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Cavicchi: "Di Tarquini l'intuizione sul piantone rotto!"

Senna: l'ex direttore di Autosprint, ora a Quattroruote, svela come è nata l'inchiesta dopo la tragica morte di Ayrton

A leggere gli articoli che appaiono giorno dopo giorno sulla stampa specializzata, su quella generalista e sui siti internet, per non parlare dei commenti in televisione, la tragica morte del grandissimo Senna è rubricata, com’è giusto che sia, come conseguenza della rottura del piantone della sua Williams al momento d’imboccare la curva del Tamburello a Imola. Ma quanto fu dura all’epoca convincere tutti che era proprio quella la causa dell’uscita di strada e non le tante supposizioni più o meno verosimili che si leggevano ovunque oppure che la stessa Williams suggeriva a destra e a manca per negare l’evidenza? All’epoca ero direttore di Autosprint, l’unico media che subito lanciò l’accusa della rottura e che, per sei lunghi mesi, settimana dopo settimana, uscì con in copertina la foto del piantone spezzato e la scritta “vogliamo la verità” . Fu una battaglia contro tutto e contro tutti: eravamo derisi da molta stampa concorrente, attaccati dalla Federazione Internazionale che faceva pressione sul mio editore perché la piantassimo con quella stupida teoria, sommersi da minacce di querela da parte della Williams e del Presidente della FIA, Mosley che chiedeva a gran forza anche la mia testa. Soltanto il magistrato che si occupava della vicenda prestò attenzione alle nostre accuse, e non le sottovalutò. Anzi, ci considerò molto affidabili al punto da stringere una sorta di collaborazione fidata con Franco Nugnes, proprio il direttore di OmniCorse.it, che allora era il mio vicedirettore. Per mesi Franco diventò un supporto fisso nelle indagini perché era competente e fuori da tutti gli interessi di parte (che erano davvero tanti). Ma è giusto ricordare che l’intuizione non fu nostra, bensì di Gabriele Tarquini, il campione di oggi che era già un campione anche allora. Fu lui, che di rientro da una gara corsa all’estero, leggendo il numero di Autosprint immediatamente successivo alla morte di Ayrton, notò una fotografia dove un pezzo di piantone, con il volante saldamente attaccato, era appoggiato al fianco della monoposto con ancora il pilota dentro e ormai quasi senza vita. Era in autostrada e ci telefonò incuriosito perché quel taglio netto del piantone non gli era chiaro. Chi l’aveva segato? I soccorsi appena arrivati? E come avevano fatto? Domande che non caddero nel vuoto. Aveva ragione a insospettirsi: così dalla redazione chiamammo subito il dottor Salcito, il dottore dell’autodromo di Imola sulla macchina medica, che era stato anche uno dei primi a giungere sul posto. “Nessuno può averlo tagliato – rispose con sicurezza – siamo stati i primi ad arrivare e non avevamo attrezzi da lavoro con noi. Semplicemente un collega, per prestare i primi aiuti, avrà provato a togliere il volante ed è venuto via tutto, il volante più il moncherino di ferro, e l’insieme è stato appoggiato a terra per poter slacciare il casco del pilota”. Salcito era uno che sapeva il fatto suo, lavorava da molti anni sulle piste e non poteva confondersi. Se fossero arrivati prima i commissari con cesoie, seghe o altri strumenti lo avrebbe visto chiaramente. Quindi il piantone doveva essersi spezzato. Proiettammo l’immagine il più grande possibile su una parete, e più la guardavamo più ci convincevamo che non poteva esserci altra spiegazione. Così quella fotografia fu sparata in copertina il numero successivo e partì la nostra battaglia per rendere giustizia ad Ayrton. Sono dovuti passare anni per arrivare alla verità e alla condanna, peraltro caduta in prescrizione, di chi aveva operato così maldestramente una modifica al piantone la sera prima della gara, una mossa richiesta dallo stesso pilota brasiliano per montare il volante più grande e leggere meglio gli strumenti: un tubo più piccolo mal saldato a quello originario a metà della sua lunghezza. Un errore fatale come in passato era capitato altre volte, quando la F.1 era più artigianale di oggi e spesso si operavano soluzioni d’emergenza per risolvere dei problemi. Ricordo perfettamente nomi e facce dei tanti che ci accusarono di cercare lo scoop a tutti i costi, giornalisti e addetti ai lavori che ci compativano, sbertucciavano, bacchettavano, e che oggi, senza vergogna alcuna, riportano come andarono effettivamente le cose. Poco importa; quello che conta è che la lotta mia, di Franco, di Angelo Orsi e di pochi altri anche in seno alla redazione, dove non mancavano gli scettici sciocchi, sia servita a stabilire la verità.

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