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Intervista

Ricciardo esclusivo: "Sarò qui ancora a lungo"

Il pilota della McLaren si è raccontato in una lunga intervista esclusiva concessa a Motorsport.com, affrontando il tema delle difficoltà che sta vivendo, ma anche del suo futuro, che vede ancora a lungo in Formula 1.

Roberto Chinchero, giornalista di Motorsport.com Italia e Sky SportF1, intervista Daniel Ricciardo, McLaren

I protocolli Covid, rispettati in modo rigoroso nel paddock di Formula 1, non permettono ancora ai media di accedere alle hospitality delle squadre. L’appuntamento è quindi nel paddock, e Daniel Ricciardo, puntualissimo, cerca un posto adatto ad una chiacchierata: “Visto che sei italiano, e un po' lo sono anche io, sediamoci qui al sole”.

Il caldo ungherese è asfissiante, ma per mezz’ora "Ricchiardo", per dirla all’inglese, fa dimenticare di essere pressoché in una sauna. Daniel non si nasconde, parla delle difficoltà che sta vivendo alla McLaren, della convivenza con Lando Norris, di un approccio con la Ferrari che non ha avuto seguito, e di un futuro dai contorni ancora non definiti. Parla inglese, ma quando arriva al punto chiave di un discorso ci piazza una parola in italiano, per rimarcare il concetto.

Di base, però, c’è un aspetto che non è un’esclusiva del trentaduenne di Perth, ma che lui manifesta nel modo più nitido: la consapevolezza di essere un fortunato, uno che ce l’ha fatta. La prossima tappa del Mondiale 2021, a Spa, sarà il suo duecentesimo Gran Premio, un traguardo importante che Ricciardo taglierà con sette vittorie e trentuno podi all’attivo, ma soprattutto con lo stesso sorriso che sfoggiò a Silverstone il 10 luglio 2011, data della sua prima gara in Formula 1, disputata con il team HRT. “Chissà quanto impiegherà il sistema Formula 1 a toglierli dal volto quell’espressione”, dissero in tanti, ma la profezia si è rivelata errata. Ricciardo, dieci anni dopo, è ancora lui.

Gli esami nella vita non finiscono mai, giusto?
“Esatto, proprio così”.

Facciamo un passo indietro: ma queste monoposto non erano guidabili da chiunque?
“Peccato che chi dice queste cose non è mai una persona che le guida”.

Quest’anno si è parlato molto di ‘feeling’, quello che un pilota deve trovare con la monoposto per riuscire a spremere tutto il potenziale tecnico. Ci spieghi di cosa si tratta nel concreto?
“È una sensazione, o un insieme di sensazioni. È qualcosa che sentiamo nel fondoschiena, nelle spalle, nelle mani, un pilota è legato fisicamente alla monoposto, si muove con essa, non a caso si usa l’espressione che si è un tutt’uno con la macchina. Quindi, qualsiasi cosa faccia la monoposto un pilota l’avverte attraverso il corpo, e se la sensazione che arriva non è familiare allora diventa difficile reagire nel modo corretto. Venendo al mio feeling con la monoposto che sto guidando questa stagione, semplicemente sento delle sensazioni diverse, in alcuni casi per me anche del tutto nuove, e sto davvero dando il massimo per cercare di sentirmi a mio agio in questa situazione inedita. Ma, soprattutto ad inizio anno, la mia reazione quando ho avvertito sensazioni nuove è stata quella di mettermi sulla difensiva, e questo non aiuta di certo la performance”.

Sappiamo che ogni pilota in Formula 1 può confrontare i suoi dati con quelli del compagno di squadra. Dall’esterno verrebbe facile pensare ‘okay, vedo cosa fa, poi torno in pista e faccio lo stesso’, ma sappiamo che non funziona così...
“No, teoricamente si potrebbe vederla così, ma la realtà è un’altra. Proprio quando vedi i dati, e ti accorgi che il tuo compagno di squadra fa qualcosa di diverso, visualizzi nella mente quella situazione in pista e capisci subito che non puoi farlo. Nel mio caso, sono certo che se affrontassi alcune situazioni come Lando dovrei frenare o finirei in testacoda, e torniamo alla domanda precedente. Ogni pilota ha uno stile, un po' unico, personale, ed anche se imposti la monoposto allo stesso modo del tuo compagno di squadra, non ottieni lo stesso risultato, perché siamo tutti un po' diversi. È complicato, perché queste macchine sono complicate”.

