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Analisi

Cosa deve fare la Ferrari per tornare al vertice in F1

Rodi Basso, ex ingegnere in Ferrari, Red Bull e McLaren, racconta cosa ha imparato nel corso delle sue esperienze nelle squadre di vertice e cosa deve fare il team del Cavallino per tornare alla vittoria del titolo.

Kimi Raikkonen, Ferrari F2007

Foto di: Glenn Dunbar / Motorsport Images

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Nella storia delle corse la Ferrari e la Formula 1 sono sempre apparse come le due facce della stessa medaglia. I loro sforzi hanno ispirato e cambiato molte vite, compresa quella di chi scrive.

È stato un privilegio iniziare la mia carriera in F1 nel 2000. Lì ho imparato il potenziale di una piattaforma mondiale di marketing, tecnologia e business. Sono stato anche incredibilmente fortunato ad iniziare a lavorare in un'azienda come la Ferrari dove i miei occhi hanno potuto apprezzare e imparare che aspetto avesse l'eccellenza umana, strategica e operativa.

Ma non è solo una questione di tecnologia e di affari. Prima di tutto la F1 è uno sport e un divertimento. Per questa ragione deve essere garantito un ricambio abbastanza equilibrato di vincitori.

Ci sono leve attive e passive per modificare il destino di un campionato. La prima leva è quella che consente di cambiare le regole, e questo avviene quando i legislatori sfidano gli ingegneri e i piloti con nuovi concetti e paradigmi tecnici possibilmente allineati con le road map automobilistiche.

La seconda leva si riferisce ad un'evoluzione naturale all'interno delle squadre, dove il giusto equilibrio tra leadership e conoscenza del dominio può fare la differenza tra bere champagne sul podio o solo un succo d'arancia sul volo di ritorno a casa.

Andiamo al punto. L'ultimo campionato Costruttori vinto dalla Ferrari risale al 2008 sotto la guida di Stefano Domenicali. Cosa serve per conquistare il prossimo titolo e quando accadrà?

Nel 2000 ho iniziato a lavorare in un team di grande successo, ma mi veniva sempre ricordato il percorso per arrivare a quei trionfi da coloro che ci erano passati in precedenza. Raccontavano storie affascinanti e mostravano con orgoglio le cicatrici.

La Ferrari dei primi anni '90 era completamente allo sbando (basta chiedere ad Alain Prost). Poi è arrivato Jean Todt e mi è stato detto che ha passato molto tempo con i dipendenti dei garage, dell'officina, della produzione e di tutti i reparti della squadra.

La Ferrari di quei giorni era disarticolata e divisa, con una cultura della colpa controproducente che paralizzava qualsiasi tentativo di cambiare la direzione del proprio destino. Ogni dipartimento cercava di fare il minimo, di nascondere i rischi e di essere il più conservatore possibile per non essere identificato come la causa del problema.

Michael Schumacher celebra la vittoria sia in gara che nel campionato del mondo con Ross Brawn, Direttore Tecnico, Ferrari, Jean Todt, Team Principal, Ferrari e il resto del team Ferrari

Michael Schumacher celebra la vittoria sia in gara che nel campionato del mondo con Ross Brawn, Direttore Tecnico, Ferrari, Jean Todt, Team Principal, Ferrari e il resto del team Ferrari

Photo by: Motorsport Images

Poi, tra il 1996 ed il ‘97, Michael Schumacher, Ross Brawn e Rory Byrne sono saliti a bordo abbandonando la Benetton. Hanno trascorso la fase iniziale a capire le sfumature della cultura italiana e poi hanno iniziato la rivoluzione portando nel team nuove persone, proponendo nuovi soluzioni e promuovendo una visione che ha puntato non solo sul lato ingegneristico, ma anche su quello umano.

Non dimenticherò mai quando Ross ci chiese di disegnare la macchina al centro della sala riunioni e di fare lo sforzo di affrontare due compiti. Il primo era capire come ogni reparto potesse contribuire ad abbassare il tempo sul giro. Se ogni reparto avesse potuto togliere un decimo di secondo, sommando tutti i contributi si avrebbe avuto un guadagno di un secondo.

