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Carrera Cup Italia, Boldrini è il nuovo referente dello Scholarship Programme

Intervista al primo vincitore del monomarca di Porsche Italia nel 2007 che quest'anno è coach dei piloti under 23 inseriti nel progetto dedicato alla crescita dei giovani: "Questi ragazzi ti entusiasmano!"

Piloti Scholarship Programme

Foto di: Getty Images

Di Carrera Cup in Carrera Cup. Dal volante alla... "scrivania". Da primo campione tricolore del monomarca nel 2007 a referente e coach dello Scholarship Programme nel 2020. Quest'anno Andrea Boldrini (ultimo a dx nella foto), in pratica al rientro nell'automobilismo, se la "vedrà" con gli under 23 del progetto di coaching di Porsche Italia, che sono 7, compresi tra i 17 e i 23 anni: Giovanni Altoè, Leonardo Caglioni, Aldo Festante, Lodovico Laurini, Stefano Monaco, Marzio Moretti (assente al Mugello) e lo svedese Emil Skaras.

“E' un onore ricoprire questo ruolo - esordisce Boldrini, pilota e anche imprenditore umbro -; sono stato il primo campione della PCCI nel 2007 ed è un po' che manco dall'ambiente. Ho fatto l'istruttore per tanti anni, ma questa è una cosa un po' diversa. Seguire dei ragazzi giovani è molto gratificante perché loro ti guardano come una sorta non di idolo, ovviamente, ma, insomma, potrei essere il loro padre. Visto il mio passato, mi vedono come un esempio."

Come sono andati i primi incontri con i ragazzi in questo round inaugurale 2020 al Mugello?

"Li ho visti molto inquadrati. E sono rimasto impressionato di questo. Noi alla loro età non eravamo così. Sono già calati nel ruolo e proiettati in avanti nel mestiere di pilota."

Che consigli hai fornito in questo inizio vedendoli già così focalizzati.

“Abbiamo discusso più che altro delle caratteristiche della 911 GT3 Cup, che va veramente forte. Qui al Mugello fa dei tempi impressionanti. Auto molto particolare, dalle caratteristiche Porsche che nessun'altra GT ha, per un dicorso soprattutto di distribuzione di pesi. Bisogna avere delle accortezze nella guida per riuscire a sfruttarla al meglio. Ma non gli ho voluto fornire troppe informazioni. Non ho voluto stravolgere la loro tecnica di guida, anche per non fargli rischiare errori. Quindi gli ho detto di star tranquilli e di fare quello che si sentono di fare e magari in gara cercare di adottare delle tecniche diverse per migliorarne prestazioni ed esperienza.”

Hai vinto il primo titolo della PCCI con la 997: l'auto si è chiaramente evoluta, ma ci sarà un aspetto sugli altri che è rimasto e sul quale puntare…

“La caratteristica della 911 è la grossa trazione che ha sempre e comunque. Da pilota bisogna aggrapparsi a questa caratteristica per cercare di migliorare la prestazione, anche magari quando la gomma decade. La trazione è l'elemento predominante. E lì possono osare un po' di più, anche se poi il Mugello è molto particolare, con curve tra i 170 e i 200 all'ora...”

Ecco, devono andare forte ma “piano”?

“Me lo diceva mia nonna! (ride, ndr) Quando correvo con i kart ogni volta mi diceva: 'Mi raccomando, vai piano, però cerca di vincere'! Il concetto del messaggio ai ragazzi oggi è stato proprio questo.”

Che cosa significa per te tornare a fare il coach e con Porsche?

“Porsche è un'eccellenza. Ho lavorato per tanti anni come istruttore in parallelo all'attività di pilota, poi per motivi personali mi sono allontanato dall'ambiente e ora tutto è nato come per caso. Valentina Albanese (responabile Motorsport di Porsche Italia, ndr) mi ha chiesto e io mi sono sentito maturo. C'era bisogno di un flashback e quindi di tornare al passato.”

Da quanto non frequentavi un weekend di gara?

"Dall'ottobre 2018 perché ho seguito per una gara un ragazzino in F4, però l'ultima gara che ho fatto è stata nel 2009 e l'ultimo impegno come coach per un giovane in F3 l'avevo fatto nel 2010. Un bel po', quindi.”

E come ti sembra? Tra l'altro in una situazione resa sui generis dal covid-19.

“Ho trovato un ambiente molto diverso, molto più professionale, molto più attento a dei particolari che anni fa si tralasciavano: la preparazione fisica, la concentrazione... si cura tanto l'immagine del paddock, nonostante il covid-19. E' tutto ben organizzato e nulla è lasciato al caso. E i ragazzini... ti entusiasmano! Capisci dallo sguardo che credono a quello che tu dici e cercano di capire come metterlo in atto.”

C'è comunque differenza tra un ragazzo di 17 e uno di 23 anni...

“Dai più grandi mi aspetto qualcosa in più, perché comunque in genere hai più esperienza. E non è poca magari rispetto a un pilota di 17-18 anni. Però c'è anche il diciassettenne che ti stupisce, che sale su e fa il tempo al primo giro con gomma nuova...”

Moretti, 18 anni, è assente per un'uscita di pista nei test: ci hai parlato?

“L'altro giorno era andato bene fino a quel momento, che purtroppo ci sta. E' salito su questa macchina avendo fatto solo un test, da quanto mi hanno riferito. Insomma, è un bel salto, anche dalla F4. La monoposto ha delle reazioni completamente diverse da una GT...”

Gli dirai qualcosa in particolare?

“Volevo cercare di cogliere l'occasione di quanto successo per sensibilizzare un po' tutti. Magari guarderemo insieme il camera car, ma solo per cercare di far capire a tutti che cosa può succedere con un'auto del genere e che c'è sempre una via d'uscita, il margine per recuperare la situazione. Faremo proprio come a scuola, in definitiva”.

La concorrenza dei più esperti è spietata: ti aspetti che nell'anno uno dei giovani possa vincere una gara?

“Qualcuno verso la fine della stagione se la gioca. Non mi sbilancio, ma qualcuno si può giocare la possibilità di battagliare per vincere e magari un po' di merito me lo posso prendere anche io per l'aiuto che cerco di dargli!”

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