F1 | Isola: "Vi svelo i segreti delle gomme che non ho mai detto"
Il direttore di Pirelli Motorsport coordina oltre cento persone che si occupano di oltre 350 campionati auto nel mondo. Mario, milanese di 55 anni, però è consapevole di quale sia la complessità di fornire le gomme alla F1. Nell'intervista esclusiva con Motorsport.com ci ha spiegato alcuni concetti per capire le scelte della Casa milanese.
Mario Isola, Racing Manager, Pirelli Motorsport
Foto di: Zak Mauger / Motorsport Images
Lo potremmo definire l’undicesimo team principal. Non gestisce una monoposto in griglia di partenza, ma è il fornitore unico di gomme. Mario Isola, milanese, 55 anni è diventato uno dei personaggi del Circus. Rappresenta la Pirelli che dal 2011 dà le “scarpe” alla F1. È il direttore di Pirelli Motorsport, una business unit della Casa milanese che è impegnata in 350 campionati auto nel mondo e che conta un centinaio di collaboratori. In pista vanno poco più di 60 persone, dando l’impressione di essere un piccolo team fra i top.
Motorsport.com ha incontrato Isola a Monza per una chiacchierata esclusiva: l’approccio dell’incontro non era quello di fare solo un punto sugli pneumatici di F1, ma cercare di allargare il campo per provare a comprendere le complessità di un mondo che è difficile anche da raccontare.
Le specifiche delle gomme che il fornitore porta ai GP sono il frutto di una lettera d’intenti nella quale la FIA e il promotore, insieme ai team, dettano le caratteristiche tecniche e gli obiettivi prestazionali, di durata e di sicurezza da raggiungere.
Mario Isola, direttore di Pirelli Motorsport
Foto di: Mark Sutton / Motorsport Images
Pirelli, dunque, porta in pista il prodotto che gli è stato richiesto. Ha senso, quindi, chiedere a Mario che gomme si costruirebbe se fosse libero di scegliere…
“Bella domanda, non me l’ha mai fatta nessuno. Io rispondendoti di pancia e dico che questa F1 mi piace. Quando siamo entrati avevamo due mescole a ogni gara ed era una scelta molto riduttiva: come avviene oggi in F2 c’era una prime e un’option. Già il fatto di passare alle tre mescole è stato interessante. Sarebbe bello ragionare su questa formula per spingerla oltre. Mi spiego meglio: io sono sempre stato un fan dell’Alternative tire allocation, non solo perché si poteva risparmiare qualche set di gomme che era in linea con la sostenibilità, ma mi piaceva parecchio il format della qualifica nel quale usavi due treni di hard in Q1, due treni di medie in Q2 e altrettanti di soft in Q3. Questo permetteva di vedere una progressione dei tempi e una capacità di adattamento del pilota che deve essere molto istintivo”.
“Ormai la F1 è molto decisa dagli ingegneri che vogliono avere tutti gli elementi sotto controllo, tant’è che le gare più belle sono quelle nelle quali succede qualcosa di imprevedibile. I tecnici provano a controllare tutto, ma la qualifica che cambiava da un segmento all’altro la mescola, cambiava le situazioni e, soprattutto, in gara il pilota aveva una disponibilità di due set di hard, medie e soft usate in qualifica solo per uno o due giri tirati, ma ancora sostanzialmente nuove. E tutti erano alla pari. Chi non passava le tagliole della Q2 e Q3 aveva qualche gomma nuova in più e, quindi, un piccolo vantaggio, tanto partiva più indietro”.
“Questo format funzionava bene e ci avrebbe permesso di capire quali mescole portare in gara. Se tu sai di avere un set di hard, uno di medie e un tot di set di soft, come avviene oggi, perché le squadre cercano di massimizzare le soft per la qualifica, anche nella tua scelta per la gara non potrai essere troppo aggressivo perché ti devi coprire. Quando due treni per ogni mescola è evidente che potresti fare ragionamenti più aggressivi. Ci sarebbe più spazio per fare del fine tuning utile a migliorare lo spettacolo”.
