F1 | L'ultimo Forghieri: "La Ferrari è stata la mia vita"
Nelle librerie è possibile trovare il libro “Ferrari – Nel cuore della Formula 1”, la pubblicazione della Rizzoli scritta da James Allen con le splendide fotografie di Ercole Colombo e Rainer Schlegenmilch. Mauro è uno dei protagonisti che ha raccontato il mito del Cavallino. Proprio con il collega inglese avevamo incontrato "Furia" nell'estate scorsa: riportiamo la prima parte di una lunga chiacchierata con il geniale progettista modenese.
Mauro Forghieri è uno dei grandi personaggi protagonisti del libro “Ferrari – Nel cuore della Formula 1”, la pubblicazione della Rizzoli che si trova in tutte le librerie. Scritto dal collega James Allen, è arricchito dalle straordinarie immagini tratte dall’archivio di Motorsport Images di due maestri della fotografia, come Ercole Colombo e Rainer Schlegenmilch.
Con James abbiamo incontrato Mauro nell’estate scorsa al Ristorante Lo Smeraldo di Maranello e quello che doveva essere un pranzo con la moglie Elisabetta e il fidato amico Rossano Candrini si è trasformato in una chiacchierata fiume, nella quale si sono toccati diversi punti dell’esperienza di Forghieri alla Ferrari. Non lo avremmo più visto.
Il ricordo della Ferrari per Mauro Forghieri
Photo by: Ferrari
Se n’è andato a sorpresa il 2 novembre nel sonno. Aveva 87 anni, ma ancora in quella calda giornata mostrava la vivacità mentale che ha caratterizzato il suo essere genio. Progettista di telai, motori e cambi, non solo di F1, ma anche di Prototipi e GT, ma anche agitatore di anime specie nella gestione dei piloti.
Mauro Forghieri
Photo by: Motorsport Images
Vi proponiamo un primo blocco di un racconto entusiasmante, dal quale emerge il carattere del “Furia”. L’analisi sui piloti, ve la proponiamo prossimamente…
Cosa rappresenta la Ferrari per te?
“Vuol dire la mia vita. Ho cominciato a soffrire per la Ferrari quando ero ragazzo. Mio padre è stato uno degli uomini che, insieme a Enzo Ferrari e altre due persone, avevano costruito una macchina prima della guerra e l’avevano lasciata lì. Quando è finito il conflitto l’hanno tirata fuori”.
Qual è stato il primo incontro con Enzo?
“Ero bambino. Mi ricordo che mi aveva dato una… scoppola. E non l’ho dimenticata perché mi aveva dato fastidio. Stavo per dirgli qualcosa ma c’era qualcuno che mi ha fermato: perché quando sei un ragazzo è un casino: se non ti controlli ti viene voglia di distruggere tutto. Poteva nascere una guerra, ma per fortuna mi hanno fermato. E ho anche detto grazie, mentre dentro di me pensavo che Dio lo stramaledicesse”.
Qual è stato, invece, il primo incontro professionale?
“E’ stata una cosa estremamente gustosa, perché non mi aspettavo la chiamata”.
Mauro Forghieri ed Enzo Ferrari con Chris Amon
Photo by: Motorsport Images
Ferrari era nei guai perché nel 1961 aveva messo da parte tutto il vertice della squadra…
“Erano un mare, anche perché erano molto bravi. Mi sono trovato a gestire una situazione che prima era seguita da sette o otto persone e io, invece, mi sono trovato a fare tutto da solo. Sono stati momenti abbastanza pieni di necessità ma anche di umanità, perché altrimenti non sarei riuscito a fare quello che avrei voluto. Comunque sono cose che mi fa piacere ricordare”.
Hai disegnato la macchina e il motore, una cosa impensabile oggi, e avevi spesso la gestione del team in pista…
“Lui era capace di metterti in situazioni molto particolari e ci riusciva bene. Quando ti trovavi lì dovevi darti da fare e con Enzo si faceva, eccome. Oggi, guardandomi indietro certe cose non le rifarei: ne ho fatte di tutti i colori. Ho saputo immergermi senza riguardi in quello che era il suo mondo e sono diventato parte di quello”.
