Le mitiche Ferrari di F.1: la 641 che ha respirato aria mondiale con Prost
La 640, molto estrema aerodinamicamente, era stata rivista da Scalabroni e Nichols nel 1990, per una migliore alimentazione del 12 cilindri che ha permesso un incremento di potenza: la Rossa vinse 6i GP, 5 con Prost e 1 con Mansell.

Di venere e di marte non si viene e non si parte. Fedele al detto popolare, un superstizioso Enzo Ferrari non avrebbe mai dato il suo placet alla presentazione della F1-90 per il 2 febbraio 1990, venerdì. Sarebbe stato un cattivo presagio per una stagione che, invece, avrebbe visto le Rosse tornare in lizza per il mondiale. Ma il Grande Vecchio non c’era più e quella Ferrari stava vivendo un’importante fase di trasformazione.
Chiuso il tormentato ciclo tecnico triennale di John Barnard, a Maranello si apriva una nuova era. Intorno al direttore sportivo Cesare Fiorio era nata una squadra molto solida che ambiva senza mezzi termini al titolo piloti.
Accanto al confermato Nigel Mansell, infatti, era arrivato il campione del mondo in carica, Alain Prost che aveva lasciato la McLaren e si era portato in dote il numero 1 sulla Rossa. Sulla carta la coppia del Cavallino non temeva rivali, anche se alla corte di Ron Dennis era rimasto un certo Ayrton Senna.
Il presidente del Cavallino, Piero Fusaro, credeva nelle qualità vincenti, tant’è che finanziò la stagione con un budget del 30% superiore a quello dell’epoca turbo. La gestione tecnica del team fu affidata a Pierguido Castelli, un ingegnere torinese del Gruppo Fiat catapultato in Emilia a coordinare l’estro del progettista Enrique Scalabroni e il pragmatismo in pista di Steve Nichols, uomo strappato proprio al team di Dennis.
Le trecento persone del Reparto Corse si coagularono intorno alla F.1-90, più nota come 641/1 che era la sua sigla di progetto. La monoposto manteneva tutto quello che di buono c’era nella 640 di John Barnard, la F.1 che aveva rivoluzionato il Circus introducendo il cambio a controllo semi-automatico, sostituendo la tradizionale leva con due bilancieri posti dietro alla corona del volante.
Il progettista inglese riteneva che la meccanica dovesse assoggettarsi alle esigenze aerodinamiche, per cui alcune soluzioni geniali non trovarono mai piena applicazione per le scelte troppo radicali che erano costate in termini di affidabilità.
La coppia Scalabroni-Nichols, quindi, in un primo luogo era intervenuta sulla base della 640 per assicurare la continuità prestazionale indispensabile a chi voleva puntare al titolo. E così il motore 037 aveva cominciato a respirare meglio grazie a una presa d’aria dinamica più grande e i problemi di surriscaldamento erano stati risolti disegnando pance laterali più grandi con una massa radiante adeguata alle esigenze di raffreddamento.
Con questi interventi il V12 curato dall’equipe diretta da Massai aveva subito trovato nuova “linfa” vitale. L’incremento di mille giri nel regime di rotazione del propulsore era stato possibile grazie a un certosino lavoro sui condotti di aspirazione (c’erano tre valvole per cilindro) e all’alleggerimento dell’albero motore e di altre parti rotanti.
Per la prima volta nello sviluppo del V12 era stata chiesta la collaborazione degli specialisti del Centro Ricerche Fiat. Con l’aumento della potenza sono cresciuti anche i consumi, per cui Scalabroni aveva voluto un serbatoio con una capacità di almeno 20 litri in più: per mantenere il passo della monoposto inalterato il gruppo motore-cambio era stato compattato di tre centimetri a favore della scocca.
L’elettronico Ciampolini, invece, aveva svolto un’opera di miniaturizzazione delle centraline, degli attuatori e dei cablaggi che avevano permesso un sensibile risparmio di peso a favore di un migliore bilanciamento della vettura, collocando alcuni accessori “sensibili” come le elettrovalvole del cambio o l’alternatore in punti meno critici per l’affidabilità.
