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Mike Parkes, sono quaranta anni che ci ha lasciato il... Collaudatore

Giorgio Brivec, amico del pilota inglese con il quale ha condiviso i collaudi della Stratos, a 40 anni dalla scomparsa di Mike Parkes ricorda la figura dell'ingegnere-pilota che Enzo Ferrari aveva considerato il miglior tester del Cavallino.

Podium: winners A.J. Foyt, Dan Gurney, second place Ludovico Scarfiotti, Mike Parks. This was the first time champagne was sprayed in celebration on a podium.

LAT Images

Sono 40 anni che è scomparso il… Collaudatore. L’inglese aveva solo 45 anni: si è schiantato contro un autocarro nella piovosa notte del 28 agosto 1977 con una Lancia HPE vicino a Chieri su una strada facile alle inondazioni. Deve essere morto sul colpo mentre tornava da una riunione a Torino. Un ignobile gioco del destino per quello che Enzo Ferrari aveva eletto come il miglior tester di sempre del Cavallino.

Nato a Richmond upon Thames il 24 settembre 1931, Mike Johnson Parkes, per tutti Mike, è stato un ingegnere e pilota che avrebbe potuto diventare un asso del volante.

In Formula 1 non aveva vinto niente, anche se in appena sette Gran Premi iridati disputati per due volte è arrivato secondo, segno di un talento cristallino che sulle monoposto non si è mai espresso appieno (anche se nel 1967 vinse con la Ferrari la gara non valida del Daily Express e il GP di Siracusa, “inventando” l’ex aequo con Ludovico Scarfiotti in onore di Bandini appena scomparso).

In realtà nel GP d’Italia 1966, Mike, autore della pole sulla Ferrari 312 davanti a Ludovico Scarfiotti, aveva accettato di accodarsi al pilota torinese trapiantato a Potenza Picena, rinunciando alla vittoria per rispettare la volontà del Commendatore che avrebbe gradito il ritorno di un italiano sul gradino più alto del podio nel “tempio della velocità” (che è rimasto anche l’ultimo).

“Il gesto di un grande professionista – ricorda l’amico Giorgio Brivec, il collaudatore bergamasco che ha conosciuto Parkes proprio a Monza pochi giorni prima – Mike non ha mai avuto il rammarico per quel successo regalato a Scarfiotti perché la richiesta gli era arrivata personalmente da Ferrari. Era convinto di poter avere altre occasioni per vincere in F.1, anche se in quel periodo l’impegno della squadra del Cavallino era maggiore nelle gare di durata”.

Per scoprire il reale valore di Mike basta scorrere l’Albo d’oro delle più prestigiose gare riservate alle vetture Sport Prototipo dove compare il nome dell’alto e dinoccolato pilota britannico che aveva cominciato a correre a Silverstone nel 1952 con una MG.

Figlio maggiore di John Parkes, personalità nel mondo dell'aviazione e dell'industria automobilistica inglese, Mike era cresciuto coltivando sia la passione per le corse che per gli aerei: aveva preso il brevetto di volo a Modena nel 1965, ma poi aveva ottenuto l’abilitazione per essere anche un pilota di linea e in occasione dei Rally Safari faceva il ricognitore aereo:
“Era un amico eccezionale – prosegue Brivec - un giorno mi disse se volevo andare a fare un giro con il suo aereo, che credo fosse un Piper mono-motore. Ancora non sapevo che fosse un aviatore, per cui quando gli chiesi come era nata mi rispose: “In realtà non ho una gran passione per gli aerei, ma li uso per spostare i miei due cani, vuoi che li metta in una stiva?”.

Il 1967 è stato l’anno che ha distrutto la carriera di Parkes: l’anno era iniziato con il secondo posto nella 24 Ore di Daytona, quello dello storico arrivo in parata delle tre P4, poi è morto Bandini a Monaco e nel GP del Belgio a Spa, Mike è stato protagonista di un terribile incidente che ha messo fine alla sua breve carriera in F.1. Si dice che la Rossa sia sbandata su una macchia d’olio facendola finire in un fosso. L’inglese si era procurato gravi lesioni alle gambe…
“A Spa si era letteralmente massacrato, per riprendersi aveva impiegato cinque o sei mesi. La Ferrari non aveva mai detto quale fosse stata la causa del crash, ma la macchina si era spezzata in due e Mike ha sempre avuto il dubbio che avesse patito un cedimento meccanico, ma non ha mai fatto alcuna polemica convinto che facesse parte del rischio”.

