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Ricordo

Ratzenberger: sono 29 anni anni, ma il ricordo resta vivo

La tragedia del pilota austriaco in quel weekend maledetto del GP di San Marino 1994 ha lasciato un profondo solco emotivo che si rinnova ogni 30 aprile: Roland non era un fuoriclasse, ma un professionista che aveva coronato il suo sogno di diventare un protagonista nel mondo dei GP dopo una lunga gavetta.

Roland Ratzenberger, Simtek

Ventinove anni non ne hanno cancellato la memoria. Anzi, il ricordo è vivido. Presente. Presentissimo. Però a distanza di quasi tre decenni è lecito porsi una domanda: la F1 sarebbe stata rivoluzionata per la morte di Roland Ratzenberger, senza che il giorno dopo si compisse il destino di Ayrton Senna?

Nella storia c’è scolpita solo una data: 1 maggio 1994, il giorno in cui la F1 sembrava improvvisamente finita, incapace di superare il maledetto GP di San Marino culminato con la terribile tragedia di Magic. Non sappiamo se senza la scomparsa del campione brasiliano il mondo delle corse si sarebbe fermato per discutere il suo futuro e dare il via all’automobilismo moderno.

Perché il giorno prima all’Enzo e Dino Ferrari non è morto il più grande, ma uno degli ultimi del Circus. Eppure il ricordo dell’austriaco non si è appannato con il tempo. Rispetto a quello straziante sabato 30 aprile 1994, il dolore è più intimo, meno lacerante, però la figura di Roland resta scolpita nella memoria collettiva. Era l’emblema del comprimario che con grandi sacrifici aveva coronato il suo sogno: diventare un attore protagonista nel mondiale di F1.

Roland Ratzenberger, Simtek S941, GP di San Marino del 1994

Roland Ratzenberger, Simtek S941, GP di San Marino del 1994

Sia ben chiaro: era un pilota professionista. Guadagnava e viveva con le corse, la sua grande passione. Ma non ha mai trovato i soldi per coltivare grandi ambizioni, per quanto avesse costruito una carriera facendo una lunga gavetta.

Era nato il 4 luglio 1960 a Salisburgo e subito ha respirato l’aria di uno dei circuiti nei quali la velocità e il coraggio hanno forgiato il suo carattere. Roland non era un fuoriclasse, ma era pilota di talento mosso da una profonda motivazione. Nel 1986 vince il F. Ford Festival a Brand Hatch con la Van Diemen prevalendo su un plateau di 126 avversari. Dalla serie addestrativa, Ratzenberger è approdato alla F1 come una quindicina di altri vincitori (ricordiamo fra gli altri Mark Webber, Jenson Button e Anthony Davidson). Ma il suo percorso per arrivare alla F1 è stato più lento e più lungo perché non aveva i soldi.

Corre nella Formula 3 inglese, fa un’apparizione nel DTM con la Mercedes 190E 2.3-16 messa a disposizione da Helmut Marko per correre al Nurburgring, ma deve andare in Giappone per diventare un professionista: in F.3000 Japan prima con il team Noji International e poi con Stellar International comincia a vincere delle gare e a raggranellare qualche guadagno.

Lo chiama la Toyota nelle gare di durata: con il Team TOM'S, squadra ufficiale del colosso nipponico, vince al Fuji e a Suzuka, ed è secondo alla 24 Ore di Daytona. Nel 1993 si aggiudica la classe C2 alla 24 Ore di Le Mans con la Toyota Sard. Trascorre metà della sua vita nel Sol Levante e l’altra metà a Monte Carlo. Nel Principato conosce Barbara Behlau, una signora che gestisce delle sponsorizzazioni. Il “topo di montagna”, questa è la traduzione del suo cognome, quasi per miracolo trova il budget per fare finalmente il salto in F.1.

