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Analisi

Ferrari: si è spenta la... candela, ma non la speranza. Perché...

Marchionne dopo lo stop di Vettel a Suzuka ha chiamato a Maranello Maria Mendoza, la spagnola che in FCA era a capo del reparto qualità dei fornitori, ma la causa delle rotture nei compenenti del motore può avere altre origini.

I meccanici Ferrari osservano la monoposto di Sebastian Vettel, Ferrari SF70H, con problemi tecnici

Foto di: Sutton Motorsport Images

Meccanici Ferrari al lavoro sulla monoposto di Sebastian Vettel, Ferrari SF70H
Sebastian Vettel, Ferrari, Riccardo Adami, ingegnere di pista Ferrari e Antti Kontsas, trainer
Kimi Raikkonen, Ferrari SF70H
Una fan diKimi Raikkonen, Ferrari
Maurizio Arrivabene, Team Principal Ferrari
Bandiere Ferrari
Kimi Raikkonen, Ferrari SF70H
Sebastian Vettel, Ferrari SF70H
Mattia Binotto, Chief Technical Officer Ferrari
Christian Horner, Red Bull Racing Team Principal and Sebastian Vettel, Ferrari SF70H
Sebastian Vettel, Ferrari SF70H e la linea di partenza/arrivo
Sebastian Vettel, Ferrari SF70H
Sebastian Vettel, Ferrari SF70H
Sebastian Vettel, Ferrari

Perché si è… spenta la candela della Ferrari? Questa è la domanda che cerca una risposta nel Reparto Corse di Maranello. Il componente prodotto della giapponese NGK Spark Plug si è rotto, ma i tecnici del Cavallino devono capire come mai sia andato ko un particolare che non ha mai dato grossi problemi sulla power unit 062.

In queste ore Sergio Marchionne ha dato l’incarico a Maria Mendoza, la spagnola che in FCA era a capo del reparto qualità dei fornitori, di riorganizzare l’area di analisi e controllo dei componenti.

La sensazione è che l’ingegnere che arriva da Torino sia un rinforzo della struttura che andrà a dirigere l’intero reparto qualità della Gestione Sportiva per fare in modo che certi episodi come quello del GP della Malesia, quando si sono rotti due condotti in carbonio che dal compressore alimentano il motore termico, non si ripetano più.

Il “fattaccio” di Suzuka, invece, ha altre origini e la mancata scintilla a un cilindro del V6 è solo un effetto e non certo la causa che ha bloccato Sebastian Vettel al via del GP del Giappone.

E, forse, per cercare di fare chiarezza bisogna andare indietro nel tempo di qualche mese, vale a dire all’inizio di luglio, quando c’era stata l’uscita dal Reparto Corse di Lorenzo Sassi, capo progettista della power unit.

Il tecnico toscano si stava occupando del motore 2018, vale a dire l’unità che per regolamento l’anno prossimo dovrà avere una vita di sette Gran Premi, visto che la FIA concederà l’uso di sole tre power unit per pilota nell’arco della stagione.

Stando alle indiscrezioni, Sassi aveva avviato un progetto molto ambizioso in collaborazione con l’austriaca AvL: oltre a cercare l’affidabilità, avrebbe permesso un salto di potenza importante: si parla di una cinquantina di cavalli. Veramente tanta roba!

Peccato che alle parole dovessero seguire i fatti e il propulsore 2018 che doveva diventare il vanto del Cavallino ha cominciato a rompersi al banco prova. Niente di drammatico, considerato che tutti i Costruttori sono ancora in affanno nell’arrivare al nuovo target di affidabilità che richiede una durata di sicurezza di 7 mila km.

Il fatto è che il nuovo motore non cedeva nelle simulazioni di durata, al superamento della vita degli attuali propulsori che devono coprire almeno cinque week end di GP, ma ben prima, rivelando una fragilità maggiore degli attuali 062, creando il panico nel reparto dei motoristi diretto da Wolff Zimmermann.

Come mai? La ragione è semplice: Mattia Binotto, direttore tecnico della Ferrari, aveva programmato che il motore 4 potesse essere un anticipo del miracoloso V6 del 2018 visto che si poteva permettere una vita ridotto rispetto a quello che era stato pensato, ma i piani sono letteralmente saltati dal momento che il motore non stava insieme e Zimmermann ha dovuto avviare un piano B con Enrico Gualtieri, il tecnico che si occupava della delibera delle power unit curandone l’affidabilità, Stefano Lovera, lo specialista di elettronica e Thierry Baritoud, l’esperto di ERS e turbocompressore.

A Maranello stanno lavorando sodo per allestire l’unità 2018: pare che siano state trovare le giuste soluzioni, ma il problema si è riverberato in questo campionato, con una SF70H competitiva capace di rivaleggiare con Sebastian Vettel per il titolo contro la Mercedes di Lewis Hamilton.

Gli anglo-tedeschi da Spa Francorchamps hanno portato solo per le frecce d’argento il loro motore 4 dotato di una buona iniezione di potenza. La Ferrari ha cercato di reagire approntando un motore che potremmo definire 3/bis che, per crescere nelle prestazioni, ha dovuto estremizzare dei concetti che sono andati a intaccare l’affidabilità.

Se sono state le vibrazioni nei condotti per l’accresciuta pressione di sovralimentazione del turbo o il minore “olio” da bruciare sul motore 5 di Vettel (solo 0,9 kg per 100 km rispetto a 1,2 kg per 100 km precedenti) a Suzuka non è dato sapere.

Deve far riflettere il fatto che i cedimenti più recenti siano avvenuti dopo le qualifiche, quando la power unit della SF70H viene spremuta al massimo in Q2 e Q3 per puntare alla pole. Disporre di meno antidetonanti nel “lubrificante” che, invece, serve ad additivare la benzina, può aver messo “sporcato” la candela. Ma a Maranello hanno, giustamente, osato per inseguire le W08 e non avevano alternative se volevano mantenere il mondiale aperto.

Sergio Marchionne e Maurizio Arrivabene sono convinti che la partita sia ancora aperta e non hanno alcuna intenzione di fare ribaltoni in un sistema di lavoro che hanno sottoscritto nell’estate scorsa. La Ferrari, quindi, probabilmente cercherà di “dosare” la qualifica per attaccare in gara, facendo affidamento sul fatto che la Rossa in questo finale di stagione è parsa addirittura più veloce rispetto alla Mercedes.

Ai tifosi del Cavallino diciamo che non è vietato sognare ancora…

 

 

 

 

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