La F1 fa quadrato, ma i gufi continuano a criticarla
I team stanno facendo rinunce importanti per cercare di mantenere il sistema F1 unito e dare una prospettiva alle migliaia di famiglie che vivono grazie al Circus, eppure in un momento così difficile c'è chi come Ecclestone spara una bomba al giorno per sfasciare ciò che è fragile.
Foto di: Zak Mauger / Motorsport Images
In una situazione come quella che sta vivendo oggi la nostra società, programmare il futuro è un approccio che va oltre il suo significato tecnico. Diventa una botta d’ottimismo, un gesto di speranza in un momento denso di punti interrogativi.
Nel suo piccolo contesto, chi ha le redini della Formula 1 ci sta provando e, mai come in questo periodo, sono state prese decisioni di responsabilità, scelte che hanno messo da parte la tendenza cronica delle squadre a guardare solo ai propri interessi.
I top-team hanno accettato di posticipare di dodici mesi l’entrata in vigore del nuovo regolamento tecnico per venire incontro alle difficoltà delle squadre medio-piccole, la Ferrari ha acconsentito a mantenere inalterate molto componenti dell’attuale monoposto per lo stesso motivo, ed anche la Mercedes ha accettato senza polemiche la decisione di accantonare il sistema DAS a fine 2020.
I team hanno anche garantito a FIA e Liberty Media la possibilità di gestire in autonomia il calendario che (si spera) possa scandire in estate la partenza del Mondiale 2020, dichiarandosi disposte ad accettare weekend corti (programmati su due giorni) qualora le necessità logistiche lo rendessero necessario.
In un contesto come quello attuale serve compattezza e la Formula 1 ha dato segnali importanti in questo senso.
Le certezze oggi sono poche, perché ovviamente non dipendono dalla volontà di chi gestisce il Circus, ma la volontà di ripartire quando sarà possibile alimenta la speranza di poterlo fare. È un atto di fiducia che permette di non vedere tutto nero come sembra.
C’è però chi non vuole vedere alcuna speranza, almeno nel breve periodo.
Alla domanda su come avrebbe gestito la situazione attuale se fosse stato ancora al timone della Formula 1, Bernie Ecclestone è stato lapidario:
“Penso che avrei chiuso le discussioni sulla possibilità di correre quest'anno. Questa è l'unica decisione che si può prendere per tutelare la sicurezza per tutti, quindi non avrei perso tempo a prendere accordi sciocchi che rischiano di non poter essere rispettati”.
Questa la visione, rispettabile, di “Mr.E”, che di fatto azzera ogni volontà di ripartire nel medio periodo.
Non è ovviamente da escludere uno scenario in cui la Formula 1 (come molti altri sport) si ritrovi a non poter riprendere la sua attività entro la fine del 2020, semplicemente perché nessuno oggi è in grado di garantire quando terminerà la situazione d’emergenza che stiamo vivendo.
Ma ha senso mollare la spugna prima del knock out? Lo scorso 23 marzo Chase Carey ha confermato la volontà della Formula 1 di farsi trovare pronta qualora la situazione dovesse migliorare, annunciando la possibilità di poter garantire un calendario di 15-18 gare anche se il semaforo verde arriverà in estate.
Un programma che è stato possibile definire grazie anche alla disponibilità dei team a prolungare l’attività in pista nel mese di gennaio.
Anche su questo punto Ecclestone si è confermato molto scettico: “Sarei molto, molto sorpreso se riuscissero a metterlo in pratica”.
Chi è al timone della Formula 1 è ben cosciente che questa possibilità esiste, semplicemente perché un punto interrogativo resta tale fino a quando non c’è una risposta, e la risposta al momento non c’è.
Non si sa quando torneranno ad essere autorizzate manifestazioni pubbliche, quando saranno riaperte le frontiere, e non si sa neanche quando riprenderanno i trasporti senza i quali la Formula 1 non può muoversi.
Ma qual è il vantaggio che può portare oggi una politica rinunciataria? Il beneficio sfugge, al contrario una visione pessimista non può che peggiorare la situazione di chi vive e investe nel Circus.
In questo momento la speranza di poter tornare in pista in estate è una prospettiva che aiuta ad aver una visione più ottimista di ciò che sarà, a mantenere in vita progetti, gruppi di lavoro, relazioni e non ultima, anche l’occupazione delle migliaia di dipendenti che lavorano nelle varie strutture che operano in Formula 1.
Nessuno ha le stesse certezze di un mese fa, ma oggi navigare a vista è doveroso.
Nell’arco della sua storia in diverse occasioni la Formula 1 ha rischiato, per errori propri, di avvitarsi su sé stessa, ma questa volta è in balia degli eventi (come altre decine di migliaia di contesti).
La speranza che la situazione globale possa prendere una piega positiva è d’obbligo e lo spirito sportivo è stato spesso un esempio di determinazione che oggi serve più che mai. C’è sempre speranza, a patto di non smettere di crederci.
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