F1 | Red Bull: da dove nascono i 23 secondi di distacco dalla McLaren
Helmut Marko non ha esitato a definire i 23 secondi rimediati da Max Verstappen come un gap allarmante che mette a rischio entrambi i titoli mondiali per la Red Bull. Scopriamo quali sono state le motivazioni e le scelte di setup della squadra di Milton Keynes che, al contrario di quanto sperato, hanno pesato sul passivo finale.
Lando Norris, McLaren MCL38, Max Verstappen, Red Bull Racing RB20
Foto di: Sam Bloxham / Motorsport Images
Se in casa Red Bull è suonato un campanello d’allarme, di certo non ha iniziato a farsi sentire solamente dopo Zandvoort, bensì già da diversi appuntamenti prima della pausa estiva, quando il trend era quello di una McLaren in crescita e, alle volte, riferimento. Tuttavia, i 23 secondi di distacco rimediati dal team di Woking in Olanda hanno aggiunto un ulteriore tassello a un quadro già complicato, con Helmut Marko che ha ammesso di vedere entrambi i titoli a rischio: non solo quello costruttori, ma anche quello piloti, nonostante il margine di 70 punti.
L’aspetto forse più significativo del fine settimana, oltre al puro distacco dal punto di vista cronometrico, è che in realtà la Red Bull si aspettasse di poter rientrare in lotta per la vittoria alla domenica, specie nel caso Max Verstappen fosse riuscito a guadagnare la testa della corsa, per poi giocarsela sul degrado. Il piano, però, ha mostrato diverse falle, perché già dopo pochi giri è emerso in maniera chiara come il tre volte campione iridato non avesse non solo il passo per allungare, ma nemmeno per difendersi a lungo.
A quel punto, subito il controsorpasso da Norris e con una vettura sempre più in difficile da guidare, per Verstappen l’appuntamento di casa si è trasformato in una lunga processione fino al traguardo, ma con un passivo di 23 secondi che ha lasciato molto dubbi sull’efficacia della RB20 in Olanda. Cerchiamo di scoprire a Zandvoort la McLaren si sia rivelata così dominante e da dove nasce il distacco rimediato da Red Bull.
Un tracciato ben adatto alla McLaren
Nonostante sia relativamente corto, quello di Zandvoort è un tracciato estremamente tecnico, grazie a lunghi curvoni a media e alta velocità, frenate combinate e qualche zona a bassa velocità dove diventa fondamentale anche sfruttare i cordoli con un assetto relativamente morbido. Già dalle libere del venerdì McLaren sembrava gradire queste caratteristiche, che ben si adattano a quelli che sono diventati i punti di forza della vettura, come si era visto in Ungheria e, seppur non in modo così marcato, anche in Spagna.
“Abbiamo visto a Barcellona e in Ungheria che quando abbiamo queste curve lunghe e a media velocità, la vettura si comporta molto bene”, ha sintetizzato Andrea Stella, Team Principal del team di Woking. Se lo scorso anno la RB19 era una monoposto globale, in grado di difendersi in una vasta gamma di situazioni, quest’anno la MCL38 le ha rubato lo scettro.
Aspetti emersi molto bene a Zandvoort perché ha saputo coniugare le performance nelle curve lunghe, dove eccelle aerodinamicamente, a un comparto meccanico morbido che si è dimostrato efficace sui cordoli e nei tratti a bassa velocità. Al contrario, Red Bull si sta aggrappando a quello che ormai è rimasto il suo vero e unico punto di forza, ovvero le performance nelle curve ad alta velocità, dove occorre stabilità e dove una combinazione di fattori aerodinamici e meccanici rendono ancora la RB20 regina, specie sul giro secco. Un aspetto da tenere in considerazione, soprattutto guardando all’andamento della corsa.
Max Verstappen, Red Bull Racing RB20, Lando Norris, McLaren MCL38, Oscar Piastri, McLaren MCL38
Foto di: Andy Hone / Motorsport Images
Le differenze a livello di setup
Un ruolo importante lo hanno giocato anche le differenti configurazioni di setup scelte da parte dei due team. Mentre McLaren si è presentata a Zandvoort con una nuova ala posteriore che potesse inserirsi un livello sotto quella di Monaco come carico, garantendo migliori velocità di punta, dall’altra parte in casa Red Bull si è registrato un cambio in corsa.