“Magari andrò controcorrente, ma quello della Sprint è un format che mi piace. È una gara corta nella quale non c’è pit stop e i piloti possono spingere: anche lì si possono fare dei ragionamenti”.
Pneumatici Pirelli slick a mescola soft
Foto di: Mark Sutton / Motorsport Images
Si potrebbe, ma nessuno prende rischi nella Sprint perché i punti importanti si danno alla domenica…
“Certo, non si prendono dei rischi, ma prima la Sprint era certamente meno interessante perché definiva lo schieramento della gara e, quindi, si evitavano possibili guai. Oggi che ci sono due qualifiche separate si potrebbe essere più aggressivi di quello che abbiamo visto finora e credo che ci sia ancora margine per migliorare”.
Ti aspettavi un campionato così aperto?
“Forse quest’anno avevamo le aspettative di un campionato dominato dalla Red Bull e, quindi, sono tutti partiti con l’idea che saremmo morti di noia e, invece, ci troviamo con quattro squadre che se la possono giocare ad ogni GP”.
“Non è banale, anche se molti questa cosa ormai la danno per scontata. Mi ricordo nel 2012 quando avevano avuto otto piloti che avevano vinto otto gare a inizio stagione, qualcuno disse che quella F1 era diventata una lotteria. A me piaceva ed era molto interessante”.
Ma quando senti dei piloti che dicono di non aver potuto tirare e spiegano che hanno dovuto fare tire management, tu come la spieghi?
“Ne ho parlato con alcuni piloti che mi dicono: se potessimo spingere avremmo gare più belle. Il punto è che se tutti possono tirare perché facciamo delle gomme che non hanno degrado, e ti dico che si possono costruire (lo abbiamo visto quest’anno in particolare con la hard)”.
“Tutti avrebbero la stessa gomma e quindi potrebbero tirare: non si creerebbe quel delta prestazionale che mi permette con una buona strategia, con pit stop veloci, con un undercut di creare più azione in pista. Cosa che avviene oggi perché magari la tua macchina non ha un’aerodinamica al top e usura di più le gomme, oppure la tua vettura accende gli pneumatici prima in qualifica, ma poi quella caratteristica la paghi un po’ in gara. Insomma, ci sono una serie di variabili che possono generare spettacolo. Dobbiamo evitare i trenini. E chi parte davanti, in aria pulita, avrebbe un netto vantaggio. Questo sono monoposto condizionate all’80% dall’aerodinamica: se sei in aria sporca o nel traffico hai una penalizzazione. Le gare più noiose sono quelle con i trenini di monoposto. Tutto è discutibile, ovviamente, ma bisognerebbe provare le diverse condizioni per avere delle certezze”.
Ma la gomma è così condizionante nelle prestazioni?
“Sì, perché se la sai usare meglio o hai disegnato meglio la tua macchina vuole dire che rispetti il pneumatico e con un setup corretto fai lavorare bene i due assi e non ne hai uno che va in sofferenza. Tenuto conto che ogni pista è diversa”.
Liam Lawson, Red Bull Racing, nei Test Pirelli a Monza
Foto di: Pirelli
Con le vetture a effetto suolo sembra che la difficoltà sia proprio trovare il bilanciamento…
“E’ sempre stato così. Perché adesso il fenomeno è più evidente? Perché ci sono venti macchine che in qualifica possono essere racchiuse in un secondo”.
Ci aggiungerei un elemento: ora il carico è generato al 60% dal fondo e, quindi, dal corpo vettura, per cui l’effetto delle ali nel trovare il bilanciamento si è molto ridotto…
“Sì, è vero. Sento dire che le gomme sarebbero difficili da usare nel picco di prestazione: anche questo è vero, ma perché c’è il bisogno di stare vicini a quella soglia perché il tuo concorrente più vicino non è a due decimi, ma a soli 5 millesimi. Se perdi un decimo, quindi, non rischi di perdere solo due posizioni. E devo dire la verità: andando ad analizzare la storia della F1 faccio fatica a trovare un periodo in cui c’era un livellamento in alto come ora”.
