Mir, campione discreto: ecco come lo racconta chi lo circonda
Le persone che circondano Mir raccontano a Motorsport.com il lato professionale, personale ed umano del nuovo campione del mondo MotoGP, un ragazzo di soli 23 anni con una mentalità impressionante.


Non c’è forma migliore di conoscere un individuo che chiedere alle persone che lo circondano: colleghi, compagni di squadra, capi ed anche rivali, che possono descrivere pregi e difetti del personaggio in questione. Sicuramente è molto difficile trovare qualcuno che abbia qualcosa di negativo da dire su Joan Mir, per niente scontato in un ecosistema così competitivo e duro come il mondiale, dove chi più e chi meno cerca di destabilizzare l’avversario come può.
L’arrivo del maiorchino in MotoGP può definire perfettamente il suo carattere: senza fare molto rumore, ha firmato un contratto come pilota ufficiale Suzuki per il 2019 dopo una sola stagione in Moto2, in cui si è ritrovato nella bufera del team Marc VDS. Prima di passare alla Casa di Hamamatsu, Honda lo aveva contattato, ma non lo ha voluto mettere nel team Repsol e questo ha portato l’accordo a non concretizzarsi. Queste riserve della struttura dell’Ala Dorata hanno contrastato con la fiducia di Suzuki, che attraverso Davide Brivio ha convinto Mir del fatto che il team ‘azzurro’ fosse l’ambiente ideale per crescere e porre le basi che lo hanno portato dov’è ora. In questi due anni in MotoGP, Mir ha mostrato lati di un carattere che raccontano diversi valori che indubbiamente sono stati determinanti per realizzare il sogno che sta vivendo in questi giorni. Al debutto nella classe regina ha fatto vedere la velocità che aveva – “i dati mostravano quanto fosse rapido”, assicura Claudio Rainato, il suo ingegnere elettronico, ad Autosport – e durante l’inverno ha processato tutta l’esperienza accumulata per mettere in pratica una nuiva forma di correre. “Nel 2019, con maggiore sforzo andavo più lento. Ora con meno vado più veloce”, afferma lo stesso Mir a chi scrive queste parole. Il maiorchino ha avuto pazienza, ha accettato il suo ruolo di attore secondario dopo che Alex Rins ha vinto le prime gare con Suzuki in tre anni (Austin e Silverstone) e si è proiettato al 2020 con la mente sgombra e con un piano che ha seguito alla perfezione.
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La tempra mostrata dopo un inizio di stagione critico, con due cadute nelle prime tre gare che lo avevano portato in 14esima posizione nella generale a 48 punti dal leader, è un altro dei suoi punti forti. Non ha mai perso i nervi, consapevole del fatto che le cose sarebbero cambiate perché dovevano farlo per forza. Eccome se lo hanno fatto: a partire da quel momento, Mir ha messo a segno una serie di risultati con una solidità impressionante, portando a casa sette podi in dieci gare. È stato l’unico pilota della griglia ad aver preso punti in tutte queste dieci gare.
La serenità con cui ha gestito il vuoto che aveva per non aver ottenuto una vittoria è ugualmente o più impressionante della determinazione che lo ha portato a trionfare a Valencia, nel miglior momento, ma anche nel più delicato. Quella domenica poteva fare un grande passo verso la corona o allontanarsi pericolosamente. La gara di Cheste riassume al meglio il mix di talento, fiducia, fermezza e freddezza che definiscono il nuovo campione. Il tutto senza fronzoli, senza altezzosità verso nessuno e con un discorso tanto strutturato come credibile e naturale, lontano dal populismo e dai messaggi prefabbricati che purtroppo ultimamente proliferano.
Arrivati a questo punto, ci si chiede da dove viene fuori questo buon materiale, doprattutto in un pilota così giovane, che in soli cinque anni è passato dal debuttare al Mondiale a festeggiare il titolo in MotoGP. Ovviamente, la risposta viene offerta dalle persone che lo circondano, con cui trascorre la maggior parte del tempo, tanto quando si trova alle gare come quando si trova a casa, ad Andorra. Tra loro, chi sicuramente ha più autorità per parlare di Mir è Tomas Comas, che combina la sua funzione di preparatore fisico con quella di compagno di fatica e confidente. Tomas, anche lui maiorchino, affianca il pilota Suzuki da quando, ad 11 anni, è entrato nel centro tecnico sportivo Illes Balears, a Palma de Maiorca.
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Nonostante il suo lavoro consista principalmente nell’essere allenatore, la complicità nata fra i due rende Comas un fratello, qualcosa di molto importante oggi: è qualcuno che gli dice quel che vuole sentire, ma anche ciò che non vuole.
“Joan è un ragazzo molto intelligente e competente. Ma la cosa più importante è che è un ragazzo normale. Questo penso che sia dovuto alle persone che lo circondano. Il rispetto e l’educazione sono vitali per quanti successi sportivi si possano ottenere. È una persona che non dice niente per caso e che non ha bisogno di alzare la voce per essere ascoltato. Tra di noi ci sono momenti in cui discutiamo, ovviamente, gli dico ciò che penso nello stesso modo in cui lo fa lui”, spiega Comas ad Autosport.
Il preparatore ha visto da vicino la grande progressione di ‘Johnny’, che in cinque anni è passato dal debutto nel mondiale Moto3 a vincere la MotoGP in un anno atipico, segnato dalla pandemia del Coronavirus. “Ora è più tranquillo sul lato personale, ma anche in quello professionale. Nella sua quotidianità è fisso ad Andorra con la sua ragazza Alejandra e conduce una vita tranquilla. Nell’ambito professionale, in questa stagione ha fatto un passo in avanti. Quando arrivi in un ambiente nuovo come è successo nel 2019, è normale e giusto che ti lasci consigliare. Ora Joan comincia a prendere le sue decisioni, diciamo che ha fatto una progressione”, sottolinea Comas, a cui non ha impressionato troppo la freddezza con cui Mir ha gestito la pressione nei momenti chiave.
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“La gestione della pressione si può lavorare un po’, ma è impossibile replicare, per esempio, i momenti precedenti alla gara ed i nervi o l’ansia che possono provocare. Ci sono cose innate in lui, come questa tranquillità. È una persona che rende molto meglio quando si trova sotto pressione e questa cosa si vede ogni giorno”.
La compostezza con cui il primo campione Suzuki dopo 20 anni ha chiuso la lotta al titolo è il ritratto più fedele della sua personalità. Secondo Paco Sanchez, suo agente ed uno dei suoi consiglieri, “Joan è molto discreto; sfugge le eccentricità che vede in altri. Per esempio, qualcuno sa che macchina ha? Ha due buone auto (un Audi RS6 ed una Ford Raptor), ma nessuno le vede perché non è una persona a cui piace sfoggiarle. Non vuole attirare l’attenzione in alcun modo”.
“Ha la sua casa pagata, amministra le sue finanze nello stesso modo in cui corre: il 60% di ciò che percepisce lo investe in proprietà, il 20% lo tiene in banca e l’altro 20% se lo gode”, prosegue l’avvocato, che nell’ultima negoziazione con Suzuki, per firmare un contratto che scade nel 2022, ha svolto molto bene il lavoro relativo ai complementi per obiettivi. “Diciamo che, con il titulo, Joan diventa uno dei quattro piloti della griglia più pagati. Questo, Suzuki lo manterrà a partire da ora”.
La carriera di Joan Mir in immagini






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