Roland Ratzenberger, dopo l'incidente al GP di San Marina 1994 che gli è costato la vita

Roland Ratzenberger, dopo l'incidente al GP di San Marina 1994 che gli è costato la vita

Photo by: Photo 4

Non è una gran cifra, ma quanto basta per disputare cinque GP con la Simtek S941, la monoposto con motore Ford HB 3.5 V8 progettata da Nick Wirth. Si tratta di una macchina destinata a chiudere la griglia, ma meglio di niente. Il tecnico era il “figlioccio” del presidente della FIA, Max Mosley, che aveva dato vita alla Simtek Gran Prix per partecipare al mondiale 1994. Socio dell’operazione era Jack Brabham, l’australiano tre volte campione del mondo di F1, per il pilota di punta era il figlio David, mentre l’altro conduttore è Roland che porta i soldi della Russell Athletic.

Ratzenberger capisce subito che non son rose e fiori: tutte le risorse sono riservate al compagno di squadra e deve arrangiarsi con il materiale che gli danno. In Brasile non si qualifica, mentre parte 26esimo nel GP del Pacifico e finisce 11esimo tagliando la bandiera a scacchi. Aveva realizzato il suo sogno: il suo nome sarebbe comparso nella mitica Guida Marlboro di Jacques Dechenaux, la “Bibbia” delle statistiche di F.1 prima dell’avvento di Internet.

Un omaggio a Roland Ratzenberger sulla recinzione dell'autodromo di Imola

Un omaggio a Roland Ratzenberger sulla recinzione dell'autodromo di Imola

Photo by: Mark Sutton / Motorsport Images

Non poteva sapere che sarebbe stata l’unica apparizione. Perché Roland a Imola ha dovuto fare i conti con il suo destino. Un testacoda alla Tosa durante le prove del sabato: l’ala anteriore tocca il cordolo all’interno che è molto alto. L’austriaco fa un paio di zig-zag e non sente reazioni strane. Anziché rientrare ai box per un controllo più approfondito, si lancia per un altro giro veloce. E sul dritto che dal Tamburello porta alla Villeneuve si stacca un pezzo d’ala: cedono i supporti del muso e il profilo finisce sotto alle ruote anteriori che si sollevano e perdono il contatto con l’asfalto.

Roland, a oltre 300 km/h, prova a frenare e sterzare ma è un inerme passeggero della sua monoposto che si schianta contro il muro della Villeneuve. Ha visto la morte venirgli incontro: l’impatto violentissimo gli è stato fatale. La Simtek si è disintegrata piroettando fino alla Tosa.

La monoscocca aveva un enorme buco sul lato sinistro. L’esito del crash è stato devastante: compressione toracica, frattura della base cranica e dissanguamento per lacerazione dell’aorta, tant’è che il sangue pulsava copioso dalla visiera del casco. Una visione orribile per i medici che per primi l’hanno soccorso. Sembrava morto, ma un massaggio cardiaco, lo ha rianimato. È stato trasferito all’Ospedale Maggiore di Bologna in gravissime condizioni e poco dopo è spirato.

Ma lo show non si sarebbe fermato. La morte aveva nuovamente bussato alla porta della F1. Era dal 1986 che non si registravano tragedie. La nuova generazione di piloti non aveva mai dovuto fare i conti con un collega prematuramente scomparso in pista, come era, purtroppo, abitudine in un passato ormai dimenticato dei Cavalieri del Rischio.

Tutti erano pronti a riaccendere i motori, non Ayrton Senna: il brasiliano aveva capito che la F1 era uscita dei binari. Con una macchina della CEA era scappato dal paddock per fare un sopralluogo della pista, voleva rendersi conto di cosa era successo. Aveva parlato con Sid Watkins, il medico FIA e aveva discusso con i commissari. Poi ha razionalizzato il lutto e avrebbe corso per ricordare Roland. Nell'abitacolo dalla sua Williams c'era una bandiera austriaca da sventolare con quella brasiliana alla conclusione del GP di San Marino che voleva vincere. Ma questa è un’altra storia. Quella del 1 maggio…

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