Beh, più si va indietro nel tempo è più crescono i distacchi: negli anni 50 l’unità di misura erano i secondi, poi siamo arrivati ai decimi e oggi non bastano più i centesimi, perché si analizzano i millesimi…
“Non c’è dubbio. La F1 è estrema. Tutto il lavoro che viene fatto nel paddock è estremo. Ho visto la mole di dati che le squadre ci richiedono rispetto a quando siamo arrivati nel 2011: è impressionante. È come confrontare due mondi diversi…”.
Questo è un aspetto che non è facile da trasferire al grande pubblico…
“Stiamo vivendo una F1 molto complessa e non è certamente facile da raccontare”.
Gli ingegneri McLaren al muretto dei box
Foto di: Steven Tee / Motorsport Images
Niki Lauda diceva che le monoposto andavano guidate con la sensibilità del fondo schiena: l’austriaco azzardava un sorpasso quando se lo sentiva, mentre oggi la sensazione è che la gara sia scandita dagli ingegneri di pista, dalle strategie, aspettando magari un pit stop per l’undercut, togliendo al pilota l’opportunità di agire quando più si sente competitivo…
“Questo è lo sviluppo della F1 moderna, che non è il frutto di 50 anni di evoluzione, ma di una crescita molto repentina frutto degli strumenti sempre più esasperati che si hanno a disposizione. Noi siamo entrati in F1 nel 2011: mi sembra ieri, ma sono passati 14 anni e nel frattempo è cambiato il mondo. Allora c’erano pochi dati e si spaccava il capello in quattro per trarre il massimo vantaggio da una buona lettura, oggi abbiamo una sovra informazione e non è facile selezionare i numeri che effettivamente servono. Noi facciamo tantissime analisi per capire dove possiamo migliorare: cerchiamo delle correlazioni di temperature e pressioni, incrociandole con i circuiti, l’asfalto, il meteo. Disponiamo delle telemetrie di ogni giro che le macchine percorrono in pista. Parliamo di terabyte di dati: vediamo 115 canali per macchina”.
Quante persone dedicate a questo lavoro di raccolta e analisi dei dati?
“C’è una decina di specialisti dedicati all’analisi, ma in più abbiamo un centro di ricerca a Bari con una cinquantina di ingegneri che lavorano sui big data e anche con loro abbiamo studiato delle correlazioni e i fenomeni che avvengono in pista”.
Ci fai un esempio?
“Parliamo di graining. È un fenomeno che si manifesta in certe occasioni: si formano dei riccioli di gomma sul battistrada quando non ci sono i giusti valori di aderenza e poi tende a sparire quando la pista di gomma. Questa è la spiegazione semplice che ci diamo, ma la questione è molto più complessa”.
“Uno può pensare che c’entri solo la rugosità dell’asfalto, ma in realtà contano anche la temperatura, la pressione di utilizzo, la tipologia di curva, l’assetto della macchina e la guida del pilota. Analizziamo tutti questi elementi, ma qual è quello che conta di più? E si scopre che al variare delle piste cambia anche la risposta, per cui si devono elaborare dei dati grazie a nuovi strumenti come l’intelligenza artificiale, per identificare quali sono le vere cause del graining”.
“In passato aggiornavamo dei memorandum: a Monza sappiamo che bisogna fare i conti con questo fenomeno, ma ci limitavamo a ricordarcelo da un anno all’altro, mentre magari avevamo cambiato le mescole o la costruzione delle gomme che modificavano l’impronta del pneumatico per il graining poteva sparire. È successo a sorpresa in Messico. Ma avendo strumenti sempre più avanzati si vogliono conoscere meglio certi fenomeni che poi possono trovare una valida correlazione anche nel prodotto di serie”.
A cosa ti riferisci, Mario?
“Di solito faccio l’esempio del tallone del PZero perché è facile da capire: in F1 con la coppia che genera la power unit grazie all’ibrido, poteva capitare che la gomma si muovesse sul cerchio e poi cominciava a vibrare perché non era più bilanciata. Abbiamo analizzato il problema e ora c’è un tallone che funziona bene e che in F1 evita lo slittamento. Perché non trasferire la soluzione di F1 anche al prodotto? E, ne abbiamo tratto un grande giovamento. Lo stesso vale per i materiali molto resistenti, ma anche molto leggeri”.
