Caldarelli: "Sono affascinato dall'automobilismo Usa"
Andrea Caldarelli è al debutto a Daytona e in un continente dove non aveva mai corso. Il vice campione del Super Gt giapponese è rimasto stupito da come le squadre non badino a spese per evolvere le vetture. E sulla Huracan dice che va compresa
Foto di: Brian Cleary
La Lamborghini è la Casa che a Daytona presenta il maggior numero di vetture in GTD. Sono infatti otto le Huracan presenti al via, tutte con equipaggi misti e con tutti i piloti italiani di punta della Casa di Sant'Agata bolognese con in testa Mirko Bortolotti che è stato anche il più veloce nelle qualifiche riuscendo a portare la vettura del team Grasser al quinto posto dietro alle due Ferrari 488 di Pierguidi e Balzan, alla Vantage di Lamy e alla Porsche GT3 R del debuttante Matteo Cairoli.
Oltre a lui ci sono Marco Mapelli, Paolo Ruberti, Cedric Sbirrazuoli, Chicco Busnelli, Fabio Babini con la vettura dell'Ebimotors, Michele Beretta. Ma in Florida c'è stato anche un altro debutto "americano" su una Lambo. Quello di Andrea Caldarelli, il vice campione del Super GT giapponese, che la vettura l'aveva già assaggiata in alcune occasioni l'anno passato ma che mai era sceso in pista nella serie Imsa e negli Usa.
"Era un mio pallino tornare a lavorare con una Casa europea dopo l'esperienza giapponese che comunque continua e che mi ha insegnato tantissimo. La decisione di andare a correre in Giappone andava contro corrente rispetto alle mode dell'epoca. C'era stato lo tsunami, il paese viveva una profonda crisi economica e anche nelle corse i tempi dei facili guadagni erano conclusi. È una scelta che rifarei domani: mi ha cambiato la vita, il lavoro ed ora credo di essere cresciuto come non mi sarei mai aspettato".
"Il livello delle corse giapponesi è altissimo. Mettiamo in Europa, il Super GT non è molto seguito ma posso assicurare che c'è una professionalità superiore. Il fatto poi di lavorare in stretto contatto con un produttore di pneumatici mi ha portato a concepire la professione in modo diverso, con un'ottica sempre rivolta all'evoluzione tecnica di gomme e vettura. Là ci sono regolamenti molto aperti".
"In alcune cose possono ricordare quelli dell'Imsa, come sul divieto di montare le termocoperte, il che per me rappresenta egoisticamente un vantaggio se si parla di 24 Ore di Daytona. Poi c'è stata anche la crescita individuale perché confrontarsi con i giapponesi non è semplice: ci sono barriere linguistiche e culturali e bisogna impegnarsi molto per farsi accettare. Ora, a distanza di anni, mi sento di far parte della loro famiglia. Non certo come Ronnie - ndr Quintarelli - che addirittura ha fatto una scelta di vita e che risiede stabilmente in Giappone. Però, ripeto, sono un uomo e un pilota diverso rispetto a quando correvo in Europa".
Come è nato il contatto con Lamborghini per correre a Daytona?
" Ho corso con mio cognato Vitantonio Liuzzi l'anno passato nella corsa del GT Open al Paul Ricard e le cose sono andate abbastanza bene. Poi mi hanno offerto di effettuare un test durante l'estate e da lì è partito un po'tutto con una 24 Ore disputata con il team Grasser ed eccomi qui per la mia prima corsa negli Sati Uniti".
Le risultanze delle qualifiche dicono che siete leggermente indietro rispetto alle Ferrari, all'Aston Martin e alle Porsche. Perché?
"Mah sai sono state qualifiche brevi che qui hanno un significato relativo. La Huracan è molto particolare da guidare, la devi comprendere. Per i gentleman è semplice raggiungere un buon ritmo ma portare al massimo delle proprie potenzialità la macchina diventa più complesso. Ma quando riesci a trovare il limite giusto soprattutto in relazione al telaio e alle gomme diventa molto competitiva. Il primo approccio, però, è davvero importante. Devi fare un click mentale e importi di studiarla. Quando questo accade la Huracan non ti tradisce mai e diventa piacevolissima da pilotare".
È un vantaggio essere abituato a lavorare senza l'utilizzo delle termocoperte per le gomme?
"Non c'è alcun problema. Come pneumatici si avverte che sono duri e fatti per durare. Nel banking sei al limite dell'aderenza e si capisce che la gomma è studiata per questo circuito molto strano. Di fatto le Continental sono un compromesso tra durata e prestazione e a risentirne sono le perfomance nel tratto misto. Diciamo che è un pneumatico diverso a cui bisogna adattarsi".
Come è stato il primo impatto con l'automobilismo Usa?
"Guarda sono entusiasta. Il primo approccio è stato un test in novembre con questo team, il Paul Miller, e mi ha stupito come gli americani vivono le corse. Sono molto professionali e soprattutto non hanno problemi di investimenti. Abituato sempre a un automobilismo in cui la voce budget è fondamentale qui trovo persone che non si tirano mai indietro se c'è da prendere nuove strade o provare qualcosa di diverso. È una questione non solo di soldi ma proprio culturale, il che li differenzia tanto da come viene impostato il nostro sport in Europa. Fino ad oggi, ovvero a poche ore dalla partenza, non posso che parlare bene degli Usa, anche perché è interessante vedere i loro regolamenti. Un pianeta a parte".
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