Questa domanda forse non ti farà piacere, ma quest’anno vederti doppiato a Monaco dal tuo compagno di squadra è sembrata una circostanza surreale. Daniel Ricciardo doppiato sul circuito di Monte Carlo…
“Eh si (ride), e un po' è così.  È stato molto difficile, sapevo che gli ingegneri avrebbero provato a spiegarmi perché non ero veloce come Lando, ma io sentivo che la macchina non me lo permetteva. Non volevo sembrare troppo testardo e far passare il messaggio che a Monaco sono il migliore, ma volevo capire cosa fare per tirarmi fuori da quella situazione, è difficile da accettare una differenza di performance del genere, so di cosa sono capace. E come sanno in tanti, quella di Monaco è la mia pista preferita, quella che amo di più, quello di quest’anno resterà un weekend molto strano da ricordare”.

Vedi la luce in fondo al tunnel?
“Va meglio, sto iniziando a vederla ma c'è ancora del lavoro da fare. Siamo riusciti a fare un buon passo avanti, sai, nello sport non sempre si è pazienti, vuoi tutto e lo vuoi oggi, si diventa avidi. Ma nel mio caso dovrò avere ancora un po' di pazienza, so che ci sono ancora alcuni passaggi da completare, il weekend di Silverstone è stato uno di questi passi”.

Qual è la tua opinione sull'incidente di Silverstone tra Max e Lewis? Li conosci bene entrambi...
“Di base è stato un incidente di gara. In quella situazione ho dato un po' più di responsabilità a Lewis, perché ho visto che Max ha lasciato abbastanza spazio, quindi non credo che abbia fatto niente di male. Ma questo episodio si colloca in una stagione che li ha visti ai ferri corti già altre volte, e ho pensato che prima o poi un contatto più importante sarebbe arrivato, sono le corse, e quando ti confronti con dei margini così piccoli, non siamo robot e commettiamo errori, anche se nel caso di Silverstone è stato un incidente violento. Ma non voglio incolpare Lewis, sono le corse, è quei due stanno lottando per il campionato, ovvero il traguardo più grande che c’è in questo sport”.

Sei stato compagno di Max e ora di Lando. Due giovani ma apparentemente con personalità molto diverse. Confermi?
“Sì, credo che siano in effetti delle personalità molto diverse, ma entrambi in pista hanno una grande velocità ‘pura’. Lo vedo con Lando quest'anno, ma forse è un po' presto per confrontare lui e Max. Ma di sicuro anche è molto bravo”.

Sembra proprio che a Spa festeggerai 200 Gran Premi in Formula 1!
“Sono vecchio ca..o! (esclama in italiano)”.

Ma hai dieci anni meno di Kimi, credo che ti vedremo qui ancora a lungo…
“Sai, dipende da tanti fattori. In questo sport mi sono sempre considerato un vincente, quindi se mi trovassi costantemente fuori dai punti e senza una squadra giusta alle spalle probabilmente direi ‘Va bene, il mio tempo qui è finito, arrivederci’. Ma al momento penso che resterò qualche anno ancora, e in vista del traguardo dei 200 Gran Premi se mi guardo alle spalle ciò che vedo mi rende felice, perché arrivare in Formula 1 è l’obiettivo più difficile da raggiungere per un pilota, ma anche restarci non è assolutamente semplice. Quindi sono orgoglioso del mio percorso, mi sarebbe ovviamente piaciuto un titolo Mondiale ma sono contento e soddisfatto delle scelte che ho fatto. Poi, in termini di futuro, vedremo cosa mi riserva”.

A proposito di passato. C’è una domanda rimasta sepolta per tre anni, e riguarda il Gran Premio del Messico del 2018, una delle tue ultime gare con la Red Bull. In quel weekend abbiamo visto al termine delle qualifiche uno dei Ricciardo più felice in assoluto, mentre ventiquattr’ore il tuo volto era il ritratto della delusione, non solo sportiva. Iniziamo dal sabato, ovvero da quando hai ottenuto la pole position ed Helmut Marko non è sembrato proprio contento del tuo exploit che ha tolto il miglio tempo ma Max...
“Sai, ero a conoscenza di alcune cose, ma ho cercato di non prestarci troppa attenzione. Non sono mai stato una persona con una mentalità negativa”.

Questo è uno dei tuoi punti di forza?
“Credo di si. Perché se inizi a pensare troppo finisci col complicare eccessivamente la situazione, e io volevo solo concentrarmi sul lavoro in pista. Tornando al Messico, sapevo che se Max avesse ottenuto la pole quel fine settimana sarebbe diventato il più giovane poleman di sempre, quindi avrebbe ottenuto un record per sé stesso ma anche per la Red Bull, ed è un qualcosa che fa bene al marchio, al team, alla pubblicità e di sicuro porta entrate. Quindi, considerando questi aspetti, ho capito la situazione e non mi sono arrabbiato. Mi son detto ‘okay, questo è business’, e sappiamo bene che la Formula 1 è uno sport ma allo stesso tempo anche un terreno d’affari”.

