Le mitiche Ferrari di F.1: F1-2000 campione dopo 21 anni con Schumacher
Dieci vittorie (nove di Michael, una di Barrichello), nove pole position, 170 punti iridati. questo è il bottino iridato della prima Rossa del nuovo millenio progettata da Byrne: la F1-2000 ha beneficiato dell'abbassamento del V10 di 25 mm.
Ross Brawn l’aveva definita “la prima monoposto nata e concepita interamente nella nuova galleria del vento di Maranello”. È nell’avveniristica struttura progettata dall’architetto Renzo Piano che si sono evolute le forme della F1-2000, una monoposto che è diventata una pietra miliare nella storia del Cavallino: stiamo parlando della vettura che ha traghettato il Reparto Corse nel nuovo millennio, regalando gioie e soddisfazioni a una squadra che stava aspettando dal 1979 la conquista del titolo mondiale piloti.
Ventuno anni di attesa che andavano cancellati con un colpo di spugna. E in certi occasioni non basta vincere per dare valore alla propria impresa, c’è la voglia di dare un segno alla propria superiorità indiscussa e indiscutibile.
“Ciascuno di noi – aveva ammesso il presidente Luca di Montezemolo – nella vita professionale fissa degli obiettivi. Più sono ardui e più il loro raggiungimento costituisce un motivo di soddisfazione. Nel 2000 la Ferrari ha conseguito due grandi risultati: ha rinnovato il successo dei modelli stradali caratterizzati da un enorme sforzo innovativo di stile e tecnologia che ha portato le Rosse a essere vendute in 42 paesi nel mondo e il ritorno ai due titoli mondiali in Formula 1: a quello Costruttori, già conseguito nel 1999, si è aggiunto quello piloti con Michael Schumacher in una stagione in cui ha battuto il record assoluto di vittorie e di punti conquistati nella storia dalla Ferrari nel Circus”.
Le Rosse sono state dei rulli compressori: dieci vittorie (di cui nove di Michael!), nove pole position, 170 punti iridati sono in sintesi il bottino di un’annata indimenticabile. Ha vinto la monoposto più competitiva, la F1-2000, con il pilota indiscutibilmente più forte, ma è cresciuta molto anche la squadra di Maranello che si è cementata agli ordini di Jean Todt.
L’innesto nel team di Rubens Barrichello al posto di Eddie Irvine, genio e sregolatezza, ha dato più stabilità alla struttura, ha smussato gli angoli di una gestione che non è sempre stata facilmente lineare con il biondo irlandese.
La F1-2000 è stata progettata da Rory Byrne per rispondere a precise esigenze tecniche: la riduzione dei pesi e l’abbassamento del baricentro che permettessero di sfruttare al massimo il potenziale delle nuove gomme Bridgestone.
Il simpatico sudafricano ha potuto trarre beneficio dalla stretta collaborazione con i motoristi capeggiati dall’ingegner Paolo Martinelli. Non era facile far comprendere a specialisti che misuravano la loro bravura nell’incremento di potenza, che era possibile migliorare l’efficienza della vettura rinunciando anche a qualche cavallo a vantaggio di un’installazione del propulsore in macchina che fosse maggiormente integrato con il resto del progetto.
L’operazione, invece, è riuscita perfettamente: il V10 denominato 049 non aveva più un’architettura a 80 gradi come le unità precedenti, ma l’allargamento dell’angolo fra le teste a 90 gradi ha permesso un abbassamento delle testate di 25 mm a tutto vantaggio della forma aerodinamica della monoposto con una sensibile riduzione della sezione frontale.
Anche se esternamente la F1-2000 non differiva molto dalla 399 che l’aveva preceduta, le piccole differenze che hanno reso quasi imbattibile la prima Rossa del secondo millennio si potevano osservare in ogni parte della monoposto.
Il muso era rimasto alto: nel wind-tunnel il greco Nicholas Tombazis aveva notato che un maggiore passaggio d’aria sotto la vettura permetteva di aumentare il carico aerodinamico nel diffusore posteriore.
