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Rosberg: "La guerra psicologica serve a vincere"

Doulthard che intervista il campione del mondo 2016. Nico racconta cosa ha dovuto superare nel confronto con Schumacher e Hamilton. "Lewis? E' straordinario nei corpo a corpo: riesce sempre a essere nella zona grigia e a non prendersi mai la colpa di un incidente".

Nico Rosberg, David Coulthard and Mark Webber

Nico Rosberg, David Coulthard and Mark Webber

Mark Sutton / Motorsport Images

Un’intervista particolare, realizzata per lo sponsor (della Formula 1) Heineken. Da una parte David Couthard, nei panni dell’intervistatore, dall’altra Nico Rosberg: tema della chiacchierata la psicologia in Formula 1, ma sarebbe più corretto dire la guerra psicologica che ogni pilota nell’arco della sua carriera ha dovuto affrontare all’interno del proprio box.

Un dialogo dal quale emergono aneddoti inediti, faide e tensioni tra top-driver, storie che rivelano la battaglia quotidiana per la supremazia all’interno della squadra.
“Ho studiato psicologia cercando di applicarla alla figura del pilota – ha rivelato Rosberg – e credo che questo sia stato uno dei motivi per cui alla fine sono riuscito a raggiungere l’obiettivo di diventare campione del Mondo. È stato un grande aiuto, ho fatto progressi enormi su questo fronte perché all’inizio della mia carriera ero abbastanza debole mentalmente. Basandomi sulla mia esperienza, posso dire che studiare psicologia aiuta moltissimo”.

L’intervista inizia con una domanda posta da Coulthard sulla figura paterna, che nel caso di Nico non è proprio una qualunque considerando che si tratta di papà Keke…

Rosberg: “Sono stato molto fortunato ad avere mio padre come guida, una persona che ha percorso tutte le tappe per arrivare in Formula 1 riuscendo a diventare campione del Mondo. È stato incredibilmente utile per la mia carriera”.

Coulthard: “Ho osservato altri atleti che hanno raggiunto un grande successo, non so se hai letto la biografia di Andre Agassi, nella quale descrive come suo padre lo stressasse al punto da arrivare ad odiare il tennis, vinceva ma lo odiava. È capitato anche a te di avere un padre troppo entusiasta?
Rosberg: “Mio padre è stato un grande supporto, aveva grandi aspettative per me, ma credo che alla fine ogni genitore spera di vedere il proprio figlio riuscire nella scuola e nella vita. Un concetto che ho compreso subito: per riuscire nei propri progetti serve determinazione, e se ci fossi riuscito sarebbe stato orgoglioso di me".

"È un insegnamento che mi ha preparato alla vita, ho sempre spinto al massimo per realizzare i miei sogni e tra gli obiettivi c’era anche quello di rendere mio padre felice. Nei miei primi anni è stato ovviamente molto vicino a tutto ciò che facevo, e questo ha sempre contribuito ad aggiungere un po' di pressione, quindi ad un certo punto gli ho spiegato che sarebbe stato meglio che proseguissi da solo, e lui ha capito facendo un passo indietro, lasciandomi commettere i miei errori. È stato molto comprensivo ed intelligente, perché sono maturato riuscendo a laurearmi campione del Mondo, ma non credo che per lui sia stato facile lasciarmi andare, perché ero nel suo ‘settore’, quello in cui lui aveva raggiunto il massimo traguardo”.

Coulthard: “Hai disputato 11 stagioni, hai vinto 23 Gran Premi, 57 podi e hai conquistato un titolo Mondiale. Hai detto più volte che arrivare in Mercedes è stato un sogno che si è avverato, ma come hai reagito quando hai saputo che avresti avuto come compagno Michael Schumacher?
Rosberg: “Non è stato un bel momento, lo ammetto. Ero molto eccitato, avevo firmato con la Mercedes (che aveva acquistato la Brawn GP campione del Mondo 2009 con Jenson Button) e sapevo che era la chance perfetta per fare un salto di qualità".

"Non sapevo chi sarebbe stato il mio compagno di squadra e a dire il vero nessuno nel team ne parlava, poi un giorno ricevo una chiamata da Ross Brawn, mi parla di alcune cose poi mi dice: ‘A proposito, il tuo compagno di squadra non sarà Jenson e neanche Nick Heidfeld, sarà Michael Schumacher!’".

"Dentro di me pensai… mio Dio, non avrò alcuna possibilità, la squadra non sarà certo su di me, perché un pilota con l’esperienza di Michael saprà come manipolare le cose a suo favore. Mi facevo molte domande: saprò tenere il suo passo? Parliamo del pilota più grande di tutti i tempi, non di un compagno ‘normale’, diciamo che per me non è stata una grande notizia”.

Coulthard: “Ricordo che una volta mi hai raccontato una storia in merito alle capacità di Michael di saper usare al meglio la psicologia…
Rosberg: “Michael è un guerriero psicologico, lo è senza sforzo, gli viene spontaneo, ma alla fine ho avuto l’opportunità di apprendere molte cose nell’arco dei tre anni in cui sono stato suo compagno di squadra. Potrei davvero raccontare tante storie, ma visto che mi hai chiesto quella di Monaco racconto quella".

"Nel Principato c’è un solo bagno nei box, e cinque minuti prima delle qualifiche provo ad entrare nella toilette ma… è occupata. Busso come un matto, ma niente, urlo ‘esci per favore’, ma la porta non si apre. Inizio ad andare nel panico perché avevo bisogno di andare in bagno, guardo l’orologio e mi stresso parecchio. Dopo un po' la porta si apre ed esce con calma Michael: ‘Oh scusa, non sapevo che fossi lì’...".

