Le mitiche Ferrari di F.1: la F92 A, la grande delusione del doppio fondo
Nel 1992 Jean Claude Migeot aveva presentato una Rossa rivoluzionaria che si ispirava ai caccia F15 con le prese d'aria dei radiatori separate dalla scocca e il doppio fondo. L'idea non ha mai funzionato con Alesi e Capelli in difficoltà.
Foto di: LAT Images
È passata alla storia come una delle monoposto Rosse sbagliate. La Ferrari F92 A non si è certo conquistata un posto di rilievo nella galleria del Cavallino che, invece, è ricca di successi.
Il bilancio di questa vettura è stato fallimentare: zero vittorie, tanti ritiri conditi da cocenti delusioni. La 644, questo era il nome di progetto della monoposto 1992, progettata da Jean Claude Migeot in collaborazione con Steve Nichols e sotto la supervisione di Harvey Postlethwaite, doveva rappresentare un taglio netto con il passato di Maranello.
Mai promessa fu presa così sul serio nel Reparto Corse: la F92 A non solo non aveva più niente in comune con le Ferrari che l’avevano preceduta, ma rappresentava un grosso salto nel futuro.
Era un’incognita perché adottava soluzioni aerodinamiche a dir poco rivoluzionarie che nessuna squadra del Circus aveva mai sperimentato in precedenza. Migeot, ingegner aerodinamico francese molto apprezzato in F.1 per aver introdotto sulla Tyrrell 019 il muso alto ad “ala di gabbiano”, ha voluto estremizzare gli studi in galleria del vento, importando dall’aeronautica un’idea che aveva visto sui caccia F15: ha disegnato le prese d’aria dei radiatori separate dalla scocca.
Il tecnico transalpino non aveva finito di stupire perché aveva associato questa soluzione al doppio fondo nella parte inferiore della vettura. Aveva rialzato le pance laterali nel tentativo di trarre il massimo beneficio aerodinamico.
Fino alla F92 A si conoscevano solo tre flussi che attraversavano una F.1: quello superiore che arrivava all’ala posteriore investendo la carrozzeria, quello che entrava nelle fiancate garantendo il raffreddamento del motore grazie ai radiatori e, infine, quello inferiore che generava l’effetto suolo incuneandosi fra il fondo piatto della scocca e l’asfalto della pista.
I progettisti in quegli anni avevano scoperto che si ottenevano grandi vantaggi lavorando soprattutto su questo ultimo flusso e hanno dedicato molto tempo allo sviluppo di diffusori posteriori sempre più efficienti.
I ferraristi, invece, hanno voluto aprire una via nuova, inventando il… quarto flusso, quello fra il fondo piatto e le pance, creando un condotto nel quale l’aria poteva defluire molto più velocemente, favorendo un effetto “estrattore”.
Sulla carta la F92 A doveva essere in grado di garantire valori di carico aerodinamico nettamente superiore a qualsiasi altra monoposto, facilitando così l’aderenza a terra delle gomme senza dover fare ricorso a profili alari con incidenze troppo elevate che costavano in termini di resistenza all’avanzamento e di velocità massima.
Nonostante tutte queste interessanti premesse la F92 A aveva deluso le attese, spaccando la squadra in due: Alesi aveva preso le difese di Migeot, il tecnico connazionale: Jean era convinto che le idee innovative non erano sbagliate, ma la vettura solo necessitasse di un lavoro di messa a punto. Consapevole di questo stato di cose il francese aveva cercato di sopperire alle carenze tecniche oggettive con il cuore, cercando di metterci del suo.
Ivan Capelli, invece, con il suo stile di guida pulito non si è mai adattato a una monoposto che cambiava il suo comportamento a ogni curva. Il milanese che era stato voluto da Claudio Lombardi (il responsabile del Reparto Corse lo aveva preferito a Modena e Martini per essere il primo italiano che tornava su una Rossa dopo Michele Alboreto), non si è mai trovato a suo agio bruciandosi così la grande occasione della sua carriera.
“La macchina non era così male come sembrava – ha ricordato Lombardi – bisogna riconoscere a Migeot che aveva più carico delle altre F.1, ma il suo comportamento in pista era molto instabile. Sono sicuro che se ci fosse stato il tempo per svilupparla con calma avrebbe aperto un filone vincente”.
Il problema era che al variare della velocità e del carico i due fondi della F92 A flettevano generando un comportamento molto instabile che aveva reso la Rossa molto imprevedibile e con un assetto che non era mai uguale. Forse questa vettura di Migeot è arrivata troppo presto rispetto ai materiali a disposizione: si è rivelata un fallimento pur avendo concetti che non erano affatto da buttare via.
