Buon 50esimo compleanno Schumacher: Claudio Berro ci svela l'uomo e il campione
Nel giorno in cui Michael raggiunge il mezzo secolo di vita, abbiamo sentito Claudio Berro che nel 1996 era team manager e poi addetto stampa del Reparto Corse della Ferrari. Il manager ligure ricorda il fuoriclasse, un grande nell'abitacolo di una F1, ma anche fuori.
Il 50esimo compleanno di Michael Schumacher è l’evento del giorno. Il campione tedesco è accudito nella sua villa svizzera dove una equipe di medici lo segue giornalmente dopo quel maledetto incidente sulle nevi francesi di Méribel. Una banale caduta che si è trasformata in dramma cinque anni fa. Da allora il Kaiser è protetto dal calore e dall’amore della famiglia. Pochi e selezionatissimi amici hanno accesso al suo capezzale. E nulla trapela sulle sue reali condizioni fisiche. Sappiamo solo che Michael continua a combattere per migliorare il suo stato.
La tempra del campione non si è spenta, proprio come quando lottava per i 91 successi che hanno fatto di Schumi il più vincente di sempre con sette titoli mondiali (due con la Benetton e cinque di fila con la Ferrari).
Abbiamo voluto scambiare due chiacchiere con Claudio Berro, il manager ligure che in Ferrari è stato team manager prima di diventare l’addetto stampa del Reparto Corse, e che aveva avuto modo di conoscere il tedesco non solo nelle vesti del campionissimo, ma anche dell’uomo, in totale antitesi con il "personaggio" Schumacher. Ecco un ritratto che allaccia le due personalità di un campione scolpito nella storia della F1...
“Ci siamo conosciuti a Maranello quando ancora Michael non era stato ufficialmente presentato come pilota Ferrari. Lo avevamo portato a fare un giro del Reparto Corse perché si rendesse conto da dentro cosa fosse la Ferrari. Era una visita serale top secret. E già dal primo approccio capii che si trattava di una persona speciale: non se la tirava da due volte campione del mondo, ma si era presentato con l’umiltà di chi metteva piede in uno dei templi della F1”.
Prima dei test collettivi invernali aveva voluto provare il motore 12 cilindri…
“Sì chiese di effettuare un test a Fiorano perché voleva provare la 412T2, vale a dire la macchina del 1995 dotata del motore 12 cilindri tre litri con la quale aveva combattuto l’anno prima”.
“E mi ricordo che era sceso dalla Rossa che era entusiasta del propulsore, giudicando la macchina come un gioiello. In realtà era stato John Barnard a decidere che per esigenze aerodinamiche e di bilanciamento della vettura fosse giunto il momento di sacrificare il potentissimo 12 cilindri a favore di un più compatto V10. Con John Michael aveva avuto uno scambio di informazioni tecniche visto che la base della macchina l’aveva disegnata lui e il tedesco era parso molto attento alle indicazioni dell’inglese”.
L’immagine dello Schumi pilota è stata molto diversa dal Michael uomo…
“Dal punto di vista personale, a porte chiuse, era totalmente diverso da quello che la gente pensava che fosse nella sua veste professionale. Era il pilota di cui c’era bisogno a Maranello per avere una squadra ordinata, preparata nello sfruttare i dettagli e nel sapere trovare le motivazioni per fare sempre meglio”.
“Michael ha unito tutto questo con delle doti di sensibilità di guida sorprendenti. Su una pista completamente sconosciuta a tutti, impiegava due o tre giri per realizzare subito un tempo di riferimento. E poi aggiungeva: ‘Bene adesso iniziamo a lavorare sulla macchina per vedere cosa si può migliorare’. Era l’indiscutibile punto di riferimento della squadra, un pilota dotato di una sensibilità al di fuori del comune che lo ha portato ad essere un fuoriclasse grazie all’intelligenza unita alla meticolosità nei particolari e a un certo rigore nel modo di lavorare. Insomma era il pilota che incarnava quello che la Ferrari cercava per puntare al massimo delle prestazioni. E in effetti il salto di qualità fu enorme”.
Mi parli del pilota, ma non ancora dell’uomo…
“Aveva una saletta al Ristorante Montana dove andava a mangiare di volta in volta con le persone della squadra. A pranzo il più delle volte non si parlava di lavoro, per quello c’erano i briefing, ma si chiacchierava delle nostre esistenze”.
“A me aveva domandato come mai avendo la fidanzata a Bordighera avessi accettato la lunga assenza da casa a dagli affetti. Lui si faceva coinvolgere e voleva essere partecipe delle questioni umane delle persone di cui aveva fiducia. Michael ha un grandissimo rispetto sul valore dell’amicizia e sulla confidenza: potevi dirgli qualsiasi cosa, anche delicata, e sapevi che non avrebbe detto nulla all’esterno. In questo è incredibile”.
In netto contrasto con il campione che s’infilava il casco e in certe occasioni diventava spietato con gli avversari…
“Era la determinazione di chi voleva vincere. Un pilota purosangue raggiunge una determinazione per la vittoria che va sopra a tutti i limiti. Se non hai questa spinta in un campionato duro come la F1 non vinci tutto quello che ha vinto lui. Del resto oggi lo vediamo con un campione come Hamilton…”.