E nel corso della stagione fu introdotto anche il cambio con la scalata elettronica programmata e per questo fu aggiunto un secondo bilanciere dietro al volante. Nel frattempo, il tester Gianni Morbidelli aveva iniziato lo sviluppo delle sospensioni attive.

Sei vittorie, cinque di Prost e una di Mansell, tre pole e sei giri più veloci alla fine di una stagione per molti versi esaltante, furono il bottino che valsero il secondo posto nel mondiale dietro a un’irriducibile Ayrton Senna.
Il brasiliano con la McLaren MP4/5-Honda chiuse la partita iridata in Giappone a due gare dalla fine quando subito dopo il via speronò la Ferrari di Prost alla prima curva. Un’entrata kamikaze deliberatamente cercata dal brasiliano aveva fatto schizzare le due monoposto impazzite nella via di fuga: gara finita per entrambi e mondiale matematicamente assegnato a Senna.
Ci furono polemiche violentissime per quel gesto poco sportivo, ma Dennis, team manager di Ayrton, ribatté che la Ferrari quel mondiale lo aveva perso negli undici GP precedenti. Per Cesare Fiorio tenere due “galli” nel pollaio come Prost e Mansell non era certo stata un’impresa facile.
Il primo aveva conquistato i tecnici della squadra con la sua meticolosità nel lavoro di messa a punto, mentre il “Leone” era nel cuore della gente per le emozioni che sapeva regalare con manovre al limite delle leggi fisiche.
Come a Imola quando stupì tutti facendo un testacoda in piena velocità e riprese la marcia senza aver perso molto tempo. Erano due numeri uno ed entrambi avevano iniziato la stagione con l’obiettivo di vincere.
L’avvio della stagione fu una “doccia fredda”: a Phoenix sul circuito allestito nella città americana ai margini del deserto, arrivarono due ritiri “brucianti”: Nigel fu fermato dal cedimento del volano e Prost dal cambio, ma la rivincita arrivò in Brasile. Senna in casa sua non aveva mai vinto e la doppietta al debutto del rinnovato circuito di Interlagos aveva lasciato una traccia ad Ayrton, dimostrando che la Ferrari c’era.
A Imola era attesa la 641/2 profondamente rivista da Scalabroni con una nuova carrozzeria per sfruttare meglio le potenzialità del motore 12 cilindri più potente. Mansell aveva sposato subito questa soluzione, mentre Prost restava fedele alla “vecchia”.
Si era creata così una sorta di… spaccatura all’interno del team che era piuttosto agitato in quanto le gomme Goodyear da qualifica calzavano a meraviglia le McLaren, ma non mettevano le ali alle Rosse.
Le due Ferrari, infatti, pagavano pesantemente questo handicap partendo spesso da posizioni retrostanti nella griglia. Prost si era adeguato a questa situazione e già nelle prove lavorava in funzione della gara, mettendo a punto una monoposto che in corsa era spesso imprendibile, mentre l’inglese si sentiva relegato in un ruolo di seconda guida, anche se il materiale che Nigel aveva a disposizione era pari a quello del francese.
A fare crescere la pressione c’erano state le battute d’arresto a Monte Carlo e il successo di Senna in Canada. Poi con la 641/2 finalmente a punto è iniziato un periodo magico di Prost che aveva infilato tre vittorie molto convincenti che lo avevano riportato a lottare per il mondiale.
In Messico, proprio mentre la Rossa esprimeva il meglio di sé conquistando a Città del Messico una doppietta, Scalabroni rompeva polemicamente il rapporto con il Cavallino: l’argentino non condivideva le linee tecniche per il futuro. Secondo Scalabroni il progetto 641/2 aveva raggiunto il limite dello sviluppo ed era necessario impostare una monoposto totalmente nuova, mentre Castelli, dopo che le vittorie erano cominciate ad arrivare, avrebbe preferito impostato una vettura sulla falsariga di quella esistente.
