F1 | Ayrton Senna "è": Magic sopravvive nel presente
Il 1° maggio del 1994 è una data che segna il tragico epilogo di un fine settimana maledetto. Il Gran Premio di San Marino di 29 anni fa si è portato via anche Ayrton Senna. E il mondo della Formula 1 non è stato più lo stesso, ma il ricordo del campione brasiliano non si affievolisce con il passare di quasi tre decenni, ma si perpetua anche nelle nuove generazioni che non lo hanno visto correre, come se la sua dimensione sia uscita dal tempo.
1° maggio 1994. Sono trascorsi ormai 29 anni dall’epilogo di un fine settimana che avrebbe scosso e cambiato il mondo della Formula 1 per sempre. 29 anni da quell’ennesima tragedia di cui, prima delle fatidiche 14:17, se ne percepiva solamente una terribile sensazione. Un peso nel petto. Evidente a tutti.
Perché certe cose le annusi, le senti. I sensi le percepiscono e, malgrado la situazione non faccia altro che peggiorare, si ha la consapevolezza che il peggio debba ancora arrivare.
I giorni che compongono il Gran Premio di San Marino del 1994 sembrano colpiti da una maledizione... crescente. Surreale. Il menù dell’orrore imolese viene inaugurato dall’incidente di Barrichello durante le prove del venerdì. Il brasiliano ne esce con la frattura del setto nasale e qualche escoriazione, ma può raccontare di essere sopravvissuto ad un impatto tremendo. Roland Ratzenberger, il giorno seguente, non avrà la stessa fortuna.
Dopo un errore, decide di lanciarsi per un giro da qualifica. L’ala frontale della sua Simtek si stacca, finisce sotto la sua monoposto rendendola inguidabile. Finendo al muretto della curva Villeneuve ad oltre 300 all’ora. È il principio del buio. La nube della morte in Formula 1 è tornata, pesante quanto uno schiaffo, 12 anni dopo la scomparsa di Riccardo Paletti a Montréal.
Eppure, domenica 1° maggio, su Imola, il sole spende. Picchia sull’asfalto. Seduto nell’abitacolo della sua Williams, posizionata davanti a tutti nel rettilineo di partenza, c’è Ayrton. Scosso per quanto avvenuto fino a quel momento, pensieroso. Ha conquistato la sua 65esima partenza dal palo, ma non ci pensa troppo. Il mondo che lo riconosceva come tra i più grandi di sempre, come il più “magico”, non sarebbe stato più lo stesso dopo il recente e tragico episodio di Roland.
Domenica 1° maggio 1994, pre gara. Ayrton Senna e Michael Schumacher vengono interrogati sulla riforma della GPDA in seguito all'incidente fatale del giorno precedente
Lui era “The Magic”, il campione dai mille volti uno coerente con l’altro. Un pignolo, un perfezionista. Con la macchina, con i tecnici, ma innanzitutto con sé stesso. “Pensi di avere un limite, così provi a toccare questo limite. E accade qualcosa. Immediatamente riesci a correre più forte. Grazie al potere della tua mente, alla tua determinazione, al tuo istinto e alla tua esperienza puoi volare molto in alto”.
Queste parole, alcune delle più note pronunciate da Senna, manifestano la sua essenza. Un campione mistico, che ha interpretato il suo mestiere in una vera missione. Una missione a cui ha dedicato una vita intera. Un amore profondo quanto incondizionato per cui ha rinunciato ai piaceri della gioventù, per cui ha abbandonato il suo Brasile, la sua famiglia e i suoi affetti per trasferirsi in Inghilterra e inseguire i suoi sogni.
Impegno e sacrificio. Tanto. Volti a creare e cucire su di lui una carriera ricca di soddisfazioni. Nasceva in primavera, Ayrton. Nella stagione più matta di sempre, quella in conflitto tra lo splendore del sole e il grigio della pioggia. Due facce di una stessa medaglia. Con la pioggia Senna aveva un feeling speciale, regalava spettacolo e imprese da leggenda. In pista non dava sconti a nessuno, determinato e veloce, con la vista annebbiata dalla sete di conquista. I duelli, le sfide, la rivalità con Prost. I trionfi.
Il vincitore Ayrton Senna sul podio del GP del Brasile del 1991
Photo by: Sutton Images
Regalava il suo sorriso alla gente perché, in fondo, correva per la gente. Poteva essere il figlio ideale, il fratello, l’amico. Aveva avvicinato alla Formula 1 anche chi, fino a quel momento, non l’aveva mai seguita. Ogni sua vittoria trascinava a sé qualcosa di unico, il gusto dell’impresa impossibile. E, alla fine, l’orgoglioso sventolio della bandiera brasiliana. Era riservato, Ayrton. Non amava la mondanità, non strombazzava la beneficienza. La sua era la generosità di un uomo nato ricco divenuto potente, ma rimasto attaccato ai valori veri.
Un campione mistico, dicevamo. Dio era con lui, ricordava, lo sentiva accanto sulla linea di partenza, nell’abitacolo lo aiutava a sprigionare quella determinazione, quel coraggio che lo portava al limite dell’altrimenti irraggiungibile. Non si è fatto pregare per trasformarsi nell’ambasciatore itinerante della sua Nazione, ma non per fini personali. Voleva sollevare dalla povertà i “ninos de rua”, i bambini di strada. Voleva arrivare alla conquista di cinque titoli mondiali. Solo lì avrebbe pensato di chiudere la sua vita come pilota di Formula 1. Questo e molto altro è Ayrton Senna.
“È”, perché il suo mito non si è fermato a quel 1° maggio di 29 anni fa. Non si è fermato con quell’impatto, rendendo la curva del Tamburello l’epigrafe di un doloroso ricordo. Non si è fermato. Semplicemente “Dio mi aveva dato il potere di far tornare indietro il mondo, rimbalzando nella curva insieme a me. Mi ha detto ‘chiudi gli occhi e riposa’.” E lui, ha chiuso gli occhi.
La statua commemorativa di Ayrton Senna ad Imola
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