Il secondo era capire come ogni reparto avrebbe potuto aiutare a risolvere i problemi degli altri componenti con i quali ci si interfacciava. Questo mi ha sempre ricordato le istruzioni che si sentono in aereo prima del decollo: in caso di emergenza indossa la mascherina e poi cerca di essere d'aiuto a chi ti circonda. Questa è leadership.

Quando sono entrato in Red Bull, nel dicembre 2005, ero di fronte ad una nuova squadra nata sulle ceneri della Jaguar. Era un'altra occasione per vedere con i miei occhi cosa fosse necessario per costruire un team vincente, e ora posso mostrare con orgoglio alcune “cicatrici” interessanti.

In questo caso le persone di riferimento erano Christian Horner e Adrian Newey. Ci hanno messo circa un anno per comprendere la cultura del team e cosa poteva essere salvato. Poi, anche in questo caso, hanno iniziato ad assumere personale dalle altre scuderie (soprattutto Renault), e questo ha reso quell'esperienza un viaggio incredibile, perché si poteva attingere da differenti approcci in tema di design, produzione ed ingegneria.

L’ingresso di nuove persone genera sempre una nuova energia. Inoltre, questo ingresso, è un fattore che stimola una nuova mentalità basata sul duro lavoro e la ricerca dell'eccellenza.

Nella mia vita ho anche avuto la possibilità di essere abbastanza vicino al team McLaren F1 mentre guidavo l'unità motorsport della consociata Applied Technologies. Quando sono entrato nel Gruppo, nel 2016, il team non era in gran forma. Il processo di innovazione era complesso e la mancanza di risultati ha portato a una crescente cultura del biasimo.

Era il periodo in cui la Honda è entrata in F1, e la sua necessità di apprendimento non ha certo aiutato la squadra. Zak Brown è entrato nel team per attrarre nuovi sponsor, ma ha anche fatto molti cambiamenti nella gestione tecnica, tra cui  quello di portare Andreas Seidl alla guida della scuderia.

Andreas Seidl, Team Principal, McLaren, con Zak Brown, CEO, McLaren Racing

Andreas Seidl, Team Principal, McLaren, con Zak Brown, CEO, McLaren Racing

Photo by: Steven Tee / Motorsport Images

I due hanno lavorato duramente per ripristinare lo spirito di squadra e hanno semplificato l'organizzazione abolendo quella idiota a matrice. Immediatamente è tornata la chiarezza sui ruoli e sulle responsabilità e tutti i dipendenti erano consapevoli del loro contributo.

Ci sono voluti tre anni per vedere i benedici ed i risultati di questo cambiamento.

È fondamentale sottolineare, però, che nel corso della mia carriera ho incontrato persone eccezionali e la maggior parte di loro è riuscita ad esprimersi al meglio o meno a seconda delle condizioni di lavoro e della cultura della squadra.

I punti in comune di queste strategie di successo sono: capire la cultura attuale; assumere nuove persone con una reputazione consolidata nelle corse (competenza verticale) e creare l'ambiente giusto per farle lavorare bene insieme (leadership e organizzazione). Inoltre, tutte le squadre che ho citato avevano una chiara priorità: vincere le gare per promuovere un marchio.

Una delle principali sfide per la Ferrari è il successo in borsa. Sergio Marchionne ha scelto di separare il successo in pista dal successo sul mercato finanziario. Ha anche ridotto i costi fissi nel team assumendo sia dipendenti del settore automobilistico che mettendo ingegneri di basso profilo in posizioni di comando. Strategicamente oggi #essereFerrari richiama il dubbio amletico: essere o non essere impegnati a vincere?

Questo è ciò che Mattia Binotto ha ereditato e che non gli renderà la vita facile. Avrà l'autonomia per seguire il piano di recupero che conosce bene per tornare a lottare per il titolo? Mi auguro, per lui e per i tifosi, che sia così, con l'avvertenza che dovranno pazientare altri tre-cinque anni prima di festeggiare. E le voci sul fatto che Philip Morris non sia disposta a rinnovare l’accordo di sponsorizzazione dal 2022 renderanno tutto più difficile.

Enzo Ferrari diceva: "Molte persone amano le automobili, ma forse non ho mai trovato qualcuno con la mia perseveranza e animato da una passione così dominante nella vita. Non ho altri interessi che le auto da corsa".

Forza Ferrari.

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