“I team si lamentano sempre del peso, ma sappiamo che con più materiale si genera più calore, per cui si cercano sempre soluzioni adeguate: un run flat in F1 sarebbe impensabile perché andrebbe arrosto! Abbiamo sviluppato materiali di carcassa sempre più leggeri. Per ragioni di confidenzialità non posso dire di che si tratta. Ciascuno vuole tutelare i suoi segreti”.
La parolaccia in F1 abbinata alle gomme è overheating, surriscaldamento… L’intenzione con gli pneumatici 2025 è ridurre questo fenomeno: state effettuando i test proprio per questo…h
“L’overheating è un fenomeno, ma è diverso dal degrado termico. Proviamo a spiegare: il degrado termico è tendenzialmente irreversibile perché la gomma degrada e si genera una perdita di prestazione che non si recupera. L’overheating, invece, agisce in modo diverso. Tu stressi la gomma e questa perde grip, ma se poi la raffreddi torna ad avere una prestazione analoga a quella che aveva in precedenza. È facile pensare, quindi, che l’overheating sia un fenomeno del battistrada. Scaldo la superficie, perdo grip e poi lo recupero quando la superficie si raffredda. In realtà abbiamo scoperto che non è sempre così. Facendo delle correlazioni abbiamo capito cose interessanti. Quando un pilota segnala l’overheating andiamo a vedere come la gomma lavora. Una volta trovi la temperatura superficiale più alta, ma un’altra volta non la trovi così fuori finestra da giustificare del surriscaldamento, perché c’è dell’altro che interviene”.
E cosa succede?
“Se la costruzione si scalda perché si muove un po’ di più, il pilota sente meno grip e potrebbe commentare il fenomeno come overheating, ma non è. Stiamo scoprendo quanto lo sviluppo della gomma sia complicato. I nostri ingegneri, non solo nei test ma anche nei weekend di gara, puntualmente si segnano il giro in cui un pilota segnala il surriscaldamento e poi andiamo ad analizzare la telemetria per affinare la nostra conoscenza e trovare la migliore correlazione”.
Pierre Gasly, Alpine A524, durante un bloccaggio in frenata
Foto di: Simon Galloway / Motorsport Images
Cosa cambierà nelle gomme 2025?
“Stiamo sviluppando una costruzione più resistente, con maggiore integrità perché i team ci hanno già segnalato che l’anno prossimo disporranno di più carico e andranno più forte. La cosa ovviamente non ci sorprende, ma per noi è importante dare una dimensione all’incremento. Dalle simulazioni che ci hanno dato a giugno è prevedibile un ulteriore aumento della downforce del 10% alla fine della prossima stagione”.
Recentemente i numeri dei team sono stati più sinceri che in passato…
“Sì, le simulazioni sono state coerenti con i dati di pista, mentre l’anno scorso c’era stata una crescita forte iniziale e poi c’era stato un plafonamento”.
Poteva esserci un effetto budget cap?
“E’ probabile, ora le squadre riescono a gestire meglio le spese di sviluppo. Il nostro obiettivo 2025 è di coprire la crescita prestazionale delle monoposto, mantenendo le stesse pressioni di gonfiaggio. Una gomma più resistente nella costruzione grazie a nuovi materiali dovrebbe contribuire a limitare quella sensazione che il pilota traduce in overheating. Nei test abbiamo ricevuto commenti positivi sullo sviluppo intrapreso. C’erano anche due filoni di mescole e stiamo decidendo quale scegliere”.
Diverso è il discorso delle gomme da bagnato…
“Restano il vero problema. Effettuare dei test rappresentativi è difficile perché le piste che si possono bagnare sono solo due (Paul Ricard e Fiorano) e sono due tracciati a bassa severità per cui non mettono tutta l’energia sulle gomme che sarebbe necessaria. Abbiamo capito che sulle piste più impegnative (Silverstone, Spa e Suzuka) si generava del calore dovuto al tassello che si muoveva. Era una sorta di surriscaldamento della gomma wet. Lo so che può sembrare un paradosso, ma ci siamo mossi per cambiare la costruzione in modo da aiutare il disegno del battistrada. Inoltre abbiamo sviluppato una mescola nuova per dargli un po’ più di struttura. Il risultato è che dovremmo vedere una gomma più veloce di due o tre secondi al giro…”.
