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Ferrari brutta, ma ci sono tre vie di uscita dalla crisi

La SF1000 non ha solo problemi di natura aerodinamica, ma anche di motore e di telaio. I nove decimi di distacco dalla Mercedes possono essere ripartibili e per questo, almeno sulla carta, potrebbero essere recuperabili.

Sebastian Vettel, Ferrari SF1000

Sebastian Vettel, Ferrari SF1000

Mark Sutton / Motorsport Images

Nemmeno a Maranello si aspettavano una debacle così. Nella qualifica del GP d’Austria la Ferrari è letteralmente sprofondata: Charles Leclerc, settimo, e Sebastian Vettel, undicesimo. Il tedesco è stato impossibilitato a entrare in Q3 con una Rossa incapace di incrementare le sue prestazioni nelle tre sessioni cronometrate.

La situazione è molto più nera di quanto potesse sembrare alla vigilia, sebbene Mattia Binotto avesse puntato a un’operazione verità per non illudere i tifosi. Non aveva messo le mani avanti, non aveva fatto pre-tattica, ma aveva fotografato una realtà consapevole dei limiti di una monoposto, la SF1000 nata male.

Il Red Bull Ring, terza pista del mondiale dalla velocità media più alta, non poteva essere peggiore teatro per mettere in rilievo tutti i difetti della Rossa che, un po’ alla volta, sono venuti a galla tutti.

Il team principal ha detto che si è scoperta una mancanza di correlazione dei dati fra la pista e la simulazione, vale a dire i numeri della galleria non quadrano con quelli che si raccolgono nelle libere del venerdì. E non è casuale che ieri le due Rosse abbiano svolto delle prove aerodinamiche a velocità costante.

L’aver scovato il problema e avervi posto rimedio dovrebbe rendere la squadra fiduciosa, mentre i risultati emersi da Spielberg indicano che il malessere è molto più profondo di quanto potesse sembrare. La SF1000 è risultata 920 millesimi più lenta della SF90 sulla stessa pista l’anno scorso. È il caso di parlare di un gambero Rosso che fa tornare alla memoria un’epoca che sembrava definitivamente superata: il debutto della 312 B3 nel 1973 o quello della F92A nel 1992. Roba da archeologia del Cavallino.

I numeri sono brutali: in Q1 Leclerc ha girato in 1’04”500, migliorando di mezzo secondo in Q2 con 1’04”041, rimanendo poi plafonato a quella prestazione in Q3 con 1’03”923. C’è stato un salto di mezzo secondo, mentre la Mercedes ha tolto un secondo dalla Q1 alla Q2. Segno che le frecce nere hanno spinto la mappa da qualifica, attingendo alla cavalleria, mentre a Maranello sono rimasti più abbottonati per non intaccare l’affidabilità, mentre l’anno scorso era proprio la Rossa a fare il salto più grande.

Viene il dubbio che la Ferrari abbia omologato una power unit che ha perso la supremazia di motore. Può aver recuperato qualche cavallo rispetto all’unità 1 che doveva debuttare a Melbourne, ma siamo lontani dal propulsore che ha fatto faville a Monza, scatenando tutte le polemiche sulla presunta irregolarità nell’uso della benzina. E la controprova arriva dai team clienti, Haas e Alfa Romeo, relegati nei bassifondi della griglia.

Ma la SF1000 è nata pensando alla potenza che era in grado di esprimere a fine estate? In questo caso si trovano altre risposte della debacle di oggi in Austria. La maggiore ricerca di carico aerodinamico per migliorare il comportamento della Ferrari in curva, rinunciando alle velocità massime del 2019, potrebbe essersi trasformata in drag, vale a dire in resistenza all’avanzamento perché non ci sono abbastanza cavalli per rendere efficiente la configurazione aerodinamica varata.

Le velocità massime parlano chiaro: alla speed trap Hamilton è arrivato a 322,4 km/h, mentre Vettel non è andato oltre 313,2 km/h risultando 18esimo. Ancora peggiori sono i dati del T1 dove i due ferraristi sono ultimo e penultimo con 314 km/h contro i 323,4 di Lewis Hamilton a pari merito con Kimi Raikkonen. Il finlandese è stato sovrastato da Antonio Giovinazzi capace di 325,3 km/h, ma la C39 si difende sul dritto perché non ha carico aerodinamico e non perché ha il motore più potente come Marc Gené ha cercato di spacciare a Sky.

Il fatto è che la questione non si limita a questo: la Ferrari non solo è lenta, ma è anche difficile da guidare. È nata con un sottosterzo endemico che costringe i piloti a ripetute correzioni di volante, quando non s’innesca anche un improvviso sovrasterzo.

E qui arriviamo alla parte meccanica della macchina: le torsioni della scatola del cambio miniaturizzata rendono instabile il comportamento del retrotreno, ma gli irrigidimenti introdotti sulla trasmissione omologata non sono stati sufficienti per risolvere il problema. È possibile che la Scuderia spenda un gettone di sviluppo per arrivare a capo almeno di questo tema.

Il quadro che emerge è desolante, ma volendo ripartire i nove decimi di distacco dalle frecce nere si potrebbero frazionare in tre decimi di secondo per ciascuno dei temi che abbiamo analizzato: motore, aerodinamica e telaio. La somma dei gap deve spaventare, ma l’idea di recuperare qualche decimo in ogni settore non è affatto peregrina. Tanto più che qualche errore si è fatto anche nella gestione in pista delle Rosse. La situazione potrebbe migliorare in gara con Sebastian Vettel che partirà con le Medie, le gomme che la SF1000 soffre di meno. Siamo pronti a scommettere che in gara le differenze saranno minori.

E in Ungheria la SF1000 dovrebbe dare la svolta alla stagione con le tanto attese novità tecniche. A Maranello sono riusciti a sviluppare poco la macchina, mentre Mercedes, Red Bull e Renault hanno portato tante modifiche importanti, alcune strutturali, segno che anche dopo l’era del COVID-19 c’è chi ha saputo evolvere le monoposto.

Ora è il momento di non perdere la testa e di mantenere la calma e l'unità del gruppo, senza scatenare divisioni e polemiche fra i reparti perché altrimenti si rischia di buttare via due anni, condizionando pesantemente anche la monoposto con le regole 2022. La Ferrari non può essere così brutta. Ha già toccato il fondo e non può che risalire…

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