Inizialmente sia Verstappen che Perez avevano iniziato con una configurazione a medio-alto carico ma, prima delle qualifiche, sulla sola vettura dell’olandese si è optato per una modifica dell’ultimo minuto, passando all’ala più carica a disposizione, di fatto optando per una configurazione simile a quella usata a Monaco. Una scelta dettata principalmente dalle preoccupazioni per il degrado scaturite dai pochi dati registrati tra venerdì e sabato, tanto che, in realtà, Verstappen era stato l’unico a conversare un set aggiuntivo di gomme hard, rinunciando anche a un set di soft in FP3.
Tuttavia, questa scelta non ha dato gli effetti sperati per più motivi, come sottolineato da Chris Horner: “Abbiamo rischiato un po', perché pensavamo che il degrado sarebbe stato piuttosto alto. Così abbiamo aumentato di molto il livello di carico, al massimo possibile. È stato un azzardo. Tuttavia, il degrado era molto basso e siamo stati lenti in rettilineo con Max”, ha aggiunto il Team Principal della Red Bull.
Sergio Perez, Red Bull Racing RB20
Foto di: Simon Galloway / Motorsport Images
In effetti, andando ad osservare i riferimenti telemetrici già al sabato, era emerso come sui rettilinei la McLaren riuscisse a guadagnare qualcosa su Verstappen, mentre il margine si ampliasse in modo ancor più netto con Perez, circa 5/6 km/h più rapido del compagno di squadra.
L’azzardo dell’ala più carica non ha pagato
Indubbiamente quel gap di velocità sul rettilineo non rappresenta l'unico motivo della debacle ma, nel computo globale, ha giocato un suo ruolo, soprattutto nel momento in cui quelli che dovevano essere gli elementi di forza sono venuti meno, agevolando anche il sorpasso subito da Norris.
Mercedes a parte, il degrado si è rivelato abbastanza contenuto per tutti, tanto che, ad esempio, per un momento Nico Hulkenberg ha accarezzato il sogno di finire in top ten con una strategia che prevedeva di effettuare ben 57 tornate sulla gomma hard, quantomeno prima di un crollo proprio sul finale. Questo aspetto, legato anche alle basse temperature e le mescole più dure portate a Zandvoort, tipologia con cui spesso si è trovata a suo agio, hanno permesso di mantenere un ritmo costante, complice un assetto che non ha mai sforzato eccessivamente le gomme.
L’aspetto paradossale è che, in realtà, chi ha avuto problemi di degrado, ma più che di consumo puro di gestione della finestra di funzionamento, è stata proprio la Red Bull di Verstappen. Già dai primi giri si è visto come Max non avesse il passo per scappare ma, con il passare delle tornate, per l’olandese è stato sempre più difficile contenere il rivale alle sue spalle.
Il fatto è che quel vantaggio nelle curve ad alta velocità visto sul giro secco a gomma nuova non si è poi riproposto in modo così marcato alla domenica, mentre la McLaren ha continuato ad essere molto efficace nelle curve lunghe e interconnesse, così come in quelle lente con una buona meccanica in fase di trazione che ha ridotto lo scivolamento della posteriore sinistra messa sotto sforzo nei curvoni.
“Checo aveva meno ala e nel secondo stint credo che Checo fosse più veloce di Max. Quindi, forse è stata una decisione sbagliata quella che abbiamo preso con Max. Abbiamo sofferto in termini di velocità di punta e in realtà non abbiamo guadagnato nulla da punto di vista del degrado”, ha spiegato poi Marko a fine gara, lasciando intendere come, di conseguenza, anche McLaren avesse trovato un compromesso più efficace in termini di deportanza.
Nel momento in cui sono poi iniziati i problemi di gestione per Verstappen, la sua Red Bull è diventata ancor più difficile da guidare, con quelle difficoltà di bilanciamento già sperimentate in altre occasioni di cui l’olandese si lamenta ormai da mesi, tanto da spingerlo semplicemente a portare a casa la vettura e mettere in cassaforte un secondo posto vitale per la classifica piloti. Durante il weekend, infatti, sulla sola vettura di Verstappen Red Bull è tornata indietro sul fondo ad alcune soluzioni di inizio anno, proprio alla ricerca di risposte e un miglior bilanciamento, ma c'è ancora del lavoro da fare.
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