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Intervista

Giacomo Agostini, il testimone di un'altra epoca dei Gran Premi

Da mezzo secolo, Giacomo Agostini porta in sé la più grande e ricca carriera che abbia conosciuto un pilota di moto. Il campionissimo che detiene i record di titoli e di vittorie nei Gran Premi osserva una MotoGP ormai troppo tecnologica per i suoi gusti, ma ben lontana dalla clamorosa mancanza di sicurezza che ai suoi tempi creava scompigli.

Giacomo Agostini

Foto di: Gold and Goose / Motorsport Images

Quando Giacomo Agostini annuncia il suo arrivo su una gara MotoGP, il paddock è improvvisamente in fermento. I suoi 15 titoli di campione del mondo e le 122 vittorie nei Gran Premi hanno ovviamente molto a che fare con questo, essendo stato la star assoluta dei circuiti durante i suoi 14 anni di carriera mondiale, un eroe che si è guadagnato l'ammirazione per le sue imprese nei fine settimana e un concorrente feroce, che pochi sono riusciti a far scendere dal suo piedistallo.

Ma, a 80 anni (presto 81), Giacomo Agostini è anche un prezioso testimone di un'altra epoca delle gare di moto. Se il campionato ha appena superato il traguardo del 1000° Gran Premi dalla sua nascita nel 1949, quando il Re Ago si ritirò all'età di 35 anni solo poco più di un quarto erano stati disputati. A quel tempo, lo sport non era più agli albori, ma aveva ancora grandi battaglie da dare, in particolare per diventare più sicuro e per professionalizzare il profilo di tutti i piloti.

"La cosa bella di oggi è che noi avevamo la stessa tensione ma in più avevamo il pensiero della morte", ricorda Giacomo Agostini in un'intervista con Motorsport.com. "Purtroppo quando cadevamo era più il grave danno che il poco danno. Oggi fortunatamente puoi cadere, ti rialzi, parti e vai ancora. Questa per me è stata la grande evoluzione della sicurezza".

"Ho corso all'isola di Man, dove ho vinto dieci volte, e ad oggi ci sono 266 morti [su quella gara]. Purtroppo era così, le piste erano quelle e se volevi correre, dovevi correre così", ammette, da tempo rassegnato in merito alla realtà delle corse dell'epoca. Questa era la realtà quando le strade dell'Isola di Man erano in calendario allo stesso livello di un Gran Premio su un circuito, essendo rimaste nel programma del campionato senza interruzioni dal 1949 al 1976.

Agostini, dal canto suo, si fermò all'ultima vittoria lì, nel 1972, definitivamente disgustato dalla morte dell'amico Gilberto Parlotti. Un atto che fu visto come un precursore di altri boicottaggi che sarebbero avvenuti in seguito e che avrebbero portato all'eliminazione di questa corsa emblematica dal campionato.

Per i piloti degli anni '60 e '70, i decenni di attività di Agostini, la percezione del rischio era reale e permanente. "Noi avevamo questo pensiero in più, la morte. Tante volte sono partito dopo un'ora che era morto un mio amico. Sono cose che ti lasciano il segno", ricorda.

Giacomo Agostini, MV Agusta

Giacomo Agostini, MV Agusta

Photo by: Uncredited

Ora che abbiamo raggiunto questo traguardo "incredibile" del 1000° Gran Premio, il campionato è chiaramente cambiato molto rispetto all'epoca del suo pilota più titolato. "Il progresso non si ferma, giustamente, va avanti. Sono cambiate tante cose, soprattutto è cambiata la sicurezza", sottolinea. "Oggi c'è molta più sicurezza con le piste, gli spazi di fuga, le tute, il casco integrale. Anche l'airbag, che ha un po' inventato il mio amico Lino Dainese, è stato un aiuto incredibile per i piloti riguardo alla sicurezza".

