sono formati piloti come Franco Morbidelli e Toprak Razgatlioglu, ma anche lo stesso Loris Baz, così come Michael van der Mark. Ad oggi è invece più difficile che un giovane della 300 riesca a farsi spazio in maniera importante nelle classi più importanti. Meno formativa e più pericolosa: questo è ciò che piloti e addetti ai lavori pensano della Supersport 300, per cui gridano al cambiamento nella speranza che la sicurezza su cui tanto si lavora possa cercare di salvaguardare le vite umane e che Dean Berta Vinales non sia morto invano, ma abbia insegnato qualcosa.

 

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