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Intervista

MotoGP | L'eredità di Marco Simoncelli, oltre il simbolo

Pochi piloti hanno lasciato un segno indelebile come questo nei Gran Premi. A più di undici anni dalla sua scomparsa, il ricordo di Marco Simoncelli rimane particolarmente forte, spesso citato come modello dalle nuove generazioni di piloti e simbolo di operazioni umanitarie molto attive. Motorsport.com ha incontrato Paolo Simoncelli per capire come vede questa eredità così potente.

Marco Simoncelli, San Carlo Honda Gresini

Chiunque sia stato in un paddock della MotoGP negli ultimi anni, e anche di molto recente, non può non aver notato la forte presenza di Marco Simoncelli in un angolo o nell'altro. Sono passati più di 11 anni dalla morte di colui che, a 24 anni, sembrava destinato a scombussolare le gerarchie. Il terribile incidente di cui è stato vittima al Gran Premio della Malesia, proprio mentre si stava concludendo la prima stagione che lo aveva visto andare a podio, interruppe bruscamente l'ascesa di un pilota dall'atteggiamento poco classico, senza dubbio reso ancora più accattivante dalla sua autenticità e dalla sua personalità giocosa.

Come spiegare che, dopo tutto questo tempo, il suo numero 58 e il suo soprannome, "Sic", siano diventati una leggenda e appaiano su tanti camion e scooter nel paddock? Che il pubblico continui a indossare i suoi simboli, grazie ad un merchandising il cui successo non accenna a diminuire, e che venga ancora citato come esempio dagli attuali giovani piloti?

Per capirlo meglio, abbiamo voluto chiedere il parere di suo padre, ed è stato un Paolo Simoncelli che si pone come spettatore di questo affetto che la MotoGP ha conservato per il figlio a rispondere gentilmente alle nostre domande. La sua stretta di mano è forte, il suo sguardo penetrante e la sua voce decisa, ed è sicuramente felice di parlare di Marco ed orgoglioso del ricordo che ha lasciato.

"Perché ha lasciato questo segno? Forse me lo dovresti dire tu perché io ero il babbo… Ma effettivamente, ha lasciato un segno che è incredibile, e poi in tutto il mondo", osserva. "Sono morti tanti ragazzi nello sport, nel motociclismo, tante persone famose, però ci sono alcuni che hanno lasciato qualcosa di più. Da che cosa dipende? Io dico che mio figlio era una persona normale. Forse la sua normalità o la sua semplicità ha colpito, il suo essere sempre nel bene o nel male sincero e dire sempre quello che pensava".

Marco Simoncelli face à Jorge Lorenzo au GP d'Aragon 2011

Marco Simoncelli face à Jorge Lorenzo au GP d'Aragón 2011

In pochi anni di carriera e con una vita fin troppo breve, il grande pubblico sembra essere riuscito a capire chi fosse davvero quel giovane pilota dal fisico atipico e dall'inglese più che stentato, perché era una persona vera, senza velo. "Lui era così come lo vedevi", ci assicura il padre. Paolo, oggi capo di un team di Moto3, sa che per tutti rimane "il babbo di Simoncelli" e al quotidiano l'affetto non manca. Quando va in giro per il paddock, "sono tutte fotografie, strette di mano e pacche sulle spalle". Il mondo della MotoGP gli ricorda di continuo il suo senso di solidarietà, come se esso fosse stato alimentato per sempre dagli eventi del 23 ottobre 2011. Avrebbe potuto fermarsi con il ritiro del #58 dalle gare o con il Ranch creato da Valentino Rossi in sua memoria, lui che aveva iniziato a condividere gli allenamenti con il giovane Marco. Ma la portata del segno lasciato dall'ex pilota del team Gresini va ben oltre i tributi di un giorno.

"La cosa che mi colpisce più di tutto è quando incontro dei genitori con dei bambini piccoli che non hanno conosciuto Marco però ne hanno sentito parlare", continua. "Così nasce la legenda, con i genitori o i nonni che raccontano ai figli e ai nipoti di questo ragazzo che non si dava mai per vinto". Vero. L'abnegazione era certamente un tratto caratteriale di Marco Simoncelli. "Nelle gare, finché non erano finite, non sapevi cosa sarebbe successo e questo è sicuramente quello che ha lasciato Marco", ricorda Paolo. "La gente rimaneva attaccata alla televisione perché lui qualcosa avrebbe fatto per guadagnare una posizione, non si sarebbe accontentato del secondo, del terzo o dell'ultimo posto".

"Una cosa che, secondo me, ha lasciato nei ragazzi giovani e nelle persone che lo guardavano era l'inseguire il suo obiettivo. Lui aveva un obiettivo, che era quello di diventare campione del mondo, e lo inseguiva con tutto se stesso. Io e la mamma diciamo sempre che rifaremmo tutto pur sapendo che va a finire così, perché lui era felice. Marco era felice", insiste, "e questo non ce lo toglie nessuno. Noi abbiamo vissuto 24 anni bellissimi. Il resto è destino".

