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Biscaye, Venturi: “Il VBB-3 prova che i veicoli elettrici vanno forte”

Dopo aver raggiunto i 549,43 km/h nel settembre del 2016, la Venturi era pronta a battere un nuovo record di velocità con il proprio prototipo nel deserto di Bonneville, ma per cause esterne ha dovuto rimandare.

Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Venturi VBB-3
Roger Schroer, Venturi
Roger Schroer, Venturi
La giornalista Chiara Rainis e Delphine Biscayne, Team Venturi
La giornalista Chiara Rainis e Franck Baldet, Team Venturi

Niente da fare per il pilota Roger Schroer che, pur già ai nastri di partenza sull’affascinante lago salato dello Utah al volante del “siluro” Venturi VBB-3, è stato costretto a rinunciare alla caccia alla storia per via delle forti piogge delle ultime settimane che hanno reso impraticabile il percorso. 

 

La giornalista Chiara Rainis e Delphine Biscayne, Team Venturi
La giornalista Chiara Rainis e Delphine Biscayne, Team Venturi

Photo by: Lorenzo Senna

Ciò nonostante la responsabile del progetto della scuderia monegasca Delphine Biscaye ha accettato di rivelare in esclusiva a Motorsport.com i segreti del “dietro le quinte” di un tentativo che di per sé dura pochi secondi, ma che invece implica parecchie ore di lavoro tra Principato e Stati Uniti. 

Riuscire a battere un record è un’operazione che richiede molto lavoro e fatica. Quante persone avete impiegato nel VBB-3?
“Innanzitutto va sottolineato che si tratta di un progetto ponte tra Montecarlo e gli Stati Uniti, che ci ha tenuti occupati per due anni prima del tentativo inagurale nel 2013. Tornando ai numeri siamo circa una ventina. Nel Principato quattro o cinque tecnici, mentre il resto sono studenti dell’Università dell’Ohio che, da aprile a settembre, dedicano al prototipo due pomeriggi a settimana più i week end. Per quanto riguarda la nostra parte, prima eravamo di più perché a noi toccava sviluppare il powertrain, oggi invece il carico maggiore spetta all’America visto che si occupano del design, delle batterie e dell’elettronica, oltre che dell’evoluzione del mezzo. Tra di noi c’è comunque continua comunicazione per quanto concerne la costruzione, le componenti e il budget a disposizione”. 

 

Come funziona invece la preparazione sul posto?
“Si fa un test un mesetto prima dell’evento e poi nella settimana eletta al tentativo si effettuano dei run, di solito il mattino presto per avere il tempo di ricarica prima di ripetere la prova il pomeriggio con temperature più basse. D’altronde, a metà giornata, è sempre molto caldo, per cui si utilizzano quelle ore per lavorare sul mezzo”. 

 

Quali sono i punti su cui vi siete concentrati maggiormente quest’anno?
“Il focus è stato primariamente su inverter e cambio, di cui abbiamo rivisto marce e frizione. Sono state fatte anche diverse prove al banco singolarmente e poi con l’intero powertrain. Inoltre, si è lavorato per ridurre il rumore e migliorare così la comunicazione tra abitacolo ed esterno”. 

 

Che criticità si incontrano nell’affrontare una simile sfida?
“La potenza è molto elevata, trattandosi di un prototipo da 3000 CV e anche il peso non è indifferente, dato che gli otto pacchi di batterie superano la tonnellata. Se si pensa, poi, che è un quattro ruote motrici, dotato di un motopropulsore posteriore e uno anteriore, si capisce quanto sia complicato far funzionare in armonia i due assi, il motore e i due cambi”. 

La vostra prima volta al Bonneville Speedway è stata nel 2010. Che cosa avete imparato da allora?
“Abbiamo appreso molto sull’aerodinamica, il design, gli assetti, gli ammortizzatori e le sospensioni, ma soprattutto sulle gomme, che su una superficie particolare come il sale hanno un modo unico di reagire”.

Quali sono le variabili che possono giocare a favore o contro il raggiungimento dell’obiettivo?
“Sono essenzialmente due: le capacità del veicolo e le condizioni del fondo. Di solito nella zona dello Utah piove molto d’inverno, per cui quando arriva la bella stagione il sale evapora e si creano delle sconnessioni. Questo aspetto ricopre una certa importanza visto che le vibrazioni possono danneggiare le batterie, l’elettronica e tutto il resto del mezzo”. 

 

Avete mai pensato di andare altrove per ovviare all’incognita meteo?
“Sì, avevamo valutato la possibilità di provare in Australia essendo dotata di aree con rettilinei molto lunghi, ma poi l’abbiamo scartata perché era difficile accedere alla zona. Un’altra alternativa interessante potrebbe essere la Bolivia. Vedremo come evolverà la situazione”.

In ultimo, quali sono i motivi che vi hanno spinto a tentare questi record?
“La nostra volontà è quella di dimostrare che è possibile raggiungere velocità molto elevate con una macchina elettrica e che si può competere alla pari con le vetture dotate di motore termico. Fino ad ora abbiamo superato i 500 km orari, ma il nostro desiderio è migliorare ulteriormente, per farlo però dovremo riprendere a lavorare su powertrain e disegno perché il VBB-3 è ormai al limite. Il bello è comunque che tutto ciò che sviluppiamo per questo progetto possiamo adottarlo in Formula E e poi nella serie. La tecnologia, infatti, è la medesima”.  

 

 

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