Ma quanto tempo hai avuto per entrare in quel mondo?
“Quanto ci ho messo? Enzo ha saputo mettermi a mio agio. No, era molto di più: mi ha fatto capire che era con me in tutti i momenti e ci sarebbe rimasto fino alla fine. Lui ha rispettato quello che mi aveva promesso. E mi ha anche fatto capire anche quando stava per morire”. Brividi per tutti intorno al tavolo che all’improvviso è diventato silenzioso. Non sbattevano nemmeno le posate.
Mauro Forghieri a Monza relaziona Enzo Ferrari dopo un test
Photo by: David Phipps
Ferrari come era nei momenti vincenti e nelle sconfitte?
“Era migliore nei momenti difficili, perché sapeva che solo lui, dimostrando di essere tranquillo, di accettare le cose, poteva dare alla squadra il fuoco necessario per risollevarsi. Ci sapeva fare. Non lo dico solo io. Non era un uomo che perdonava le sconfitte e non si agitava per le vittorie. Era sempre lo stesso. Però ti metteva nella condizione di uscire dalle sconfitte, perché vincere per lui era normale. Dopo un successo era capace di chiedere se i camion avevano dovuto fare molta strada o se avevano consumato molto. Diciamo che era molto sensibile al denaro…”.
Era una delle sue forze sapere gestire le risorse…
“Ci sapeva fare”.
L’automobile e le corse erano nel suo DNA…
“Qualsiasi cosa avesse quattro ruote per lui aveva un feeling incredibile. Anche i carrettoni. Io ricordo che una volta andò a vedere la corsa delle soap box in discesa. Quando i ragazzini avevano visto che c’era Enzo Ferrari non ti dico cosa hanno combinato: molti hanno pensato: ‘Se mi nota magari mi prende come pilota’. E così erano scesi in venti tutti insieme. Un caos totale!”.
Hai lavorato anche a straordinarie Gran Turismo stradali…
“Pensare una Ferrari era difficile, ma farla che avesse successo era molto facile, bastava scrivere Ferrari: era sufficiente, credetemi. Per un progettista era davvero l’ideale. Non facevi molta fatica: definita la meccanica e le quattro ruote, sopra… ci lasciavamo cadere una lamiera e quella diventava una Ferrari”.
“Erano per tutti meravigliose, anche se alcune facevano schifo. Ci dicevano che la linea aerodinamica era perfetta. In realtà avevamo delle resistenze all’avanzamento paurose. Posso dire? “Abbiamo avuto tanta… fortuna, diciamo così”.
Eravate un gruppo piccolo… Quando hai detto Ingegnere non si riesce a fare la F1 e le Sport, le F2 e le salite, bisogna andare su una cosa sola, perché facevate i miracoli…
“Sì, ma se era per lui avrebbe preteso che facessimo anche le gare in discesa, anche contro i carrettoni dei ragazzi”.
Qual è la F1 preferita?
“La 312T. Penso che sia normale, perché la generazione T ha avuto uno sviluppo su più campionati. Era un lavoro logico, naturale”.
Ferrari 330 P4 (1967)
Photo by: Ferrari
E nei prototipi?
“La mia macchina è stata la P4. Quelli che amavano la Ferrari e vedevano la P4 godevano, ma non ho mai capito perché. C’era un motivo? Era solo estetica? No, non credo, non c’era solo estetica, c’erano dei contenuti tecnici importanti”.
È stata riproposta oggi e sembra ancora modernissima…
“C’erano dei contenuti di estetica, efficienza, e se posso dirlo di… simpatia. Piaceva”.
