Ferrari: Vettel con troppa pressione? Che torni a fare "solo" il pilota
Da quando Sebastian è arrivato a Maranello nel 2015 ha portato il bagaglio dei quattro mondiali, ma anche l'esperienza di un pilota che contribuisce alle scelte di messa a punto della Rossa. E se si scaricasse di dosso un po' di responsabilità lasciando fare agli ingegneri?
Foto di: Steven Tee / Motorsport Images
Si è detto molto negli ultimi mesi sulle difficoltà che sta attraversando Sebastian Vettel. Non è certo una storia inedita quella che vede un grande campione entrare in una spirale negativa, ne è piena la storia dello sport. Ma non c’è un comune denominatore, ogni situazione fa storia a sé.
Partendo dai numeri, che se non dicono tutto comunque dicono molto, emerge che il Mondiale 2018 della Ferrari è saltato per errori del team e dello stesso Sebastian. Mettersi con la calcolatrice a stabilire quali dei due fronti sia stato più penalizzante può portare ad una chiave di lettura, ma non è un riflettore che illumina perfettamente l’accaduto.
Da una parte c’è una squadra giovane, come più volte sottolineato da Maurizio Arrivabene, dall’altra un pilota che di Mondiali ne ha vinti ben quattro, che sulla carta dovrebbe ritrovarsi nel suo habitat naturale quando c’è da lottare per un titolo.
Ma il Vettel di oggi non è lo stesso che era in Red Bull, per diversi motivi. Il primo, ovvio, è che al volante della Scuderia si è sotto dei riflettori accecanti, in cui tutti è ingigantito. Vincere con la Rossa non è la stessa cosa, e neanche lo è commettere un passo falso. E se gli errori iniziano a diventare parecchi, si finisce sotto processo, come è sempre stato per i piloti del Cavallino. Scoprirlo oggi fa sorridere.
C’è però soprattutto un aspetto che differenzia il Vettel ferrarista da quello quattro volte campione del Mondo al volante della Red Bull. Dal 2009 al 2014 Vettel ha fatto il pilota, e lo ha fatto bene. È cresciuto enormemente, ma di base il suo ruolo è sempre stato quello di scendere in pista, e portare al limite la monoposto. Al resto ci pensavano Adrian Newey, Christian Horner ed Helmut Marko. Vettel, ovviamente ha progressivamente incrementato il suo bagaglio d’esperienza, e ci sta che la sua visione sia aumentata di peso nel briefing ed in generale nella squadra.
Quando è arrivato a Maranello, nel 2015, Seb è stato il valore aggiunto di un team che si stata formando, con una ristrutturazione avviata da Sergio Marchionne e Maurizio Arrivabene. Tutti ricorderanno che Vettel si presentò con il celebre taccuino, prendendo appunti su tutto, e mettendo sul tavolo la sua opinione, quella di un quattro volte campione del Mondo in un gruppo di lavoro formato da professionisti ma per lo più ancora a secco di titoli iridati.
Ci sta che un pilota, insieme alla sua capacità di portare al limite una monoposto, metta a disposizione della squadra anche la sua esperienza, ma quando ci si avventura in contesti non necessariamente legati alla figura del pilota, servono anche spalle molto larghe.
In passato c’è chi lo ha saputo fare, imponendo al team le sue scelte e prendendosi di conseguenza delle responsabilità in più. Ora, vedere Vettel commettere una sequenza di errori che non ha mai commesso neanche agli esordi in Toro Rosso, fa pensare a qualcosa che si è inceppato, perché non è da lui lasciare per strada punti e vittoria.
Si sono formulate tante ipotesi in questi giorni, e se davvero la mancanza di serenità è legata a questioni personali, allora serve il massimo rispetto per un ragazzo che non ha mai nascosto di tenere moltissimo alla sua privacy. Se, invece, il motivo risiede nella gestione sportiva di un mondiale decisamente intenso, forse per Seb potrebbe essere un passaggio importante tornare a concentrarsi solo sulla guida, che poi è quello che gli viene chiesto.
Ritrovare il gusto di scendere in pista, delegando ai tecnici il lavoro da ingegneri, e rilassandosi quando possibile, senza aggiungere stress al già impegnativo lavoro che è quello di un pilota di Formula 1 che guida una Ferrari.
Sotto questo aspetto l’esempio di Raikkonen è calzante. Iceman lo ha sempre ribadito: “sono qui per guidare, sono un pilota”, ed infatti otto stagioni in rosso non lo hanno logorato oltre il normale, tornando al successo a ben 39 anni.
Ma Kimi ha sempre fatto e continua a fare il suo, accetta anche dei consigli pur avendo 291 Gran Premi sulle spalle. Lasciarsi guidare un po' nei numerosi aspetti che comportano essere un pilota di Formula 1, non vuol dire avere una personalità debole, ma voler concentrare totalmente le proprie risorse su ciò che si sa far meglio.
E Vettel sa molto bene come si guida una monoposto, come si sorpassa e come si garantisce un valore aggiunto, che poi è ciò che è chiamato a fare.
Alla fine è per questo che un pilota viene giudicato, ed è per questo che da bambino Seb chiedeva al papà di sobbarcarsi i 200 chilometri che dividevano la città natale di Heppenheim dal kartodromo di Kerpen. Forse basta ritrovare quello spirito, e tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi resterà solo un periodo poco felice da cui un campione è uscito più forte e temprato di prima.
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