Le mitiche Ferrari F.1: 126 CK vittoriosa col turbo a Monaco e Jarama
Gilles Villeneuve nella stagione 1981 aveva regalato due successi storici alla Ferrari che si era votata come la Renault al motore 6 cilindri doppio turbo: il canadese vinse sulle piste che sulla carta erano meno adatte alle monoposto sovralimentate.
Foto di: Rainer W. Schlegelmilch
“Tutte le conquiste della vita sono il risultato di capacità umane e di disponibilità tecniche. La stagione 1981 non è stata totalmente passiva, anche se non quella che i nostri tifosi si attendevano. Abbiamo intrapreso una strada nuova, quella del motore turbo che c’era sconosciuta. Non solo, ma ci siamo spinti nello sviluppo di un’iniezione elettronica del tutto innovativa che ci ha permesso vantaggi notevoli nei consumi. Oggi ci ritroviamo con un motore con un’enorme potenza. È chiaro che ogni nuova impresa richiede una fase di rodaggio e messa a punto”.
Questo è stato il quadro dipinto da Enzo Ferrari alla conclusione della stagione 1981. Un’analisi sincera e realistica accompagnata dal ricordo di una previsione azzeccata dell’ingegner Forghieri: “Ferrari, mi disse, avremo giornate esaltanti e giornate deludenti. E aveva avuto ragione lui”. Jody Scheckter, nel frattempo, si era ritirato dai GP e il suo posto al Cavallino era stato preso dal francese Didier Pironi che aveva affiancato Villeneuve.
Intanto è giusto ricordare che nell’inverno 1980 la ricerca sul motore turbo si era divisa su due fronti: sulla 126 Ck c’era la tradizionale sovralimentazione con due turbo KKK (di qui la K aggiunta alla sigla della monoposto 1981), mentre sulla 126 Cx era stata sviluppata la sovralimentazione Comprex, un sistema messo a punto dalla Brown Boveri.
Il Comprex era un sistema teoricamente interessante perché assicurava un minore ritardo di risposta rispetto a un turbo tradizionale specie ai bassi regimi. Le difficoltà erano legate all’affidabilità delle cinghia che azionava il tamburo: si rompeva facilmente, per cui la versione che corse con poco successo nel GP degli Usa si rivide solo nelle temporada Sud Aamericana (Argentina e Brasile), prima di essere definitivamente abbandonata.
A Maranello, infatti, puntarono nello sviluppo della prima iniezione a controllo elettronico che permise al 6 cilindri di 1.500 cc di superare facilmente i 600 cavalli di potenza pur evitando tutti gli sprechi di carburante.
Alla fine arrivarono solo due vittorie esaltanti di Gilles che avevano incorniciato una stagione a tratti difficile: due cammei splendenti perché conquistati su due piste che sulla carta non erano favorevoli alle monoposto spinte dai motori turbo: Monaco e Jarama, due toboga stretti e lenti.
Nel Principato il piccolo canadese riuscì a rompere un digiuno che per la Rossa durava dal 7 ottobre 1979: 601 giorni di astinenza era troppi anche per il Grande Vecchio. E in Spagna nella gara successiva ci fu il GP capolavoro di Gilles: la Ferrari andò al comando al 14esimo giro per non cedere più la testa della corsa fino alla bandiera a scacchi.
Villeneuve disponeva del motore più potente, ma di un telaio poco maneggevole: la 126 Ck era velocissima nell’unico rettilineo, ma lenta in curva. Dietro la Rossa ci provarono in quattro piloti diversi a passare la Ferrari, ma a turno Laffite, Reutemann, Watson e De Angelis dovettero desistere da ogni tentativo perché Gilles era abile a non commettere errori.
La folla impazziva per quelle imprese esaltanti, ma la stagione non fu tutta rose e fiori. Il mondiale era iniziato con la guerra che contrapponeva i team Foca, prevalentemente inglesi, contro i team allineati alla Fisa (la Federazione internazionale) che erano i grandi costruttori: Renault, Ferrari e Alfa Romeo.
Nell’inverno gli inglesi si erano scagliati contro il governo dello sport automobilistico che era retto dal francese Jean Marie Balestre. Sostenevano che si volevano manipolare le regole per favorire la Renault che non aveva mai vinto il mondiale. Il motivo della protesta era che i team britannici temevano l’abolizione delle minigonne che avrebbe intaccato la competitività delle monoposto a effetto suolo spinte dai motori Ford Cosworth.
Le macchine con i V8 aspirati non potevamo competere con le potenze dei propulsori turbocompressi di Renault e Ferrari e cercavano di controbilanciare queste carenze con estrose soluzioni aerodinamiche ritenute al di fuori delle regole.
