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Alboreto e quel maledetto 25 aprile 2001

Oggi ricorrevano i quattordici anni dalla scomparsa del campione milanese con l'Audi al Lausitzring

Il suo sorriso triste si è spento quattordici anni fa. Proprio nel giorno della Liberazione. Erano le 19,30 all'ora dell'imbrunire. Per l'afflosciamento di una gomma. La posteriore sinistra che stava perdendo pressione ha fatto accucciare il retrotreno dell'Audi, la barchetta della Casa degli anelli che si stava preparando alla 24 Ore di Le Mans. E sul lungo rettilineo del Lausitzring la R8 Sport ha preso aria sotto al muso ed è decollata per un volo tragico. Michele Alboreto è morto sul colpo dopo che la sua vettura impazzita ha divelto una recinzione, finendo un centinaio di metri lontano.

Il ragazzo milanese con i lunghi riccioli neri era diventato un uomo maturo con gli ormai più radi capelli grigi. Altri alla sua età avevano già smesso di gareggiare. Michele non si era arreso perché era un innamorato delle corse come della sua famiglia. Ma 45 anni erano davvero pochi per smettere di vivere.

La Formula 1 era una parentesi chiusa. Un lungo capitolo ricco di soddisfazioni. Quattordici anni, 194 Gp disputati. Cinque vittorie (meno di quanto meritasse) e un secondo posto nel mondiale piloti nel 1985 quando la Ferrari aveva smarrito la via del successo, montando turbine Garrett che si rompevano troppo spesso sul motore turbo. Il sogno iridato era andato letteralmente in... fumo.

Si era guadagnato la stima di Enzo Ferrari vincendo con la Tyrrell-Cosworth dopo essersi aggiudicato il titolo europeo di Formula 2. Il milanese era un talento che si era formato a Monza con le piccole Formula Junior. Non aveva un soldo, ma tanto talento. E sapeva farsi volere bene. Nella Scuderia Salvati aveva trovato tanti amici che si erano prodigati a dargli una mano.

Amici che non ha mai dimenticato quando è diventato l'italiano pilota ufficiale della Ferrari. Un sogno che si era trasformato in realtà, anche se la Rossa non era all'apice della competitività. Avrebbe potuto andare alla Williams, ma decise di restare fedele al Cavallino. Un errore. Poi il ritorno alla Tyrrell e il passaggio alla Lola Larrousse, seguito da Footwortk, BMS Scuderia Italia e Minardi. L'epilogo nel Circus nel 1994: l'anno maledetto, quello della scomparsa di Ayrton Senna e Roland Ratzenberger.

Poi il DTM con l'Alfa Romeo 155 del team Schubel, l'Indycar e la 24 Ore di Le Mans: la pole position nel 1996 e il successo nel 1997 con la TWR Porsche del team Joest divisa insieme a Stefan Johansson e Tom Kristensen. La moglie Nadia sperava che quell'allora prestigioso avesse placato la sua voglia di competere, ma la chiamata di Wolfgang Ullrich, grande capo dell'Audi Motorsport lo aveva di nuovo galvanizzato.

Alboreto si trovava di nuovo al centro di un progetto con una Casa ufficiale. Era il pilota prescelto per lo sviluppo della barchetta che voleva dominare a Le Mans. Non ha fatto in tempo a godersi cosa ha sortito il suo lavoro spesso oscuro, ma molto prezioso. La Casa degli anelli, infatti, ha infilato tredici successi dal 2000 a oggi.

E Michele ci ha lasciato un'importante eredità che adesso si trova sulle macchine della grande produzione di serie: dopo il suo tragico incidente, la Michelin studiò un sensore che avvisasse quando una gomma stava perdendo pressione, rischiando di innescare un grave incidente. La tragedia di Alboreto, quindi, non è stata vana: è servita a salvare tante altre vite con una tecnologia che è disponibile anche sulle utilitarie.

Ma quel sorriso triste ci manca tanto...

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