Nelle corse non si era più rivisto fino al 1969, ma...
"Mike era il collaudatore di fiducia di Ferrari in tutti i sensi. Le macchine da corsa doveva deliberarle tutte e solo lui – prosegue Brivec – anche perché le sue scelte di assetto erano condivise da tutti gli altri piloti del Cavallino. L’unico con cui non aveva legato era John Surtees che aveva le sue manie e le voleva imporre agli altri piloti. Per questo era andato alla rottura con Dragoni. Mi raccontava che nella squadra non c’era vita facile, ma Mike aveva ottimi rapporti con tutti”.

Qual era la sua caratteristica?
“Di collaudatori ne ho conosciuti tanti, ma Mike era unico. Gli bastava un giro per capire se una macchina era a posto oppure no. Sommava una grande sensibilità meccanica a una calma olimpica, quasi impressionante...”.

Mi faccia un esempio…
“Eravamo al Nurburgring nel ’73: aveva in prova la Ferrari 365 BB dalla Scuderia Filipinetti e mi ha fatto guidare. Eravamo in t-shirt e senza casco, ma stavamo provando a fondo questa nuova Ferrari. Superato il Karussel gli ho detto: “Guarda che siamo senza freni…!” E lui mi ha risposto senza scomporsi: “E allora non frenare”. Questo per evidenziare come sapesse mantenere il sangue freddo anche nelle situazioni più difficili”.

È stato Parkes a portarla a Maranello?
“Sì, è stato lui a presentarmi a Ferrari a giugno 1973, quando Mike non era più a Maranello ma stava collaborando con la Lancia. Ferrari mi ha sempre detto che era un collaudatore unico, oltre a essere anche un bravo ingegnere e un pilota veloce…”.

Quanto contava che fosse un ingegnere-pilota?
“Nella F.1 dell’epoca non credo molto, mentre nei Prototipi moltissimo perché le macchine le plasmava con il certosino lavoro in pista che andava bene a tutti gli altri piloti Ferrari”.

Un inglese trapiantato in Italia è insolito…
“In effetti Colin Chapman nel 1976 lo avrebbe voluto come ingegnere alla Lotus, ma Parkes adorava l’Italia, anzi più precisamente l’Emilia. E non ci aveva pensato un attimo a declinare l’offerta nonostante le insistenze di Chapman…”.

Era una questione di cuore?
“Aveva una fidanzata ufficiale che era Brenda, la segretaria di Ferrari, ma in realtà aveva tante donne che lo inseguivano. Per Ferrari era il più grosso Don Giovanni che lui avesse visto a Maranello”.

Ma non ne dava l’aria con quel suo aspetto dinoccolato…
“E’ vero, era molto alto. Ma era solito dirmi: ‘Dinoccolato un corno, sono dinoccolato dopo l’incidente di Spa nel quale mi sono massacrato le gambe’. Comunque sia Mike non è mai andato in cerca delle donne, perché era richiestissimo”.

Mike la seguiva quando correva con la Lancia HF in salita e poi...
“Mi ha coinvolto nello sviluppo della Stratos su asfalto, perché non avevo alcuna competenza sulla terra. Quella macchina non sarebbe mai nata se non fosse stato per Mike e per l’ingegner Giampaolo Dallara. Se qualcuno racconta la storia diversamente dice una balla, perché la Stratos sarebbe rimasta nulla più che un manichino, perché era una macchina davvero inguidabile”.

Bisognerebbe chiederlo a Cesare Fiorio…
“Ha avuto il fiuto di volere Parkes. La Stratos all’inizio era davvero inguidabile con quel passo cortissimo: la versione stradale aveva carreggiate uguali e gomme identiche davanti e dietro. Parkes propose subito una carreggiata allargata al retrotreno, ma a Torino non ci sentivano perché la modifica avrebbe comportato un significativo aumento dei costi”.

L’ha spuntata Mike alla fine…
“Le sospensioni sono state rifatte da Dallara che ha rivisto il progetto: abbiamo girato in lungo e in largo con la Stratos nel bergamasco e intorno a Varano. Era un’altra macchina…”.

Chi stimava Parkes come pilota?
“Il suo idolo era Jim Clark. Mi diceva: ‘Quello va forte sulla Ford Cortina come sulla F.1, sull’asciutto come sul bagnato’. E secondo Mike, l’inglese era anche un grande collaudatore: ‘Quando si dice che Chapman costruisse le Lotus come un sarto su Jim, in realtà poteva farlo perché riceveva tantissime informazioni preziose da Clark!”.

Qual è il suo rimpianto?
“Nel maledetto giorno avrebbe dovuto essere in vacanza con me a Santorini. All’ultimo momento aveva rinunciato perché era stato chiamato dalla Lancia per un meeting a Torino. Se avessi insistito un po’ di più forse sarebbe ancora fra di noi…”.

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