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Quando i pit stop Ferrari ispirarono un ospedale di Londra

Il travaso di tecnologie dalla Formula 1 non può essere applicato soltanto all'industria automobilistica. Negli scorsi anni il Great Ormond Street Hospital ha chiesto aiuto alla Ferrari per migliorare alcuni passaggi fondamentali.

Fernando Alonso, Ferrari F14-T pitstop

Foto di: XPB Images

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Nonostante la decisione di Honda di abbandonare la Formula 1 sia stata comunicata già da qualche mese, l’eco dello shock per questo annuncio non accenna a diminuire ed i responsabili della massima categoria sono sempre più pressati per accelerare l’introduzione di una nuova tipologia di motori.

Anche se le ragioni dietro la scelta di Honda possono essere legate più alla decisione della Casa giapponese di tagliare i costi per salvare l’azienda piuttosto che come protesta contro l’attuale regolamentazione delle power unit, ciò non significa che la Formula 1 sia completamente isolata da quanto accaduto.

La spinta della Red Bull di ottenere un motore abbastanza potente da poterle garantire di lottare per il campionato è servita ad accelerare le richieste di cambiamento.

Sembra inevitabile, quindi, che quando il nuovo CEO della F1, Stefano Domenicali, il 1° gennaio si siederà alla sua nuova scrivania dovrà affrontare una certa pressione per anticipare il piano originale del 2026 per l’introduzione di una nuova generazione di power unit. La data di arrivo dei nuovi motori, però, è solo una parte dell'equazione perché la questione è molto più grande.

Le nuove power unit saranno sicuramente ibride, mentre è del tutto esclusa la possibilità di vedere sia motori 100% elettrici che ad idrogeno, specie considerando come quest’ultima tecnologia sia ancora agli albori.

Un ritorno ai V8 o ai V10 aspirati, poi, non avrebbe alcun senso per i costruttori. Per queste ragioni, quindi, come dovrebbero essere i prossimi motori ibridi?

Ferrari, Renault e Mercedes sono concordi nel ritenere che la prossima generazione dovrà essere più economica, meno complessa e dovrà poter utilizzare carburanti sostenibili. Questi sono gli unici punti in comune tra i tre costruttori.

Il motore termico dovrà continuare ad essere turbo? La MGU-H dovrebbe essere abbandonata? La MGU-K dovrebbe avere maggiore potenza? L’utilizzo dell’energia dovrà essere limitato ai soli piloti? La F1 dovrebbe abbandonare la strada del risparmio di carburante ed adottare power unti più rumorose in grado di consentire ai piloti di spingere sempre al massimo?

Ognuno di questi elementi chiave dovrà essere valutato con attenzione, soprattutto perché i costruttori vorranno avere un travaso di tecnologia verso la produzione delle vetture stradali.

Per garantire gli enormi budget di ricerca e sviluppo necessari per essere competitivi in F1, le grandi Case automobilistiche vogliono vedere un ritorno sull'investimento, e questo significa che deve esserci un trasferimento di tecnologia dai circuiti di gara della domenica agli showroom delle concessionarie.

Nello stabilire quali power unit dovranno essere adottate nel futuro prossimo, però, si sta forse perdendo di vista un elemento chiave. Uno dei grandi errori, infatti, è pensare che le vetture stradali debbano funzionare esattamente con la stessa tecnologia dei motori adottati in F1 e questo non è per nulla corretto.

Ciò di cui la F1 ha bisogno è che gli ingegneri coinvolti siano spinti al limite, per sviluppare idee audaci e spingere i confini delle tecnologie in modi che possano aiutare gli sviluppi in altri settori industriali.

Un messaggio di questo tipo è emerso qualche settimana fa quando sui social media è riemersa una storia vecchia di oltre 10 anni che raccontava come le lezioni dei pitstop della Ferrari fossero state implementate dal Great Ormond Street Hospital per contribuire a salvare vite umane nel suo reparto di terapia intensiva.

