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Intervista

Allison: dalle difficoltà in Ferrari ai trionfi con Mercedes

In questa seconda parte dell'intervista, James Allison ripercorre le sfide incontrate nel periodo del suo ritorno alla Renault, la delusione per non aver vinto il titolo a Maranello e la gratitudine verso Mercedes.

James Allison, Mercedes AMG F1 Technical Director

Foto di: Sutton Motorsport Images

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Il periodo in Renault ha visto la scuderia di Enstone molto attiva da un punto di vista della ricerca aerodinamica. Se il cambio di regolamenti del 2009 ha rappresentato una sfida enorme, gli anni successivi hanno consentito al team di Allison di trovare soluzioni geniali.

GP Racing: La Renault del 2009 non ha avuto molto successo, ma dopo il team si è guadagnato la reputazione di squadra innovativa, sia sul lato aerodinamico che nella dinamica del telaio.

James Allison: “Sì, è stato un periodo strano. C'è tutta una serie di ragioni per cui abbiamo fatto un pessimo lavoro su quella macchina”.

“C'erano le nuove regole aerodinamiche e la nostra macchina non era abbastanza sofisticata dal punto di vista aerodinamico per quella nuova era. È stato un grande cambiamento e la Brawn ha vinto partendo bene e presto, mentre è stato il primo anno in cui la Red Bull è sembrata una vera e propria scuderia di alto livello”.

“Abbiamo fatto un pessimo lavoro e penso che questo abbia spinto la Renault ad abbandonare e vendere a Genii Capital per poi arrivare al passaggio in Lotus. Quello è stato un periodo in cui ci siamo sentiti piuttosto avventurosi. Con un budget molto modesto avevamo grandi ambizioni sostenute da un team tecnico assolutamente brillante”.

“Nel 2010 avevamo una macchina onesta, mentre il 2011 è stato un enorme sforamento con gli scarichi posizionati in avanti. Ma dietro a tutto questo c'era un gruppo aerodinamico favoloso, un gruppo di progettazione davvero solido, una squadra molto capace. Con queste fondamenta siamo tornati competitivi nel 2012 e 2013. È stato un periodo interessante. Ogni mese ci chiedevamo se saremmo stati pagati, ma lottavamo per i podi ed in alcune occasioni per la vittoria”.

GPR: Da dove vengono queste idee come gli scarichi in avanti e qual è la tua soglia per decidere se i costi superano i benefici?

JA: “Gli scarichi sono nati grazie alla Red Bull che si è data da fare con gli scarichi soffiati nel 2010. Abbiamo provato anche noi, abbiamo ottenuto un sacco di deportanza, ma era troppa nella parte posteriore della vettura ed accusavamo troppo sottosterzo. Stavamo cercando di capire come utilizzare l'energia degli scarichi ma consegnarla all'auto in un modo che fosse più equilibrata”.

Vitaly Petrov, Renault R30

Vitaly Petrov, Renault R30

Photo by: Andrew Ferraro / Motorsport Images

“È stato terribilmente difficile realizzarla mentre, ma rispondeva bene. Dove ci siamo arenati è stato il passaggio ai pneumatici Pirelli nel 2011 che volevano molta più deportanza posteriore rispetto ai Bridgestone utilizzati in precedenza”.

“Questo ha fatto venir meno il senso di avere gli scarichi al centro della macchina. Quindi è stato un risultato straordinario da parte di Tim Densham e del team di progettazione per consegnare ciò che il gruppo aerodinamico aveva richiesto, ma in definitiva un percorso imperfetto per il quale la mia decisione di dire "Sì" è stata da biasimare”.

“Quei progetti hanno pagato, però, perché la squadra si è sentita rinvigorita dall'avere il coraggio di fare cose che gli altri non facevano. È successa una cosa simile con il DAS in Mercedes, che è durato una stagione.-Il beneficio non arriva solo dal tempo sul giro, ma è anche nelle persone che si sentono parte di una squadra innovativa che vuole aprire nuove strade”.

GPR: Era questo che teneva insieme il 'Team Enstone', anche se le finanze stavano diventando sempre più traballanti?

JA: “Ci sono squadre felici e squadre infelici. Enstone era un posto dove regnava il  buon umore, c'era una coesione e una lealtà che permetteva alle persone di guardare oltre la precarietà delle finanze”.

“È merito della gente che ha dato alla squadra molte possibilità. Come uno dei leader della squadra il mio compito era quello di mantenere la competenza che avevamo così faticosamente accumulato, di tenere tutti a bordo e crederci. Ed ero felice di farlo perché io stesso ci credevo, sentivo che stavamo facendo qualcosa di speciale”.

“Ma una volta che si smette di crederci, e che i membri migliori del tuo team stanno ricevendo offerte da altre aziende che non sono così in pericolo dal punto di vista finanziario, non si può continuare a dire "Resta con noi, continua a credere che abbiamo un futuro forte". Non è giusto, ed è per questo che me ne sono andato. È stato doloroso perché ero profondamente orgoglioso di ciò che avevamo raggiunto”.

GPR: Sei tornato alla Ferrari come direttore tecnico alla fine del 2013, poco prima dell'anno in cui il team ha avuto tre team principal. Quanta trepidazione hai provato andando in un ambiente così travagliato?