La responsabilità tecnica fu così affidata a Nichols. Nel GP del Paul Ricard Prost regalò alla Ferrari la centesima vittoria: un traguardo simbolico molto importante a cui fece seguito l’affermazione di Silverstone, proprio nella tana degli inglesi.
Mansell, sfiduciato, decise proprio alla vigilia del GP britannico di annunciare il ritiro: un fulmine a ciel sereno che nemmeno la pole stratosferica (aveva rifilato mezzo secondo a Senna) aveva mitigato, tant’è che in gara il Leone aveva subito l’ennesimo ko tecnico quando giù subodorava una vittoria che invece poi è finita nelle mani dell’attendista Prost.
A Hockenheim ci si aspettava una cavalcata Rossa e invece Alain aveva sbagliato la scelta dei rapporti del cambio e non riusciva a inserire la settima nei lunghi rettilinei tedeschi, mentre Mansell era più abulico del solito.
Fino a Monza la Rossa aveva tirato a campare nella speranza di non perdere troppo terreno da Senna, ma Fiorio aveva intuito che con un pilota solo era impossibile riaprire la partita e allora parlò a lungo con Mansell per chiedere l’aiuto dell’inglese.

Il Leone reagì alla sua maniera mettendo il cuore oltre la ragione. In Portogallo è partito dalla pole ed è andato a vincere senza guardare in faccia nessuno, dopo aver chiuso contro il muretto dei box un interdetto Prost che sperava di aver via libera in un gioco di squadra che non c’è stato, con Alain che poi è finito terzo dietro a Senna.
Le polemiche si erano placate in Spagna: a Jerez la Ferrari ha rimesso le cose a posto con una doppietta che teneva aperte le speranze iridate di Prost, ma è stato Senna in Giappone a mortificare tutti gli sforzi del Reparto Corse del Cavallino mettendo fine a una partita avvincente con una manovra criticatissima che ha cancellato la momentanea pace che i due piloti top avevano siglato a Monza con una plateale stretta di mano ad uso dei fotografi.
La Ferrari dopo anni di profonde crisi tecniche e strutturali ha dimostrato di aver imboccato la strada giusta: l’idea di riportare tutte le attività a Maranello si era rivelata giusta, la F.1-90 aveva lottato per il primato fino alla fine e solo un episodio criticabile l’ha privata di una soddisfazione che inseguiva da undici anni.
LA SCHEDA TECNICA
Telaio: monoscocca in nido d’ape con fibra di carbonio e kevlar
Sospensioni: anteriori a ruote indipendenti con doppi triangoli sovrapposti in acciaio, puntone con schema push-rod e barre di torsione, ammortizzatori montati entrobordo orizzontalmente sulla scocca; posteriori: a ruote indipendenti con triangoli superiore e trapezio inferiore, puntone push rod e barre di torsione; ammortizzatori regolabili montati sulla scatola del cambio.
Sterzo: a cremagliera
Cambio: Ferrari longitudinale a 7 rapporti più Rm con comando semi-automatico a controllo elettronico
Frizione: tri-disco in carbonio
Freni: doppio circuito sdoppiato, dischi autoventilanti in carbonio Brembo e pinze monolitiche Brembo
Cerchi: Speedline in lega ant. 11,75x 13” e post. 16 x13”
Gomme: slick Goodeyear ant. 25.0-10./13”; post. 26.0-15.0/13”
Passo: 2.855 mm
Lunghezza: 4.460 mm
Larghezza: 2.130 mm
Altezza: 1.000 mm
Carreggiate: anteriore 1.800 mm; posteriore 1.675 mm
Peso: 503 kg
Motore: 037
Architettura: 12 cilindri a V di 65 gradi
Cilindrata: 3497,964 cc
Distribuzione: doppio albero a camme per ogni testata, 5 valvole per cilindro tre di aspirazione e due di scarico
Alimentazione: iniezione elettronica Magneti Marelli
Potenza stimata: 680 cv a 13.000 giri
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McLaren, Brown: "Ci sarà un altro grande cambio di look della vettura"
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