Marco Bezzecchi a reçu le prix de Rookie de l'année des mains de Paolo Simoncelli en novembre dernier

Marco Bezzecchi a reçu le prix de Rookie de l'année des mains de Paolo Simoncelli en novembre dernier

A mantenere vivo il ricordo di Marco può aver contribuito anche il fatto che Paolo Simoncelli, assumendo il suo dolore di padre orfano e la vita che, malgrado tutto, continua, è rimasto nel paddock sotto gli occhi di tutti. Ormai, ogni anno, consegna il Premio Marco Simoncelli del Rookie dell'anno al miglior debuttante della classe regina. Ed i giovani piloti che entrano a far parte del team SIC58, che ha creato nel 2013, non possono sottrarsi a questa eredità: è sotto lo sguardo dolce di colui che non c'è più, il cui ritratto è esposto ovunque, che imparano il mestiere e si sviluppano.

"Sono tutti rispettosi nei suoi riguardi. Lo vedo… Sono diversi anni che siamo qui e credo che lavoriamo bene, come squadra abbiamo dimostrato di essere giusti", ci dice Paolo Simoncelli, che ha celebrato una prima vittoria mondiale commovente per il suo team nel 2019. "Però questo 'marchio' è una cosa che attira più di ogni altra cosa. Questo è un marchio che apre tutte le porte. Se hai bisogno di qualcosa, quando vedono questo nome o questo marchio tutto è più facile…" La voce di Paolo Simoncelli si abbassa, come rassegnata, lui che ha accettato da tempo la realtà di quella vita che ha preso forma dal 2011. Una vita attiva, ma nella quale rimane un grande vuoto incolmabile.

Una fondazione, un ospedale e un centro per autistici

Se uno esce dal microcosmo della MotoGP, capisce che l'eredità di Marco Simoncelli va ben oltre la semplice popolarità di un pilota che non si è smentita. Gli è stato dedicato un museo, per ricordare la carriera di colui che ha vinto il campionato 250cc nel 2008, ma soprattutto ci sono diverse grandi operazioni di beneficenza a suo nome.

Innanzitutto, c'è una fondazione, istituita dal suo manager Carlo Pernat subito dopo la sua morte. "Devo essere sincero, io non sapevo neanche cosa fosse una fondazione, ma nell'arco di due mesi, questa fondazione è partita e siamo stati sepolti da donazioni, la gente mandava soldi di continuo", ricorda Paolo Simoncelli, riportando la memoria a quel doloroso fine 2011. Lì ha capito l'impatto lasciato da suo figlio, non appena ha visto le mille persone venute ad aspettare l'aereo che riportava il suo corpo in Italia dopo l'incidente, o le 25.000 persone che hanno sfilato davanti alla bara esposta nel teatro di Coriano, sotto la pioggia di ottobre. "Pian pianino ho iniziato a capire quello che aveva lasciato questo ragazzo".

Le centre pour handicapés Maison Marco Simoncelli inauguré en 2019

Le centre pour handicapés Maison Marco Simoncelli inauguré en 2019

Da allora, le azioni intraprese hanno permesso di costruire su questo lutto le basi di un'eredità che la famiglia Simoncelli ha voluto rivolgere agli altri. "Abbiamo fatto delle cose bellissime. La cosa più bella in assoluto, di cui sono entusiasta e orgogliosissimo, è il centro per ragazzi disabili che abbiamo fatto a Coriano. È stata un'intuizione che ho avuto e le donazioni mi hanno permesso di farlo. Ci sono appartamenti, delle sale ludiche, una piscina, una palestra, un giardino di quasi un ettaro che stiamo finendo. Non mi aspettavo che venisse così bello però abbiamo fatto un capolavoro."

"Abbiamo anche fatto un piccolo ospedale a Santo Domingo. E adesso abbiamo aperto un centro per ragazzi autistici. Abbiamo incontrato un gruppo di genitori che hanno figli autistici, avevano un progetto e non ce la facevano a portarlo avanti, quindi ci siamo associati e noi l'abbiamo finito". Anche lì, è semplice: un Marco Simoncelli felicissimo appare sulla facciata del centro. Paolo, invece, si rifiuta di trarne il minimo beneficio personale, cerca semplicemente di essere un attento garante dell'immagine del figlio.

Un'ultima volta, Paolo Simoncelli ci guarda negli occhi. "Sicuramente non è ricordato per quello che facciamo noi", sottolinea, "ma per quello che ha lasciato lui. Dopo, noi abbiamo contribuito a fare del bene con i soldi che ci danno. Ed è anche molto difficile perché spendere i soldi degli altri è difficilissimo, però faccio quello che penso sia giusto". Come padre, Paolo ha un solo bisogno, quello di credere che ci sarà un dopo e che potrà riabbracciare suo figlio. Il resto, non è altro che il ricordo di un ragazzo eternamente giovane, pieno di vita, un pilota promettente che continua a rasserenare qualche anima oppure a trasmettere sogni.

La fondazione Marco Simoncelli

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