"Altro esempio: a lui piaceva girare nella sala degli ingegneri a torso nudo, per mostrare il suo fisico scolpito. Era un modo per impressionare tutti, e non ha mai perso l’abitudine. (…) Quando era arrivato nel team era come un Dio, all’inizio discuteva lui con gli ingegneri anche la mia strategia, ci ho messo un po' a cambiare le cose! Potrei andare avanti all’infinito…”.

Coulthard: “Alla fine hai avuto il sopravvento su Michael, ma quando si ritira ti ritrovi con Lewis, un pilota che conoscevi molto bene. Quanto è stata utile l’esperienza con Michael nell’affrontarlo?
Rosberg: “Di sicuro mi è capitato il compagno più difficile, e quando me lo hanno comunicato ho pensato ancora… oh, mio Dio! Sapevo quanto Lewis fosse bravo, ma non ho avuto alcun motivo per essere contrariato dal suo arrivo in squadra. In quel momento avevo vinto una sola gara in Formula 1, mentre Lewis era già un campione del mondo, anche se aveva avuto alti e bassi negli anni precedenti".

"Nel 2013 è andato tutto molto bene, non avevamo la possibilità di puntare a grandi traguardi, ed il nostro rapporto era molto amichevole. Poi la stagione successiva ci siamo ritrovati a lottare per il titolo Mondiale, c’era il nostro sogno in palio ed entrambi eravamo determinati a raggiungerlo. E così l’amicizia è stata compromessa, l’importante era provare a vincere e un passo dopo l’altro la tensione si è accumulata, è stata dura".

"Tutto è iniziato in Bahrain (2014) e da lì in poi ci sono state molte storie che potrò raccontare tra 10, 20 o 30 anni. È successo molto dietro le quinte, tanta politica, tante discussioni, mentalmente è stato molto stressante e la situazione mi ha fatto andare fuori strada”.

Coulthard: “Credo che il punto di non ritorno sia stato l’incidente di Barcellona nel 2016. Confermi?”
Rosberg: “Il ragazzo (Hamilton) è fenomenale nei confronti ruota a ruota, è incredibile come riesca sempre a mettere la monoposto nella posizione perfetta, è molto intelligente. Ogni volta che siamo arrivati ai ferri corti è sempre riuscito a restare nella zona… grigia, mente a me è capitato di andare oltre. Uno dei suoi grande punti di forza nei confronti diretti è quello di saper sempre arrivare al limite senza mettersi nelle condizioni di poter essere accusato al 100% di un errore”.

Coulthard: “Penso invece che Michael a volte sia andato oltre la zona grigia…”.
Rosberg: “Non penso avesse lo stesso approccio”.

Coulthard: “Posso immaginare la tua soddisfazione e la tua gioia quando hai centrato il titolo Mondiale, ma sei giorni dopo… annunci il ritiro. Mi piacerebbe che mi raccontassi cosa è accaduto nella tua mente, di solito un pilota poco dopo aver raggiunto un successo pensa già a quello successivo, soprattutto dopo un grande successo. Come sei riuscito a prendere la decisione che hai preso?
Rosberg: “Cerco di essere abbastanza razionale e di pianificare la mia vita fissando degli obiettivi, altrimenti rischio di fare confusione. Semplicemente, dopo molte sconfitte subite da Lewis sono stato male, mi faceva star male perdere e, ovviamente, essere riuscito nel 2016 a completare una stagione perfetta è stato motivo di una soddisfazione piena, completa".

"Ho sentito che sarebbe stato un finale perfetto, perché prima o poi c’è sempre un finale, non avrei mai potuto chiudere in un modo migliore, ed ora guardando indietro credo che sia stato tutto perfetto, ho ancora dentro di me quell’ultima emozione che ho provato in pista".

"La Formula 1 è stata una tappa importante della mia vita ma non era la destinazione finale, direi piuttosto un trampolino di lancio. Oggi mi sto davvero godendo una nuova vita, trascorro più tempo con la mia famiglia e mi occupo di altre cose: è stata una decisione corretta”.

Rosberg: “Adesso però ho io una domanda da farti: qual è stata la più grande sfida mentale che hai affrontato nella tua carriera?”
Coulthard: “Sono stato sette anni in squadra con Mika (Hakkinen), un periodo lungo che alla fine è stato una grande sfida. In gara non sono mai andato male, ma nel giro veloce lui aveva un talento particolare, migliore del mio, quindi ero sempre alla ricerca della velocità, il corpo a corpo non era un problema".

"Ron Dennis era molto vicino Mika, e lo comprendo bene visto che nel 1995 ha rischiato di morire al volante di una sua monoposto e in quella circostanza il legame tra i due si è cementato sempre di più (…) Nel 1998 la McLaren era molto competitiva, eravamo a Monte Carlo e in qualifica avevamo quattro ‘run’ a disposizione per puntare alla pole".

"Ci siamo alternati al comando più volte: usciva lui e otteneva la pole, poi toccava a me e lo scavalcavo. Durante il suo ultimo tentativo si è migliorato ancora ottenendo la pole position e io che ero ai box in quel momento ha visto tutta la squadra esultare, compreso Norbert Haug. Ma aveva battuto me ed anche io facevo parte della squadra".

"Ci sono rimasto male e quando sono tornato in pista per l’ultimo tentativo non sono più riuscito a migliorarmi. Poi sono andato a parlare con Ron e Martin Whitmarsh e gli detto: ‘Guardate, capisco che è un grande giorno per la squadra, ma credo possiate capire come mi sono sentito nel guardare il box e vedere tutti esultare quando Mika mi ha superato’. (…) Chiedevo solo rispetto, avevo combattuto anche io, dando il massimo. La Formula 1 sotto questo aspetto è strana, perché è una squadra ma ci sono due team al suo interno, e non è assolutamente facile convivere con questa situazione”.

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