Troppa potenza e troppa elettronica

C'è però un punto su cui il campione italiano è molto più riservato. "Sono cambiate anche le moto e io non sono troppo d'accordo sul fatto di avere troppa tecnologia", spiega. "Oggi una moto nessun pilota riesce a guidarla se togli l'elettronica, allora vuol dire che il pilota non serve più così come serviva prima. Io forse questo lo fermerei un po' perché vorrei dare al pilota tutta la responsabilità e la bravura della vittoria. [Vorrebbe] dire che è lui con la sua moto a vincere. Oggi, invece, c'è tanta elettronica e ti aiuta a fare tante cose".

"Credo che sia anche la potenza che abbiamo oggi che non serve", prosegue Giacomo Agostini. "Vogliamo lo spettacolo e la lotta, e l'elettronica non serve a questo. Le moto oggi hanno tanta potenza […] In passato, quando Mike Hailwood, Phil Read, Agostini, Kenny Roberts o Valentino Rossi avevamo solamente 120 o 150 cavalli, lo spettacolo c'era. Quindi non è che perché oggi ci sono più cavalli che ci sia più spettacolo. Anzi oggi, con tanta potenza porti al limite tutto: le gomme, i freni, il telaio, la catena e anche il pericolo".

Per Giacomo Agostini, che si è guadagnato lo status di eroe in un'epoca in cui le moto erano molto più rudimentali rispetto ai mostri tecnologici di oggi, questo sviluppo estremo non è quello che il pubblico cerca.

"Ormai è tutto al limite, aiutato dalla tecnologia. Se questa tecnologia non funziona al 100%, anche il pilota più bravo non può fare niente. Quindi credo che sia giusto forse ridurre tutto questo, per avere ancora più spettacolo", osserva. "Per il pubblico è un po' una delusione quando tu pensi di andare a vedere i tuoi idoli, quelli che fanno cose che non tutti riescono a fare, [e che non possono vincere]."

In un momento in cui gli organizzatori sono alla ricerca delle soluzioni migliori per riportare il pubblico su alcuni circuiti disertati dagli spettatori, Agostini vorrebbe che l'uomo riprendesse il controllo e che i grandi campioni si distinguessero. "Un Maradona o un Ronaldo nel calcio, un Cassius Clay nella boxe, un Eddy Merckx nel ciclismo, un Agostini, un Mike Hailwood o un Valentino Rossi nelle moto… La gente vuole vedere questo. CI si innamora del personaggio", argomenta.

Oltre allo spazio preso dallo sviluppo, che può mettere in difficoltà grandi marchi come stiamo vedendo oggi con Honda e Yamaha, c'è anche un estremo restringimento delle prestazioni, ottenuto con gli anni grazie ai regolamenti tecnici (elettronica unica e monogomma, in particolare) e a tecnologie sempre più spinte. Per Agostini, questo contribuisce anche alla convinzione che sia facile per tutti arrivare al vertice. "Invece non è facile. Ti viene da pensare che sia facile perché, appena ha qualcosa, il grande pilota, che pensi possa vincere, non ci riesce. E questo è un po' una delusione", rimpiange.

Le gare di oggi coprono ancora più o meno la stessa distanza di quelle che disputava Agostini. Le carriere, tuttavia, sono considerate sempre più faticose, con un numero di Gran Premi in aumento e un programma sempre più fitto nei fini settimana. Tuttavia, ai tempi del campionissimo, anche se c'erano meno Gran Premi nella stagione, era molto comune correre in più categorie contemporaneamente e quindi fare più partenze per weekend.

Fabio Quartararo, Yamaha Factory Racing

Fabio Quartararo, Yamaha Factory Racing

Photo by: Dorna

"Io a fine anno avevo fatto tanti Gran Premi come loro oggi", osserva, avendo dominato contemporaneamente le classi 350 e 500cc. "Il fatto è che oggi sono preparati per fare questo ma non è che sia meno difficile o più difficile, più facile o meno facile. E' diverso perché c'è stata evoluzione".

Frequentatore assiduo del paddock anche oggi, Giacomo Agostini osserva quest'evoluzione, a volte critico, sempre appassionato. I suoi occhi limpidi seguono con grande attenzione le prestazioni di coloro che gli sono succeduti e che hanno in loro lo stesso "dono della natura" che gli ha permesso di scrivere una delle storie sportive più ammirevoli.

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