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Binotto uscirà rafforzato o brutalmente ridimensionato?

Non serve giudicare i due piloti Ferrari quando hanno per le mani una monoposto, la SF1000, che non è competitiva. Importante sarà il ruolo del team principal che deve fare scelte importanti per scuotere il team in piena crisi.

In griglia Guenther Steiner, Team Principal, Haas F1, e Mattia Binotto, Team Principal Ferrari, in griglia

In griglia Guenther Steiner, Team Principal, Haas F1, e Mattia Binotto, Team Principal Ferrari, in griglia

Andy Hone / Motorsport Images

Due riflessioni secondo me s’impongono, a commento di questo complicato momento (momentaccio?) della Ferrari. Ecco la prima. Ho letto di tutto e di più sulle due gare disputate a Zeltweg, la prima con il miracoloso podio di Charles Leclerc (e con il maldestro sbaglio di Vettel), la seconda con il disastroso cozzo proprio del Principino su Sebastian.

Ho visto prima esaltare le doti di Charles – che in gara 1 ha piazzato due sorpassi decisivi e magistrali – e dopo il patatrac di gara 2 andare oltre la cosa più normale, ovvero censurarlo per un errore grave.

Invece no: adesso si azzardano addirittura valutazioni di ordine psicologico, oltre che sulla sua smania di fare e sul suo sentirsi nelle condizioni di dover dimostrare al più presto di meritare il rango di capitano.

In questo scenario, pure Sebastian Vettel è finito nei premi: c’è chi pensa che la spiegazione del crash subìto dipenda dalla decisione della Ferrari di non mandarlo via già da questa stagione.  

Sì, ormai Seb è conciato come il tipo dei Brutos (quelli del Carosello della Cera Grey, citazione riservata a chi è un pelo attempato e ha vissuto i magici anni 60) che prendeva sberle sempre e comunque.

Mamma mia! Cominciamo allora a dire che la cosa più sensata è ricorrere al famoso “rasoio di Occam”, il principio secondo cui la spiegazione più semplice è anche quella che ha maggior senso e valore.

In questo caso il rasoio dice qualcosa di evidente: la SF1000 è una macchina sostanzialmente sbagliata o con seri difetti di gioventù, al di là della famosa questione della power unit. Il suo non essere competitiva spedisce i due ferraristi nella zona grigia della griglia – e occhio che quella nera potrebbe non essere lontana –, aumentando il rischio di ritrovarsi nel traffico e nei pasticci.  

Da qui deriva la considerazione numero due. Da questo momento in poi il ruolo di Mattia Binotto diventa più che mai centrale: deve scuotere il team sul piano dell’organizzazione, delle scelte, delle priorità, del rapporto tempo/risultati; e deve poi amministrare anche risvolti umani non certo semplici, trovando un punto di caduta adeguato tra la smania e il talento di Leclerc e il rischio che Vettel – la cui gestione nel 2019 non ci è parsa impeccabile – si senta come un intruso e come uno che non vede l’ora di andarsene.

Morale: da questa vicenda il Binotto team principal uscirà o rafforzato in modo definitivo o brutalmente ridimensionato. Non vediamo, per ora, una terza via.

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