Enzo Ferrari: un secolo di Cavallino dalla vittoria del Savio
Al Teatro Ebe Stignani di Imola ieri pomeriggio si è tenuto il convegno "Savio 100" che ha celebrato la prima vittoria di Enzo Ferrari come pilota nel 1923 e la consegna del Cavallino rampante da parte della famiglia Baracca. L'occasione è stata straordinaria perché sul palco c'erano Piero Ferrari, Gian Carlo Minardi, Pino Allievi, Luca Dal Monte e Gian Luca Tusini che hanno evocato il Drake in modo insolito, facendo emergere aspetti del mito meno conosciuti ma non meno importanti.
Cento anni. Un secolo. Al Teatro Ebe Stignani di Imola ieri pomeriggio, fra la prima sessione di prove libere del GP di Doha e le qualifiche, aleggiava la figura di Enzo Ferrari. Il convegno “Savio 100” è stato la straordinaria occasione per onorare la prima vittoria del Drake come pilota il 17 giugno 1923 al volante dell’Alfa Romeo RL Targa Florio, sul circuito di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna e per ricordare l’incontro di un Commendatore giovanissimo con Enrico Baracca, padre di Francesco, dando il via all’avvincente storia del “Cavallino Rampante”, simbolo dell’aviatore che dall’aereo passerà alle auto della Scuderia Ferrari con un nuovo disegno.
A raccontare Re Enzo sei figure importanti: il figlio Piero Ferrari, Gian Carlo Minardi, il giornalista Pino Allievi, lo scrittore Luca Dal Monte, il critico d’arte Gian Luca Tusini e, collegato dal Principato di Monaco (perché affetto dal COVID) Marco Piccinini. Non è emersa la grandezza di un pilota gentleman che sfidava i campioni di casa Alfa Romeo, perché il giovane Enzo aveva capito subito, che, benché avesse buoni doti velocistiche, non sarebbe diventato un asso. Era consapevole che la passione per le corse e per l’automobile si sarebbe manifestata in altro modo. Diventando prima team manager, poi titolare della Scuderia Ferrari e, quindi, Costruttore delle vetture da sogno.
Convegno "Savio 100" su Enzo Ferrari al Teatro Ebe Stignani di Imola
Photo by: Franco Nugnes
Era come se parlando con le voci dei relatori, Enzo Ferrari aleggiasse in sala, raccontando di sé in terza persona. E il tratteggio che è emerso del personaggio è stato un quadro insolito, con pennellate con sono uscite dai racconti ricorrenti del mito. Ma è emersa l’anima del visionario, dell’uomo che sapeva guardare al futuro, senza crogiolarsi nel passato. Un imprenditore con idee rivoluzionarie, molto in anticipo sui tempi. Il Cavallino rampante sulle rosse era apparso alla 24 Ore di Spa del 9 luglio 1932 quando l’Alfa Romeo 8c 2300 MM di Brivio e Taruffi della Scuderia Ferrari vinse la gara di durata belga. E dal 1923, quando lo stemma era stato donato dalla famiglia Baracca, aveva subito diverse modifiche ed evoluzioni, perché Ferrari era consapevole che insieme al colore rosso delle sue vetture, il Cavallino sarebbe diventato il suo brand di riconoscimento.
L’Enzo Ferrari che è… apparso al Teatro Ebe Stignani è stato il precursore di tante idee innovative. Il concetto di Scuderia era all’avanguardia, così come la visione del Cavallino come straordinario strumento di marketing per la riconoscibilità del suo marchio. Ma non solo: aveva il fiuto degli affari e si era autodefinito un amministratore spietato. “Non tanto con i suoi collaboratori- ricorda Piccinini – quanto con sé stesso. Mi ripeteva spesso che non voleva fare la fine di Bugatti travolto dalla sua stessa passione. Sapeva darsi dei limiti”.
“È verissimo – incalza Piero Ferrari – fin dall’inizio c’era una contabilità rigorosa: è possibile ricostruire quali fossero i costi di ogni singolo elemento che componeva una vettura fino al particolare più insignificante. Non solo, ma dagli errori traeva lezioni per non ripeterli: in Ferrari Classiche avevo trovato un’area dove erano stati raccolti gli… orrori di tanti anni di storia”.
Marco Piccinini in collegamento dal Principato di Monaco al convegno "Savio 100"
Photo by: Franco Nugnes
L’immagine che emergeva era quella dell’uomo duro e burbero: “No - prosegue Piccinini – era così solo con chi non era leale, con chi provava a fare il furbo. Se c’era un problema pretendeva che se ne parlasse subito, per in due o tre sarebbe stato più facile risolverlo”.
Rifiutava l’etichetta dell’agitatore di uomini, ma il Vecchio sapeva dove pescare i collaboratori: “Quando è diventato Costruttore – racconta Pino Allievi – non ha guardato solo al mondo dell’automotive. È andato a pescare delle competenze alle Acciaierie Reggiane che all’epoca, fra le altre cose, realizzava aerei: aveva scelto figure con competenze aerodinamiche, consapevole che le sue macchine avrebbero dovuto avere uno stile e un design proprio”.
Il Cavallino rampante donato dalla famiglia Baracca a Enzo Ferrari
Photo by: Franco Nugnes
La lungimiranza di Ferrari si manifesta anche nelle scelte strategiche: in un’Italia post bellica che doveva rimboccarsi le maniche e ripartire, Enzo non aveva pensato al mezzo che permettesse di muoversi o di andare al lavoro: “Mentre avevamo visto le strade riempirsi di Vespa, Lambretta e Cinquecento – sottolinea Luca Dal Monte – c’era chi non pensava alle utilitarie ma a vetture con il 12 cilindri!”.
E Gian Carlo Minardi a chiusura del convegno ha tenuto a sottolineare: “Ho conosciuto Ferrari il 26 novembre 1974 chiamato da Luca di Montezemolo che all’epoca era il suo assistente. Mi disse che l’Ingegnere mi voleva conoscere e quando pensavo di rendermi disponibile per incontrarlo, come per fissare un appuntamento. Io risposi: ‘In un’ora e mezza potrei essere a Maranello’. E andai nel pomeriggio per un incontro che era durato quattro ore e mezza. Mi fece tantissime domande a cui risposi con sincerità, mentre per la tensione fumai un pacchetto di sigarette una dietro all’altra. Non sapevo che nel suo ufficio fosse vietato fumare. L’ho capito, quando alla fine della chiacchierata, Ferrari chiamò Franco Gozzi e gli disse: ‘Domani Minardi viene a ritirare una 312T con la quale farà correre i giovani piloti italiani, se smetterà di fumarmi in faccia’.
Piero Ferrari ammira la copia del Cavallino rampante della famiglia Baracca che gli è stata regalata a Imola
Photo by: Franco Nugnes
Nacque un programma molto interessante… “Siccome Ferrari è sempre stato un grande precursore, ho un grosso rimpianto – conclude Minardi – perché Ferrari morì nel 1988 poco dopo che ero entrato in F1, perché, probabilmente, ci sarebbe stata quella squadra B che aveva in mente e che non aveva fatto in tempo a realizzare, anticipando concetti che abbiamo visto molto tempo dopo”.
Poi, la bolla che ci ha portato magicamente fuori dal tempo per un’ora e mezza si è improvvisamente dissolta. Ed è venuta l’ora delle qualifiche del GP del Qatar. Ma quella era un’altra storia…
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