Siccome la Ferrari era reduce da una stagione 1991 disastrosa e non poteva permettersi di aspettare, il progetto che avrebbe avuto bisogno di tempo per essere affinato è stato abbandonato.
Luca di Montezemolo, richiamato dalla Fiat alla presidenza nel tentativo di rimettere ordine a Maranello, memore dei successi raccolti negli Anni ‘70, non aveva voluto perdere tempo: in pochi mesi aveva capito che la squadra andava reimpostata secondo un modello di lavoro all’inglese.
Aveva richiamato in servizio due uomini fidati: Niki Lauda come consigliere personale e Sante Ghedini come direttore sportivo, una coppia che alla Ferrari in passato aveva regalato grandi soddisfazioni.
L’ingegner Lombardi, motorista di nascita e manager di adozione, era stato destinato a rivedere i V12 che in quella stagione erano sembrati il vero tallone d’Achille della macchina: poco potenti e affidabili.
Montezemolo a metà stagione richiamò John Barnard alla direzione tecnica, giubilando l’incerto Postlethwaite. Visti i risultati deludenti della F92 A (i migliori piazzamenti furono solo due terzi posti di Alesi!) si decise di bloccare lo sviluppo della monoposto, dedicando le risorse alla nascita della Gto, l’antenna tecnologica inglese di Shalford, dove Barnard avrebbe studiato le nuove Rosse e cresciuto una nuova generazione di tecnici.
Il Presidente era consapevole che era necessario rifondare il gruppo dalle fondamenta, rompendo gli intrighi fra telaisti e motoristi che avevano sempre avvelenato quegli anni difficili del Cavallino. Un lavoro difficile e oscuro che certo non soddisfaceva le aspettative dei tifosi, ma poneva le basi a un rilancio i cui frutti si sono poi visti in seguito.
Il lavoro, quindi, era stato impostato in funzione dell’anno successivo: a Spa aveva debuttato la F92 AT dotata di in cambio trasversale che doveva favorire una migliore distribuzione dei pesi, mentre negli ultimi due GP, Nicola Larini, chiamato a sostituire il demotivato Capelli, aveva portato al debutto la prima Ferrari con le sospensioni attive.
Fresco campione italiano di SuperTurismo con l’Alfa Romeo, Nicola Larini a fine stagione era stato chiamato a sostituire il milanese in Giappone e Australia. Il toscano aveva portato al debutto la Ferrari F92 A in versione attiva che Nicola aveva già sviluppato nei test nelle vesti di collaudatore.
Il correttore d’assetto controllato elettronicamente aveva permesso a questa Rossa di avere un assetto più stabile, nascondendo in parte i difetti congeniti della F92 A.
L’italiano si era qualificato a Suzuka in settima fila davanti ad Alesi, ma alla partenza aveva accusato un curioso problema:“Quando ho messo in folle, la vettura ha cominciato a sollevarsi davanti e dietro in una strana e pericolosa danza: sembrava una “cavalletta” incontrollabile. Non sapevo che fare: quando ho inserito la prima non avevo un regime sufficiente di motore e il V12 si è spento. Peccato perché altrimenti sarei finito in zona punti…”.
Nicola pur con grandi difficoltà aveva completato i due GP, meritandosi il rinnovo del contratto da tester per l’anno successivo, ma al fianco di Jean Alesi sarebbe arrivato l’austriaco Gerhard Berger.
LA SCHEDA TECNICA
Telaio: monoscocca in nido d’ape con fibra di carbonio e kevlar
Sospensioni: anteriori a ruote indipendenti con doppi triangoli sovrapposti in acciaio, puntone con schema push-rod e barre di torsione, mono-ammortizzatore montato; posteriori: a ruote indipendenti con triangoli superiore e trapezio inferiore, puntone push rod e barre di torsione; ammortizzatori regolabili montati sulla scatola del cambio.
Sterzo: a cremagliera
Cambio: Ferrari longitudinale a 6 rapporti più Rm con comando semi-automatico a controllo elettronico
Frizione: multi-disco in carbonio
Freni: doppio circuito sdoppiato, dischi autoventilanti in carbonio Brembo
Cerchi: Bbs da 13”
Gomme: slick Goodeyear ant. 25.0-10./13”; post. 26.0-15.0/13”
Passo: 2.926 mm
Lunghezza: 4.350 mm
Larghezza: 2.135 mm
Altezza: 978 mm
Carreggiate: anteriore 1.810 mm; posteriore 1.678 mm
Peso: 505 kg
Motore: Type E1 a-92
Architettura: 12 cilindri a V di 65 gradi
Cilindrata: 3497,96 cc
Distribuzione: doppio albero a camme per ogni testata, 5 valvole per cilindro tre di aspirazione e due di scarico
Alimentazione: iniezione elettronica Weber-Marelli
Potenza stimata: 750 cv a 15.800 giri
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