Il GP del Sudafrica che apriva la stagione il 7 febbraio a Kyalami si era disputato senza le monoposto di Ferrari, Renault, Alfa Romeo e Osella. La gara fu vinta da Reutemann, ma la corsa non fu mai ritenuta valida per il mondiale. Bisognava trovare una soluzione e alla fine le parti giunsero a un “patto”: vennero abolite le minigonne mobili e fu imposta una altezza minima da terra delle monoposto di 6 cm.
A Maranello brindarono, ben sapendo che le monoposto spinte dai Ford Cosworth senza le minigonne avrebbero perso molto della loro competitività, tanto più che l’aumento del peso minimo a 595 kg penalizzava Brabham, Williams e Lotus che avevano vetture molto leggere, mentre Ferrari e Renault non riuscivano a scendere sotto i 600 kg dovendo imbarcare più carburante per gli assetati motori turbo.
Alla Reparto Corse del Cavallino, però, non avevano fatto i conti con la fantasia di Gordon Murray, progettista della Brabham: sulla BT49C, infatti, aveva montato delle molle d’aria molto morbide che la deportanza comprimeva con l’aumentare della velocità. Ai box le Brabham erano alte i famosi 6 cm da terra, ma appena entravano in pista si abbassavano ritrovando il ground effect perduto!
Il segreto di Murray fu subito scoperto e in breve tutti gli inglesi disponevano di veri e propri correttori di assetto idraulici con cui i piloti potevano abbassare le loro monoposto non appena lasciavano i box.
I team “legalisti” rimasero spiazzati ancora una volta e cercarono di “copiare” gli inglesi, ma con poco successo. Il telaio della 126 Ck, sebbene non fosse più un traliccio in tubi, ma una più moderna monoscocca portante, non era raffinata come quelle dei britannici.
Se il 6 cilindri turbo era il più potente, il telaio non era adeguato a tutta quella potenza perché torceva alle forti sollecitazioni. Così intervenne Enzo Ferrari che a metà giugno diede una svolta: chiamò a Maranello un giovane ingegner inglese, Harvey Postlethwaite. Era il primo tecnico straniero del Reparto Corse: fino ad allora si era parlato solo il dialetto modenese.
Il mondiale piloti, comunque, era finito nelle mani del giovane Nelson Piquet. Il brasiliano della Brabham aveva avuto la meglio su Carlos Reutemann nell’ultima gara iridata che si era disputata nel parcheggio del Ceasar’s Palace di Las Vegas, la patria del gioco d’azzardo.
La Williams, però, si era aggiudicata il primo titolo iridato Costruttori che aveva preso il posto della Coppa Internazionale. I team inglesi avevano fatto ancora una volta il pieno, ma l’arrivo di Postlethwaite al Cavallino li aveva messi in apprensione:
“Se a Maranello riescono a costruire un telaio adeguato al motore turbo – disse Patrick Head- le Ferrari le vedremo solo dagli scarichi…”.
LA SCHEDA TECNICA
Telaio: monoscocca in fogli di alluminio con irrigiditori in alluminio e zirconio
Carrozzerie: in materiali compositi
Sospensioni: anteriori a ruote indipendenti con quadrilateri deformabili, bilanciere superiore che comanda il gruppo molla e ammortizzatore entrobordo e triangolo inferiore; posteriori con quadrilateri deformabili, braccio superiore, trapezio inferiore e un puntone centrale, ammortizzatori entrobordo montati verticalmente dietro al cambio
Sterzo: a cremagliera
Cambio: Ferrari trasversale a 5 rapporti più Rm con differenziale autobloccante Zf a lamelle
Frizione: dischi multipli in acciaio
Freni: doppio circuito sdoppiato, dischi Brembo autoventilanti in ghisa e pinze Lockeed
Cerchi: Speedline scomponibili in lega da 13”
Gomme: slick Michelin anteriori 22/59-13” e posteriori 38/66-13”
Passo: 2.718 mm
Lunghezza: 4.468 mm
Larghezza: 2.110 mm
Altezza: 1.025 mm
Carreggiate: anteriore 1.700 mm; posteriore 1.685 mm
Peso: 610 kg a vuoto
Motore: tipo 021 posteriore- centrale in funzione semi-portante
Architettura: 6 cilindri a V di 120 gradi con basamento e testata in lega leggera e cilindri con canne in alluminio
Cilindrata: 1.496,4 cc
Distribuzione: doppio albero a camme per ogni testata con comando a ingranaggi posteriore, 4 valvole per cilindro
Alimentazione: sistema di sovralimentazione a doppio turbo Kkkk, iniezione indiretta Lucas-Ferrari, accensione elettronica a scarica capacitativa Magneti Marelli
Potenza stimata: 580 cv a 11.500 giri
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