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Analisi

Perché Suzuki è già in ritardo con l'assunzione del nuovo team manager

Il ritardo della Suzuki nell'assumere un nuovo team manager ha avuto una serie di conseguenze, tutte negative, per una squadra che ha perso non solo la competitività che l'ha portata al titolo nel 2020, ma anche la sua forza principale: l'unità.

Alex Rins, Team Suzuki MotoGP

Alex Rins, Team Suzuki MotoGP

Gold and Goose / Motorsport Images

Negli ultimi giorni, le voci di una possibile uscita di Davide Brivio dall'Alpine si sono fatte sempre più insistenti, alimentate dalle dichiarazioni fatte da Laurent Rossi, CEO della Casa francese, un paio di settimane fa a Motorsport.com. Il manager aveva un'occasione d'oro per disinnescare queste voci, ma ha preferito non farlo.

Invece, ha semplicemente detto che il presunto interesse della Suzuki per il ritorno del suo ex team manager era solo merito del valore professionale del racing director dell'Alpine, che si è unito alla squadra alla fine dell'anno scorso per desiderio di Luca De Meo, presidente del gruppo Renault.

"Il futuro di Davide si evolverà in base a quello che deciderò, seguendo i cambiamenti che attuerò a fine stagione. In questo senso, vale lo stesso per tutto il resto dello staff", ha riconosciuto Rossi nella chiacchierata con Motorsport.com.

A Valencia, in occasione dell'ultima prova del Mondiale MotoGP, Shinichi Sahara, il massimo esponente della Suzuki nel campionato, è stato schietto quando gli è stato chiesto se Brivio fosse tra i candidati: "Davide è un amico, e a volte parlo con lui al telefono, anche durante i Gran Premi. Vorrei che avesse successo in F1, e forse in futuro lavoreremo di nuovo insieme nello stesso box. Ma non sarà l'anno prossimo".

Per quanto riguarda la firma del nuovo team manager, Sahara spera di ufficializzarla "prima di Natale, perché non c'è molto tempo", come ha ammesso con chi scrive. Quelli che lavorano sotto di lui sono in attesa di avere novità, perché dopo la partenza di Brivio, c'è sempre stata un po' una mancanza di informazioni.

Nonostante la risposta schietta di Sahara, ci sono membri della squadra della Casa di Hamamatsu che non escludono un ritorno del loro ex capo, anche se deve prima risolvere il suo legame con Alpine. Questo è l'esempio che riflette meglio il divario che si è creato tra i vertici giapponesi della Suzuki ed il gruppo operativo, formato quasi tutto da europei. L'arrivo di una figura di collegamento ha richiesto troppo tempo e questo ritardo avrà sicuramente il suo prezzo.

Nel 2020, il marchio nipponico ha celebrato con Joan Mir il suo primo titolo in MotoGP due decenni dopo quello di Kenny Roberts Jr (2000). Un anno dopo, la situazione è completamente cambiata, senza il minimo slancio per resistere al cambio di passo imposto da Yamaha e Ducati, che si sono spartite 13 delle 18 vittorie in palio. La Suzuki invece è rimasta a bocca asciutta.

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Ad Hamamatsu hanno sabuto della partenza di Brivio verso la Formula 1 alla fine di dicembre, ed è stato considerato troppo tardi per assumere un sostituto. Come contromisura, invece, è stato istituito un comitato di sette persone per dividere le sue responsabilità. Tuttavia, questa riorganizzazione non ha funzionato, e la formula pensata per incoraggiare il dibattito interno ha finito per creare più disaccordo che altro, al punto di compromettere uno dei punti di forza della squadra: la sua unità.

Tutti alla Suzuki si sentono parte di una grande famiglia che ha attraversato un brutto periodo per settimane, anzi mesi. Questa mancanza di comunicazione verticale ha generato un distaccamento che dovrà provare a guarire la nuova figura che arriverà.

La diagnosi fatta dalla maggior parte dello staff è la stessa: "Manca qualcuno che si prenda la responsabilità di prendere decisioni e che tutti sappiano chi è. Lui o lei può avere ragione o torto, naturalmente. Ma tutti la devono identificare come la persona incaricata di decidere sugli aspetti più importanti", dicono varie voci provenienti dal box.

Negli ultimi sei mesi, Sahara ha parlato con Wilco Zeelenberg, che continuerà come team manager con la Yamaha RNF (ex Petronas SRT). Ma anche con Francesco Guidotti, la sua controparte in Pramac Racing. E pure con Johann Stigefelt, direttore sportivo di SRT, che sta considerando varie opzioni, tutte fuori da RNF.

Oltre a loro, sono emerse anche delle alternative come Livio Suppo, ex team manager della Honda e precedentemente alla Ducati, che è fuori dal paddock dal 2018. La scelta di questa figura è vitale, e non solo perché tutta la squadra la aspetta da molto tempo. E' anche perché diverse cose possono dipendere da questa scelta, come per esempio la formazione dei piloti per il 2023 ed oltre.

Entrambi i contratti di Mir ed Alex Rins scadranno alla fine del 2022, ma lo stato d'animo con cui i due sono arrivati alla fine di quest'anno è decisamente diverso. Rins è consapevole del peso che i suoi errori hanno avuto sulla sua posizione: ha chiuso 13° con 99 punti, 40 in meno di quelli del 2020 (3°), nonostante siano stati quattro GP in meno. In sette occasioni non è riuscito a conquistare punti, un quadro troppo negativo per chi partiva con l'obiettivo di lottare per il Mondiale.

Mir, d'altra prte, in ogni dichiarazione recente ha spiegato di essere arrivato al termine della stagione completamente svuotato, che non poteva fare di più, rendendo chiaro, anche se in maniera elegante, che la palla ora è nel lato di campo della Suzuki. Il maiorchino, che ha concluso il Mondiale al terzo posto, ha dovuto sforzarsi parecchio per non perdere la sua compostezza.

Quello che non poteva nascondere erano la rabbio e l'impotenza che gli scorrevano nelle vene. "Non mi sono divertito quest'anno. Le gare non mi sono piaciute molto. Ho preteso molto da me stesso per fare del mio meglio. Non avrei potuto fare di meglio, ma mi aspettavo di più. Sono qui per vincere, non per lottare per il podio", ha detto Mir, che come il resto del team resta in attesa di scoprire la persona con cui dovrà lavorare nel 2022, che sarà decisiva anche sulla sua scelta tra continuare o meno con la Suzuki.

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