JA: “È stata una bella cosa. Ero molto affezionato all'Italia, e la Ferrari è un posto brillante per molti aspetti. Sapevo anche che mi sarei accomodato su una sedia scottante, che la squadra aveva un debito tecnico che aveva bisogno di lavorare, e non sarebbe stato facile. Ho avuto dei buoni consigli da Ross Ha detto: "È un ambiente in cui è intrinsecamente difficile avere successo. Ci sono buone probabilità che tu fallisca”.

"Non è niente di personale. È solo che non appena arrivi lì, la gente inizierà a tirarti in questa o quella direzione. Devi assicurarti che se fallisci, fallisci alle tue condizioni. Assicurati che le decisioni che prendi siano quelle giuste, non quelle in cui sei stato costretto da qualcun altro. Quindi se vieni mandato a casa assicurati che siano state le tue decisioni a determinare quella decisione".

Fernando Alonso, Ferrari F138

Fernando Alonso, Ferrari F138

Photo by: Sutton Images

“Questo è più o meno il modo di pensare che ho adottato nel corso di tutta la mia carriera e non credo che ci siano dubbi sul fatto che nell'arco dei tre anni in cui sono stato lì sia finito in un fallimento dato che non abbiamo vinto un campionato del mondo mentre ero direttore tecnico. Sono abbastanza orgoglioso di quello che abbiamo fatto insieme. Sono stati anni molto piacevoli”.

“Alla fine ci siamo lasciati in circostanze molto tristi. Ho perso mia moglie colpita da meningite e i bambini erano nel Regno Unito. Inoltre le premesse della stagione 2016 non sembravano così promettenti come i miei capi o io avevamo sperato. È stato profondamente tragico. Penso di essere stato trattato correttamene per tutto il tempo, ma il fatto di non aver mai vinto un campionato del mondo è una fonte di rammarico”.

“Sono arrivato alla fine del 2013 e fondamentalmente ho dovuto convivere con quello che era stato creato per il 2014 e sapevo che non saremmo andati da nessuna parte. Ma dal 2015 avevamo ottenuto una power unit migliore e anche l'aerodinamica era decisamente superiore. Tuttavia la Mercedes ha davvero compiuto un balzo avanti notevole nel 2016. penso che si siano sorpresi da soli”.

GPR: Dopo aver subito quella terribile perdita hai pensato di non tornare in F1? O l'offerta della Mercedes è arrivata al momento giusto, mentre consideravi cosa fare nella prossima fase della tua vita?

JA: Sono molto grato a Toto per il modo in cui mi ha avvicinato e la gentilezza che ha mostrato. Ha solo fatto capire che c'era un'opportunità e nessuna pressione”.

“In quel momento non volevo fare nulla, volevo a malapena alzarmi dal letto. C'era però una voce dentro di me che diceva: "So che non ti sentirai mai più in grado di fare qualcosa, ma potresti. E se non lo fai, la tua opportunità di fare qualcosa in futuro potrebbe svanire, quindi vale la pena capire se ci riesci". E' stato un dialogo molto difficile con me stesso”.

“Avrei potuto annaspare e affogare, ma questa squadra (la Mercedes ndr) è incredibilmente calorosa. Se si sono accorti di quello che ero, sono stati troppo educati per dirlo. La Mercedes è veramente qualcosa di speciale. C'è un nucleo di persone che sono qui da molto tempo, sono le ancore della squadra e rimangono perché gli piace”.

“Il gruppo di ingegneri senior era disposto a permettere a un esterno di occupare il ruolo che mi era stato chiesto di assumere, senza farmi sentire un impostore. Mi sono state date molte possibilità. Sono un bel gruppo di persone che non sono convinte di avere diritto a qualcosa se non lavorano sodo. È una cultura in cui è più facile essere coraggiosi. Abbiamo avuto molto successo e gli scaffali dei trofei lo dimostrano”.

Valtteri Bottas, Toto Wolff, James Allison, Lewis Hamilton, Andy Cowell, Mercedes AMG F1

Valtteri Bottas, Toto Wolff, James Allison, Lewis Hamilton, Andy Cowell, Mercedes AMG F1

Photo by: Mercedes AMG

“Ho trascorso  un bel po' di anni nella posizione più piacevole della F1, ma so anche che questo lavoro mi chiede molto. Forse questo non è vero per tutti, ma io non lo sto facendo più in un modo sostenibile. Ogni anno mi sono immerso sempre di più nel mio pozzo personale di risorse ed energie. La squadra ha sentito le mie battute un paio di volte, e credo che meriti di avere una persona nuova se è un candidato credibile. Mike Elliott (il nuovo direttore tecnico ndr) è cresciuto con noi per un certo numero di anni. È pieno di energia e vigore”.

“Come direttore tecnico si ha il compito quasi impossibile di far correre la macchina, assicurarsi che sia efficace ma al contempo concentrarsi anche su quella successiva ed essere certi che sia competitiva”.

“Creando la nuova posizione di chief technical officer, il team mi ha permesso di concentrarmi sul lungo termine, ma anche di aiutare Mike qualora avesse bisogno di aiuto nel breve termine. Spero che un giorno la squadra si guarderà indietro e dirà che ho avuto il tempismo giusto quando ho scelto di fermarmi e di passare il timone a Mike, perché ha davvero portato avanti le cose”.

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