Red Bull vuole un attacco a 2 punte perché sa che non può vincere i titoli
Il team di Milton Keynes è la terza forza del Mondiale e un top team, ma si trova costretta a cogliere le occasioni concesse da Ferrari e Mercedes. Questo permette di non scegliere per forza una prima guida...
Daniel Ricciardo, Red Bull Racing RB14 Tag Heuer, lotta con Max Verstappen, Red Bull Racing RB14 Tag Heuer
Glenn Dunbar / Motorsport Images
Ci sono tante Formula 1. Non parliamo di monoposto, ma di contesti e problematiche che differenziano il quotidiano pur vivendo nello stesso paddock. Quando si spegne il semaforo e prende il via un Gran Premio c’è chi corre inseguendo il Mondiale, chi confida di piazzare una zampata che possa diventare la gemma della stagione, chi sogna di convincere un top team alla chiamata, chi vede la zona punti come un successo e chi spera di poter cementare la sua presenza nel Circus convincendo gli addetti ai lavori di meritare un sedile.
Dopo il ‘fattaccio’ fratricida del Gran Premio di Azerbaijan Christian Horner ha confermato di non voler mettere in discussione la politica della Red Bull di lasciare liberi i propri piloti di correre. Gesto nobile, che conferma il rispetto per chi scende in pista in casco e tuta ed anche per gli spettatori che si recano in pista o assistono alla gara davanti alla televisione. Non ci sono motivi per dubitare che Horner sia sincero nella sua affermazione, anzi, le sue parole sono perfettamente in linea con gli obiettivi del team. E qui la valutazione è un’altra, ovvero che la Red Bull, per quanto sia uno dei tre top-team di Formula 1, sa bene di non poter puntare al Mondiale, né piloti, né Costruttori.
Se nel mirino della Red Bull ci fossero obiettivi che in un recente passato sono stati alla portata, le politiche interne sarebbero ben differenti. Non ci sono solo gli ordini di squadra per tutelare il risultato di un team, ma si può agire in modo preventivo, definendo un tandem di piloti che crei pochi problemi in termine di condivisione di obiettivi. Dal 2009 al 2013 Horner e Marko si son guardati bene dal cambiare il binomio Vettel-Webber (il bilancio tra i due è 38-9 sul fronte vittorie e 44-13 su quello pole) perché quando il target è quello del Mondiale i grattacapi interni non sono i benvenuti. Così una prima ed una seconda guida, anche se non ufficialmente battezzati in questo modo, è l’ideale.
Ma oggi i bersagli stagionali sono cambiati, ed anche se Marko e Horner non lo ammetteranno mai in modo esplicito, ai vertici della Red Bull va probabilmente bene portare a casa un bottino stagionale di 4 o 5 vittorie. Se così non fosse, il copione non sarebbe stato quello visto due giorni fa a Baku, e la radio del muretto box si sarebbe aperte prima del 40° giro fornendo indicazioni precise come in altre occasioni, ad esempio il famoso “Multi 21” comunicato a Vettel in Malesia nel 2013 per dire al tedesco di non attaccare Webber. Ed anche le dichiarazioni post-gara a Baku non avrebbero sortito l’effetto di un manifesto politically-correct.
Ma oggi una Red Bull a due punte va benissimo quando c’è da farsi trovare pronti a cogliere le occasioni che lasciano per strada Mercedes e Ferrari, e le controindicazioni fanno parte delle scelte. I punti in classifica (assillo di Vettel, Hamilton, Bottas e Raikkonen) non sono un must per la Red Bull, che sa bene di non doversi guardare le spalle da nessuno per la terza piazza nel Mondiale Costruttori e di non poter ambire (con questi valori in campo) alle prime due posizioni.
Se Verstappen può permettersi questa guida senza una condanna chiara da parte della squadra, è anche perché l’approccio di Max non si sposa male con la strategia Red Bull. Due professionisti d’esperienza come Horner e Marko sanno molto bene che una condotta come quella dell’olandese (abbinata ad un sistema di punteggio che non prevede scarti) non si sposa bene con la figura del pilota in lotta per il titolo. Ma senza i timori dello ‘zero’ di tappa (il vero terrore dei piloti Mercedes e Ferrari) buttare dentro le ruote alla prima curva o nei momenti caldi della corsa, non ha grandi controindicazioni, se non quelle che emergono quando l’avversario ha una monoposto identica, ed è ciò che abbiamo visto a Baku.
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