La 312 B3 di Thompson fatta in GB nel 1973 era un fallimento e Ferrari ti chiese di rimettere ordine in F1…
“L’ispirazione dell’ala a sbalzo mi era venuta guardato un vecchio libro, ingiallito, che conteneva le macchine da record tedesche degli anni 30. C’erano disegni grandi pochi centimetri che mostravano le varie evoluzioni di quei mostri. L’ultimo aveva un alettoncino a sbalzo…”.
“Anzi da quella pubblicazione sono uscite le migliori idee che ho sviluppato. Era un libro che tu leggevi ma non ti toglieva il piacere della scoperta delle cose, perché ti spingeva ad approfondire dei concetti e, quindi, mi divertivo: dai disegni e dalle foto tiravi fuori tutto quello che ti serviva se sapevi coglierne le indicazioni”.
Beh, non è poco se si considera tutto quello che ne è venuto fuori…
“Sì, mi ha ispirato le macchine migliori”.
Ferrari 312 B3 "spazzaneve"
Photo by: Franco Nugnes
Le F1 erano dei siluri, poi c’è stato un cambiamento radicale con la “spazzaneve” che ha preceduto la B3. Hai pensato una F1 con un fondo: come mai?
“E’ una scoperta che ho fatto nella galleria del vento della Mercedes in Germania, dove di notte veniva spento un rione di Stoccarda, perché toglievano la corrente a una parte della città per aver l’energia elettrica sufficiente per muovere l’aria nel wind tunnel a certe velocità”.
E cosa hai scoperto?
“Che il modello di F1 non produceva molto carico a confronto con quello della Sport. Anziché fare una F1 a siluro, mi sono lasciato convincere dai numeri che vedevo e poi sono nate la B3 del 1973 e quindi la 312T”.
Niki Lauda, Ferrari 312T
Photo by: Ercole Colombo
Le novità, quindi, te le devi andare a cercare…
“Tu devi guardare gli altri, per amor di Dio, perché la gente intelligente che ha fatto cose belle le guardi e ti fai un background su cui lavorare. Nel tuo progetto ci sarà sempre un pochino di tutti gli altri, ma se vuoi superarli devi metterci del tuo”.
Interviene la moglie Elisabetta: “Mauro ha continuato a studiare in bagno, dove ha sempre avuto una pila di libri che fossero in inglese e in molte lingue diverse. Spesso venivano dalla Russia”. Libri russi in bagno?
“I libri sull’automobile che vengono scritti nei paesi che hanno meno cultura automobilistica sono i migliori, perché non si accontentano di guardare la macchina nel suo complesso, ma l’analizzano in tutti i suoi dettagli e nel modo più raffinato possibile. Sanno apprezzare l’arte e ci mettono l’anima per raccontarla”.
“In certe tribù africane se porti un bel quadro vedi queste persone che sanno godere del bello, perché non sanno trattenersi, sono dei puri. Fra gli acculturati, invece, non c’è lo stesso stupore, perché sono abituati a un certo valore e magari parlano subito del prezzo”.
Mauro Forghieri sistema l'ala posteriore della Ferrari 312B di Clay Regazzoni
Photo by: Motorsport Images
L’idea di cui sei più orgoglioso?
“Se dico l’alettone dico una stupidata? Se c’è stata una cosa che ha fatto male alla F1 sono gli alettoni, perché hanno tolto moltissimo a quella che era l’abilità del pilota. Hanno alzato il limite della macchina e se prima ci arrivava un pilota, poi ce n’erano trenta. L’alettone ha fatto questo: ha ridotto le qualità di guida…”.
È “colpa” tua?
“Sì. Ha permesso a piloti che non avrebbero mai potuto guidare al massimo livello di essere quasi dei campioni. Io stesso senza ala non sarei stato capace di girare a Modena nei tempi dei ragazzini”.
L’hai mai guidata una tua monoposto?
“Sì, a Brands Hatch. Quando arrivavo a Druids mi sentivo appagato. Ho guidato la 312 T2: era una macchina decente e mi ero subito trovato bene. E quando una macchina andava forte a Brands Hatch poteva vincere dappertutto”.
Prima parte - continua
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