Però Lewis non ha la stessa spietatezza che aveva Michael…
“La manifesta in modo diverso, ma non credere, i campioni ce l’hanno tutti. Ce l’ha Vettel, ce l’ha Fernando. Visibile in un modo o nell’altro, ma per vincere è un elemento essenziale. Un pilota deve essere così, altrimenti non può essere un vincente”.
In che modo il campione duro e puro si trasformava nell’uomo che sapeva stare nel gruppo senza voler primeggiare?
“E' riuscito a distinguere i momenti diversi. Ha dato la sua fiducia a poche persone e con quelle si è sempre comportato alla pari, dividendo il pilota dall’uomo, dando e ottenendo il massimo rispetto. Il rapporto molto intenso con Todt penso sia dovuto dal fatto che i due siano mossi dagli stessi principi, per cui non potevano che legarsi da un’amicizia profonda”.
Che segno lascia Schumacher nella F1: non è solo il pilota dei record?
“Ma no, assolutamente. Basta vedere con quale attenzione sia seguita da tutti i media una giornata come oggi. Il suo 50esimo compleanno viene celebrato come se fosse ancora fra di noi, indipendentemente dalle sue condizioni mediche. E questo è bellissimo, al di là dell’enfasi che un giornale o una televisione vorranno dare all’evento. Michael in F1 è presente, presentissimo: ha un seguito nel mondo importantissimo e, quindi, tutto questo è molto bello. E mi auguro che i prossimi 50 anni possano essere migliori di giorno in giorno. Non si può sperare altro”.
“Magari mi piacerebbe che potesse avere un contatto con le persone a cui tiene come lo ha avuto in passato, anche se mi rendo conto che ci sono delle difficoltà forse insormontabili, ma è giusto sperare”.
Dunque era un personaggio a due facce: il duro in pista ha un forte senso dell’amicizia, della semplicità della vita che pochi hanno avuto modo di conoscere…
“Mi ricordo un episodio. Al venerdì del GP di San Marino a Imola nel primo anno ferrarista mi chiese dove avrebbe potuto andare a mangiare una pizza con gli amici che erano venuti a vederlo. E Michael mi chiese se potevo consigliargli un ristorante in centro. Io gli dissi: “Ma tu non puoi andare a Imola con gli amici senza che i tifosi ti riconoscano e nasca una questione di ordine pubblico!”. Schumi non si sarebbe creato alcun problema per condividere la serata con gli amici. Siccome eravamo all’Hotel Mulino Rosso, gli riservai una saletta del ristorante dove abbiamo fatto arrivare le pizze che voleva per gli amici. Questo ci dà la sua dimensione umana di come si considerasse una persona normale, non un personaggio, una star”.
Si può dire che Schumacher sia stato il campione che ha traghettato i piloti di F1 nell’era moderna, visto che è stato il primo a sfruttare le grandi potenzialità del volante-computer…
“Michael ha seguito in modo impeccabile l’evoluzione della F1. Lui ha interpretato il cambiamento che era in atto sulle monoposto e ha cercanto di trarne il massimo vantaggio. Anche in questo è stato bravissimo, ma è stato possibile perché era un autentico fuoriclasse”.
“Quando si sfilava il casco o la tuta dopo una vittoria, intanto non era mai sudato. Perché aveva una preparazione fisica molto curata, ma anche perché era capace di avere una sensibilità di guida che non aveva bisogno di troppa concentrazione. Le cose molto difficili gli venivano facili, per cui non aveva un grande consumo di energia mentale mentre era in gara”.
Ricordi un episodio?
“Ma certo! GP di Spagna 1996 che poi vinse: pioveva e le monoposto non riuscivano ad andare diritte nemmeno sul rettilineo di Barcellona tanta era l’acqua sulla pista. Noi sul muretto dei box eravamo quasi in apnea temendo che un qualsiasi imprevisto potesse rovinare la sua prima affermazione in Rosso, ma lui via radio ci rassicurava che aveva tutto sotto controllo anche se stava rifilando quasi tre secondi al giro agli avversari”.
“Le nostre voci erano sempre più concitate con il trascorrere dei giri per il tanto atteso momento, mentre Michael parlava calmo come se fosse al muretto con noi e, invece, era in pista di traverso con la F310”.
“In quei momenti ho avuto la chiara percezione che stavo lavorando non con un campione ma con un autentico fuoriclasse. Il suo controllo era tale che anche nelle condizioni meteo limite era tranquillo e consapevole delle sue capacità e della sua Ferrari. Questi episodi uniscono una squadra e non deve sorprendere se il pilota sia diventato un idolo per tutti noi. Nella semplicità realizzava le imprese più difficili”.
Be part of Motorsport community
Join the conversationShare Or Save This Story
Top Comments
Iscriviti ed effettua l'accesso a Motorsport.com con il tuo blocco delle pubblicità
Dalla Formula 1 alla MotoGP, raccontiamo direttamente dal paddock perché amiamo il nostro sport, proprio come voi. Per continuare a fornire il nostro giornalismo esperto, il nostro sito web utilizzala pubblicità. Tuttavia, vogliamo darvi l'opportunità di godere di un sito web privo di pubblicità e di continuare a utilizzare il vostro ad-blocker.