Eri davvero soddisfatto per quella pole, poi…
“Si, molto contento di me stesso, perché l’anno prima in Messico Max mi aveva rifilato un secondo, era stato un weekend strano. Anche nel 2018 era iniziato così, ma poi in Q3, al momento giusto, ho piazzato la zampata, e esserci riuscito ha confermato la fiducia che avevo in me stesso. Ma poi il giorno dopo è stato...allora: non ci sono molte situazioni, nello sport come nella vita, nella quali nell’arco di ventiquattr’ore passi da essere il top al mondo a…beh, è difficile da gestire una situazione del genere. Sono appassionato, a volte sono anche emotivo e...ti assicuro che è difficile da gestire una delusione del genere”.

Se parli con ogni squadra ed ogni pilota nel paddock, tutti hanno grandi aspettative in vista del 2022, tutti sperano di piazzare un colpaccio ed avere una monoposto in grado di vincere...
“È una speranza, ma non voglio crederci ciecamente, perché se poi la realtà sarà un'altra non voglio che arrivi una mancanza di motivazione. Spero che il campo si chiuda, che i margini tra le squadre possano essere più piccoli, credo che avremo ancora davanti Mercedes e Red Bull, ma se possiamo correre tutti più vicini, credo che sarà una buona notizia, non solo per me”.

La Formula 1 si sta evolvendo proponendo nuove idee. È in arrivo una monoposto meno estrema, e sono già state provate novità come la Sprint Qualifying. Pensi che sia qualcosa di cui la Formula 1 ha bisogno o c’è il rischio di rompere con la tradizione di questo sport?
“Non sono contrario al cambiamento, penso che la prova di Silverstone con il nuovo format sia andata abbastanza bene, forse facendo parte della generazione più giovane ho una mentalità un po' più aperta, ma amo e rispetto la storia di questo sport. Quindi, sicuramente non voglio andare completamente dall'altra parte, ma credo che valutare delle modifiche sia positivo, almeno provarci. Anche sul fronte tecnico credo che sia giusto guardare avanti, ma questo non vuol dire che non abbia dei dubbi su alcuni aspetti. Se guardo oggi le monoposto del 2007 e 2008 la prima cosa che noto è che erano basse, strette e corte, ora invece sono molto più grandi e voluminose, e su alcune piste in effetti è difficile sorpassare solo a causa delle dimensioni della macchina. Ma a parte questo, sono contento della direzione in cui sta andando questo sport”.

Una domanda che è impossibile non farti. Sei mai stato in contatto con la Ferrari?
“Un po' di tempo fa, si, ma non ci siamo mai seduti intorno ad una scrivania con dei fogli da firmare, niente del genere. Ci sono state delle chiacchiere, alcune conversazioni veloci, ma non siamo mai arrivati al punto in cui abbiamo parlato di contratti. Quindi, c’è stato qualcosa ma non siamo mai arrivati ad un secondo passaggio”.

Secondo i rumors di paddock un paio d’anni fa era una delle tue opzioni...
“Nella mia testa era una delle opzioni, specialmente quando la squadra stava lottando per il campionato nel periodo in cui c’era Seb, la squadra era in una buona posizione. Quindi sicuramente Ferrari e Mercedes sono state le prime due squadre da valutare al di fuori della Red Bull, erano le uniche vere squadre desiderabili, ma ho sempre cercato di non farmi condizionare troppo dall'emozione, conoscendo le mie origini italiane. Ho delle foto che mi ritraggono da bambino con una t-shirt Ferrari, un regalo ovviamente di mio ​​padre. Sono una squadra fantastica, li rispetto molto, se le esigenze reciproche si fossero incastrate sarebbe stato bello, ma devo anche dire che il mio sogno era quello di essere un giorno un pilota di Formula 1, e sono comunque molto contento di ciò che ho fatto e di essere dove sono oggi”.

Riesci a immaginarti fuori della Formula 1?
“Non lo so, davvero. Guardo Alonso e vedo che sta bene, ma sono sicuro che ad un certo punto dirò ‘Okay, basta’, sono stanco o non voglio più spingere una macchina al limite. Forse quando invecchi iniziano ad arrivare altre cose, ma non credo che mi succederà in tempi brevi. Forse cinque, sette anni, chi lo sa…”

Quindi alla vigilia di un weekend di gara prepari la valigia prima di partire, hai ancora la stessa sensazione di quando eri un ragazzino?
“Sì ed è un aspetto molto importante. Posso dire di essere più felice ora di quanto lo sia mai stato”.

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