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Hamilton: l'attivista Lewis passa dalle parole ai fatti

Lewis, debitamente truccato, ha accolto nella sede di Brackleytre bambini che aspirano a diventare ingegneri mostrandogli i segreti della factory della Stella. Si tratta del primo passo della fondazione Mission 44 che ha finanziato con la Mercedes. L'idea è nata nel 2008 per il dolore provato nei test di Barcellona: degli spagnoli si erano dipinti il volto di nero indossando delle magliette con la scritta “Famiglia Hamilton”.

Gruppo di persone presenti in tribuna a Barcellona nel 2008

Gruppo di persone presenti in tribuna a Barcellona nel 2008

Ai messaggi seguono ora azioni concrete. Lewis Hamilton sa bene che nessuna parola ha peso senza un’azione concreta, e dopo aver preso posizione su molte tematiche legate all’eguaglianza sociale, la sua fondazione ha iniziato a muovere i primi passi.

Una delle iniziative che porterà avanti la fondazione che Hamilton ha istituito insieme alla Mercedes (la Mission 44, partita con una donazione di 20 milioni di sterline garantita da Lewis), si propone di garantire un percorso scolastico ed universitario mirato a ragazzi che ambiscono ad entrare nel mondo nel motorsport.

In un video pubblicato ieri dalla Mercedes, viene raccontato il percorso di tre aspiranti ingegneri selezionati in una scuola elementare di Camdem, portati un’intera giornata nella sede di Brackley dove a sorpresa durante un tour in fabbrica hanno incontrato Hamilton, truccato e mascherato per l’occasione.

Lo stesso Lewis è andato all’origine di questo suo desiderio, in un’intervista rilasciata al WSJ in cui ha raccontato il suo percorso di quindici anni in Formula 1 rivelando episodi inediti che hanno avuto un ruolo importante nel determinare la scelta di esporsi in prima persona a sostegno della causa della diversità.

 

Hamilton ha raccontato un episodio di razzismo avvenuto in Formula 1 e risalente al 2008, quando dei tifosi spagnoli si presentarono in tribuna a Barcellona con il volto dipinto di nero indossando delle magliette con la scritta “Famiglia Hamilton”.

“Ricordo il dolore che ho provato quel giorno – ha rivelato Lewis - ma non ne parlai con nessuno perché nessuno disse niente, tutti rimasero in silenzio. Avevo realizzato il mio sogno (era l’anno del primo titolo mondiale) ma non ero felice, non potevo essere me stesso".

"A quel tempo non avevo la fiducia su ciò che avrei potuto fare, così mi imposi di stare tranquillo, e ho soppresso tante sensazioni anche nelle stagioni successive. Poi alla fine del 2014 o 2015 ricordo che con tutti i componenti del team fu scattata una foto a Brackley insieme ai trofei vinti, e mi soffermai su un particolare: era una squadra di sole persone bianche, con pochissime eccezioni, e così anche tutti gli altri team di Formula 1. Ho ingrandito le foto di gruppo di tante squadre e ho visto che non era cambiato nulla, e ricordo la frustrazione”.

“Mi sono detto: ‘ho 36 anni, perché io? Perché sono l'unico pilota di colore che è arrivato in Formula 1, avendo anche successo? Dev'esserci una ragione più grande per cui sono qui’.

La molla è scattata con la morte di George (Floyd, ucciso da un agente di polizia a Minneapolis durante un arresto), un episodio che mi ha colpito davvero duramente. Non potevo credere che così tante persone ignorassero quanto accaduto, ed allora mi son detto:
"Sai una cosa? Sono disposto a correre il rischio, anche se si tratterà della mia reputazione lavorativa non importa. Voglio davvero che la comunità nera sappia che sono con loro, non sarò indifferente”.

Nel giungo del 2020 Hamilton ha aderito al movimento Black Lives Matter, partecipando attivamente ad una manifestazione tenutasi a Londra, e subito dopo ha deciso di prendere una posizione forte anche nel contesto dei weekend di gara di Formula 1, coinvolgendo anche altri piloti, una scossa importante mai vista in precedenza.

“Sin dall’inizio avevo capito che per entrare in Formula 1 bisogna essere molto allineati – ha proseguito Hamilton nel suo racconto – altrimenti capivi subito di non essere il benvenuto. I piloti vivevano una vita molto simile, nessuno ad esempio si interessava alla moda, nessuno si esponeva in attività lontane dal motorsport. All’inizio mi hanno fatto capire che avrei dovuto adattarmi alle regole, ma non mi sentivo a mio agio, volevo fare anche altre cose, e ad un certo punto ho deciso di agire”.

Ora l’azione di Lewis si muove anche attraverso la fondazione. Hamilton ha collaborato con la Royal Academy of Engineering, pubblicando lo scorso mese di luglio un rapporto che ha rivelato come meno dell'1% delle persone che lavorano in Formula 1 sono di colore.

“Lo scorso anno solo il 3% del personale della nostra squadra era di colore – ha sottolineato Hamilton – ora siamo al 6%, e abbiamo l’obiettivo di arrivare al 25% nei prossimi quattro anni. Spero che nei prossimi dieci o quindici anni di vedere una Formula 1 più in linea con il mondo esterno, ovviamente non correrò per sempre, ma se riuscirò a vedere questo cambiamento potrò dire che il tempo trascorso qui è stato speso bene, che ne sia valsa davvero la pena”.

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