F1 | Le paure di Wittich generano un effetto con più rischi
Il GP d'Australia passerà alla storia per la gara con tre bandiere rosse, quattro partenze e un arrivo in parata dopo la safety car. La F1 sembra aver perso il contatto con la realtà: non si deve interrompere la gara per ogni incidente. Il direttore di gara prende provvedimenti che sono a favore della sicurezza, ma come conseguenza di tanto rigore si aumentano i rischi delle ripartenze dando la sensazione che si cerchi ancora più show. La safaty car è uno strumento che sta perdendo di valore. Ecco perché...
La Formula 1 a volte dà l’impressione di avvitarsi su sé stessa. I motivi sono principalmente due: un regolamento sportivo che negli anni è cresciuto in dimensioni con l’aggiunta di regole e corollari che hanno fatto diventare il libro delle regole un labirinto nel quale anche gli stessi uomini della FIA rischiano di perdersi, e la volontà crescente di offrire al pubblico uno show ad alta tensione anche nelle giornate in cui l’azione in pista non fa trattenere in fiato.
Un input, quest’ultimo, che sembra avere effetti anche sulla direzione gara. C’è poi una terza variabile, ed è quella della ‘gestione Wittich’, ovvero il direttore di gara che ha sostituito Michael Masi dall’inizio dello scorso anno.
Il Gran Premio di Melbourne è stato un cocktail di questi tre elementi. La prima decisione che ha sorpreso nella domenica di Albert Park è stata quella di interrompere la corsa all’ottavo giro, una bandiera rossa esposta per permettere ai commissari di percorso di pulire la pista nella zona in cui era uscito di pista Alexander Albon.
Una volta interrotta la gara sono entrati in pista i mezzi pesanti, ma questo aspetto non deve tratte in inganno. Era davvero indispensabile l’utilizzo delle aspiratrici per pulire la pista alla curva 6 o si sarebbe potuto procedere in regime di safety car lasciando al personale di pista il compito di spazzare la ghiaia con mezzi meno high-tech ma comunque efficaci?
Quando al giro 53 Kevin Magnussen è finito contro le protezioni si è ricreata una situazione simile. In questa occasione i detriti della Haas (incluso un pneumatico) erano effettivamente sparsi su un lungo tratto di pista ed è scattata la seconda bandiera rossa, apparsa più comprensibile della prima ma non del tutto indispensabile.
Max Verstappen taglia il traguardo del GP d'Australia seguito da Lewis Hamilton
Photo by: Jake Grant / Motorsport Images
Ora la domanda è se la gestione Wittich abbia rivisto il ruolo della safety car. Immaginare la vettura di servizio che procede a velocità ridotta con le monoposto alle sue spalle non sembra essere uno scenario pericoloso per chi opera in pista, ed è ciò che si è visto per anni senza controindicazioni, soprattutto con pista asciutta. Se però quanto visto a Melbourne è un nuovo corso della FIA, allora dobbiamo prepararci a vedere meno safety car in pista e molte partenze in più.
Per la direzione gara la bandiera rossa è uno strumento per azzerare il rischio di imprevisti, questo è indubbio, ma la controindicazione è il passaggio in secondo piano dell’aspetto sportivo. Non dello show, ovviamente, perché dopo ogni bandiera rossa c’è una ripartenza, e questa è una buona notizia per chi è a caccia di momenti ad alta tensione.
Resta il fatto che un regime di safety car fatto rispettare alla… Wittich, non impedisce nulla di quanto fatto oggi a Melbourne dal personale di pista durante i periodi di bandiera rossa.
C’è poi una contradizione emersa nelle concitate e caotiche fasi finali della giornata. Alla bandiera rossa che ha azzerato i rischi legati ad un’ipotetica pulizia della pista in regime di safety car, ha fatto seguito la decisione di riprendere la corsa con una partenza da fermo a due giri della fine del Gran Premio.
I commissari rimuovono la Williams FW45 di Alex Albon dopo la bandiera rossa al giro 8: era indispensabile?
Photo by: Jake Grant / Motorsport Images
Uno start su una pista come quella di Albert Park con gomme soft non in temperatura e due soli giri in programma, è una chiamata al caos, come puntualmente avvenuto alla prima curva. Forse si dà per scontato che i piloti siano al sicuro nelle loro monoposto, o forse questo è ritenuto un rischio che vale la pena correre.
C’è poi un ultimo aspetto che ha colpito nella domenica di Melbourne. Dopo l’incidente seguito all’ultima partenza c’erano i presupposti per dichiarare la corsa conclusa, e la conferma è stato il lungo periodo di tempo impiegato dalla direzione gara per comunicare il da farsi.
L’ultimo giro percorso dietro la safety car è servito per sventolare la bandiera a scacchi, a danno dell’Alpine e di Sainz, che in quella tornata hanno visto svanire il bottino del weekend. Nel caso di Carlos la penalità inflitta è stata corretta, ma il contesto in cui ha dovuto scontarla ha preso la forma di una vera beffa.
Ovviamente tutto è stato “a norma di regolamento”, sia chiaro, l’operato di Wittich si basa sempre sul rispetto letterale delle regole, dal caso ‘mutande’ dei piloti, ai piercing di Hamilton fino al divieto di festeggiamenti da parte del personale delle squadre quando i piloti transitano sotto la bandiera a scacchi.
Max Verstappen alla ripartenza del Gran Premio d'Australia
Le regole sono la linea guida, ma serve anche il buonsenso di chi le applica. Non si può dirigere la Formula 1 con l’unico obiettivo del ‘rischio zero’, perché si finisce con lo snaturare lo sport. Ci vuole elasticità mentale e la capacità di saper valutare caso per caso, chi accetta di dirigere un Gran Premio è chiamato ad assumersi delle responsabilità, viceversa non fa per lui. A dirlo non è una facile polemica, ma la storia di Charlie Whiting, che quel ruolo lo ha rivestito per molti anni sapendo distinguere quando e come intervenire a seconda dei casi che si trovava ad affrontare di volta in volta.
La Formula 1 ora più che mai è uno sport affascinante, i 444.631 spettatori accorsi ad Albert Park sono un chiaro riscontro che c’è tanto di buono nel lavoro fatto da Liberty Media e FIA nel post-Covid.
Il rischio, però, è che proprio l’onda positiva di questo successo porti fuori strada, che la sbornia di consensi (e di ritorni finanziari) allontani un po' dalla realtà. Va bene tutelarsi, va bene guardare avanti, ai nuovi mercati e alle nuove generazioni, ma agire nel nome della ‘vision’ e del rischio-zero non è un alibi che giustifica tutto.
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