In virtù di questi studi a Maranello avevano preferito non seguire i dettami della McLaren rivale che, invece, aveva battezzato un musetto più basso per la sua MP4-15. Anche l’alettone anteriore, con due flap sovrapposti a forma di freccia, denotava l’accurata ricerca aerodinamica, ma la mano di Byrne si è notata soprattutto nelle finezze applicate al telaio.
La Federazione Internazionale, infatti, aveva imposto delle misure minime delle scocche per assicurare i massimi valori di sicurezza. I tecnici del Cavallino erano riusciti a ottenere gli stessi risultati di eccellenza (mai a Maranello hanno scelto le prestazioni a scapito della sicurezza) pur interpretando in modo fantasioso le norme: due nervature ai bordi della parte superiore della scocca avevano permesso di raggiungere le misure di regolamento solo in quei punti, guadagnando in penetrazione aerodinamica sul resto della superficie.
Le pance laterali erano state ridisegnate in funzione di una diversa collocazione dei radiatori, mentre le protezioni intorno alla testa del pilota sono state “scavate” per liberare il passaggio dei flussi verso l’ala posteriore.
Il cofano del motore era più stretto grazie al V10 ribassato e allo spostamento del serbatoio dell’olio all’interno di quello della benzina. Fin nei primi test a Fiorano la F1-2000 si era rivelata di ben due secondi più veloce della vettura dall’anno prima.
E la puntuale conferma della superiorità tecnica era stata confermata nei primi tre GP della stagione che hanno sancito una tripletta di Michael Schumacher, ma a Silverstone c’è stato il risveglio della McLaren a ribadire che non sarebbe stata una passeggiata: primo Coulthard, secondo Hakkinen con Michael terzo sul podio.
La forza del Cavallino si è rivelata nella capacità di reagire alle difficoltà: nessuna polemica, ma tutti uniti alla ricerca dell’obiettivo che tutti sentivano a portata di mano. Super Schumi, naturalmente, ci ha messo del suo confermando le sue qualità di pilota di grado superiore, ma va riconosciuto anche all’armata di Todt di aver inciso nel risultato finale: la pioggia è stata una minaccia frequente in quell’anno e le Rosse hanno sempre tratto il massimo beneficio dalle condizioni difficili.
Michael ha vinto con il bagnato in Canada, a Indy e Suzuka e Barrichello ha costruito il suo capolavoro a Hockenheim con le slick sull’acqua. La Ferrari, infatti, ha mostrato la sua solidità nei momenti più critici: il muretto dei box “orchestrato” dal dt Ross Brawn era in grado di cambiare le strategie di gara in tempo reale, modificando i tempi dei pit stop in funzione del variare delle condizioni climatiche e del traffico in pista.
Una lucidità nell’agire che non ha trovato riscontro in nessun’altra squadra, tanto da sembrare spietatezza. E, invece, era solo la voglia di rompere un incantesimo che durava da 21 anni. Iniziando un ciclo magico…
LA SCHEDA TECNICA
Telaio: monoscocca in materiali compositi a nido d’ape con fibra di carbonio
Sospensioni: anteriori e posteriori a ruote indipendenti con doppi triangoli sovrapposti in carbonio, puntone con schema push-rod e barre di torsione, ammortizzatori regolabili.
Sterzo: a cremagliera
Cambio: Ferrari longitudinale a 7 rapporti più Rm con comando sequenziale a controllo elettronico
Frizione: multidisco in carbonio
Freni: doppio circuito sdoppiato, dischi autoventilanti in carbonio Brembo e pinze a sei pompanti Brembo
Cerchi: Bbs forgiati in magnesio da 13”
Gomme: Bridgestone Potenza scanalate
Passo: 3.010 mm
Lunghezza: 4.397 mm
Larghezza: 1.795 mm
Altezza: 959 mm
Carreggiate: anteriore 1.490 mm,; posteriore 1.405 mm
Peso: 600 kg con pilota, acqua e olio a bordo
Motore: 049
Architettura: 10 cilindri a V di 90 gradi
Cilindrata: 2.997 cc
Distribuzione: doppio albero a camme per ogni testata, 4 valvole per cilindro con richiamo pneumatico
Alimentazione: iniezione elettronica digitale Magneti Marelli
Potenza stimata: 770 cv a 17.800 giri.
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