Già negli anni '90 gli ospedali del Regno Unito erano entrati in allerta per capire come mai ci fosse un così alto tasso di mortalità per gli interventi chirurgici quando il paziente veniva trasferito dalla sala operatoria al reparto di terapia intensiva. La conclusione si è concentrata sull'esistenza di troppe complicazioni nello scambio di attrezzature, personale e informazioni man mano che il paziente veniva trasferito.

L'analisi è stata condivisa anche dagli ospedali pediatrici poiché anche questi degenti erano ugualmente vulnerabili nel momento in cui venivano trasferiti dalla chirurgia alla terapia intensiva. Trovare il modo di migliorare i processi di trasferimento dei pazienti non è stato facile, ma a Great Ormond Street due chirurghi che stavano finendo il turno hanno avuto un’idea geniale mentre assistevano a una gara di Formula 1.

In uno studio pubblicato dall'American Society for Quality, Martin Elliott, Professore di Chirurgia Cardiotoracica dell'University College di Londra e Presidente dei Servizi Cardiotoracici, ha ricordato: “Al mattino avevamo fatto un trapianto e poi una sostituzione di arteria ed eravamo piuttosto stanchi”.

“La Formula 1 è andata in onda in TV proprio mentre eravamo seduti subito dopo la fine dell'intervento e ci siamo subito resi conto che il meccanismo che regolava i pitstop era abbastanza  identico, come concetti, a quello che facevamo noi. Così li abbiamo chiamati”.

Il contatto con la Ferrari si è tradotto in uno sforzo da parte del team di Maranello per offrire una visione d'insieme del funzionamento dei pitstop dal punto di vista del personale e dei processi svolti per ridurre gli errori e migliorare la qualità.

Sia attraverso la condivisione di video che tramite colloqui con il personale l’ospedale ha compreso alcuni degli elementi chiave necessari per svolgere al meglio il proprio lavoro e affrontare gli errori. Proprio come ogni membro del pit stop aveva un compito ben preciso su cui concentrarsi, così anche i chirurghi si sono resi conto che il personale ospedaliero doveva adottare un processo simile per i soggetti di turno.

L’aiuto della Ferrari ha anche evidenziato quanto gli uomini addetti alla sosta fossero preparati per intervenire tempestivamente in caso di problemi, mentre negli ospedali, con la mentalità precedente, si aveva la tendenza a reagire solo quando qualcosa era già andato storto.

I cambiamenti sono stati effettuati ed il risultato finale è stata una procedura in cui ogni membro del personale medico conosceva il proprio ruolo fin nei minimi dettagli ed aveva le proprie responsabilità.

E’ stato valutato anche il ruolo che nei pit stop aveva l’addetto al lollipop. Avere qualcuno che potesse tenere sotto controllo l’intera operazione era una carenza nella precedente gestione ospedaliera e così si è deciso che sarebbe stato l’anestesista a gestire il coordinamento dell’intero team fino alla fine della terapia intensiva.

Tuttavia, alcune delle raccomandazioni della Ferrari non hanno potuto essere attuate. È emerso che un'area problematica era quella del trasferimento di un paziente dalla sala operatoria alla terapia intensiva.

La Ferrari ha suggerito una soluzione: utilizzare un solo macchinario sia per la sala operatoria che per la terapia intensiva. Nonostante questo valido suggerimento, i produttori di queste apparecchiature si sono mostrati interessati a questa realizzazione ma i costi per la loro introduzione sarebbero stati enormi per gli ospedali.

Anche senza dei nuovi macchinari, i processi e le conoscenze dei pitstop sono stati preziosi e hanno dimostrato che il trasferimento di conoscenze dalla F1 al mondo reale non si limita soltanto alla tecnologia utilizzata nella categoria regina del motorsport.

Pertanto, quando si parla dei nuovi motori che verranno adottati in futuro in F1 non dovrebbe esserci paura di percorrere una strada che non sia così direttamente collegata alla produzione stradale.

Fino a quando gli ingegneri saranno spinti nel trovare soluzioni alternative e le menti più brillanti saranno coinvolte nello studio delle tecnologie futuro, allora questo sarà sufficiente per mantenere la Formula 1 un punto di riferimento per le esigenze del mondo intero.

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