Oliver Bearman, Ferrari SF-24 durante il test Pirelli con la pista di Fiorano bagnata artificialmente
Foto di: Pirelli
Un’enormità…
“Così dovrebbe essere, ma dovremo scoprire se questi dati saranno confermati anche su una pista ad alta severità. Abbiamo provato a vedere se era possibile bagnare Barcellona e Silverstone, perché Suzuka e dall’altra parte del mondo, ma non siamo riusciti a ottenere dati utili nemmeno con le autobotti”.
Parliamo del 2026: le monoposto non saranno solo condizionate dall’aerodinamica attiva, ma ci sarà un ritorno nell’importanza dei motori…
“E’ difficile dare delle chiavi di lettura. Ci domandiamo come l’aerodinamica attiva influenzerà le vetture: sarà da capire quali gomme serviranno per la F1 in versione carica e scarica. Ci saranno differenze mostruose. Un orientamento del legislatore è stato quello di ridurre il peso”.
Un treno 2026 quanto peso potrà risparmiare?
“Quattro o cinque chili. Saranno gomme sempre da 18 pollici ma più strette e con una spalla più bassa. E questo renderà complessa la capacità di carica della gomma, mentre le prestazioni dovranno essere in linea con quelle attuali”.
“Pirelli ha ricevuto delle simulazioni dalla FIA sulle vetture 2026. E non vedo la disponibilità a perdere prestazione. Vogliamo evitare, visto che oggi abbiamo un prodotto che accontenta tutti, di ritrovarci nel 2026 con una gomma più piccola che genera overheating”.
Il regolamento non è ancora definito in tutti i dettagli per cui comincerete i test sulle gomme 2026 senza dati attendibili…
“È come quando avevano debuttato le 18 pollici. C’è una buona collaborazione con le squadre: tutte investiranno nel costruire la mule car. In parallelo dobbiamo lavorare molto nel virtuale. Abbiamo 10 squadre che ci mettono a disposizione le loro simulazioni e possiamo partire da quelle. Vediamo che normalmente ci sono dati coerenti, ma se trovassimo dei valori anomali potremmo escluderli dal nostro modello di sviluppo. Il nuovo prodotto, quindi, viene disegnato tenendo conto di valori medi”.
Lando Norris riceve il premio per la pole position da Isola, direttore di Pirelli Motorsport: è una gommina da galleria del vento
Foto di: Glenn Dunbar / Motorsport Images
Ma il lavoro in galleria sulle vetture 2026 inizierà dal 1 gennaio: come farà Pirelli a fornire le nuove gommine da wind tunnel?
“La prima versione la consegneremo a gennaio 2025, offrendo il meglio che avremo a quel momento. Poi continueremo a svilupparla. Ci saranno tre diversi rilasci nel 2025. La volontà è di arrivare al più presto vicini alla gomma che debutterà in pista, ma questo è un servizio che assicuriamo anche in stabilità di regolamento, perché ci sono gallerie con caratteristiche tecniche molto diverse fra loro. Noi sviluppiamo tre soluzioni e poi le squadre scelgono la versione più funzionale alle loro esigenze. Tutte le volte che facciamo un prototipo nuovo diamo alle squadre un set gratis da provare e poi i team decidono come scegliere i 12 treni che hanno a disposizione ogni stagione”.
Be part of Motorsport community
Join the conversationShare Or Save This Story
Top Comments
Iscriviti ed effettua l'accesso a Motorsport.com con il tuo blocco delle pubblicità
Dalla Formula 1 alla MotoGP, raccontiamo direttamente dal paddock perché amiamo il nostro sport, proprio come voi. Per continuare a fornire il nostro giornalismo esperto, il nostro sito web utilizzala pubblicità. Tuttavia, vogliamo darvi l'opportunità di godere di un sito web privo di pubblicità e di continuare a utilizzare il vostro ad-blocker.